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A seguito delle preoccupazioni suscitate dal Patto europeo su migrazione e asilo, una rete di oltre 70 associazioni europee ha presentato oggi una serie di raccomandazioni indirizzata a Rappresentanti Permanenti in Europa, i membri della Commissione LIBE al Parlamento europeo e leader di gruppi politici.
“Accogliamo con piacere che la Commissione abbia introdotto il Patto su migrazione e asilo dichiarando l’impegno ad un approccio più umano alla protezione internazionale ed enfatizzando la migrazione come fenomeno necessario e positivo per l’Europa. Tuttavia, questa retorica si riflette solo scarsamente nelle proposte contenuto nel Patto: invece di prendere le distanze dagli errori che hanno caratterizzato l’approccio politico europeo degli ultimi anni e invece di dare il via ad un nuovo inizio, il Patto rischia di esasperare l’attenzione all’esternalizzazione delle frontiere, alle politiche di deterrenza e di contenimento delle migrazioni, oltre che alle politiche di rimpatrio al paese di origine”
Con queste dichiarazioni inizia il dettagliato documento che oltre 70 associazioni di diversi Stati europei hanno congiuntamente elaborato valutando il testo del patto Immigrazione e Asilo presentato lo scorso 23 settembre 2020 dalla Commissione europea.
Tra le proposte nel Patto c’è un ampliamento di ciò che ricorda chiaramente il fallimentare sistema hotspot; non vengono aperti nuovi canali di accesso regolare, ma viene incrementato l’utilizzo della detenzione amministrativa e delle procedure accelerate; infine non viene superato il principio del primo paese di arrivo del regolamento Dublino.
Tra le raccomandazioni inviate dalle associazioni, si auspica che le istituzioni europee ricalibrino le proposte per concentrarsi sul mantenimento e sull’innalzamento degli standard in materia di asilo e diritti umani in Europa, sull’istituzione di un’operazione di ricerca e salvataggio europea da condurre nel Mediterraneo, e un principio di responsabilità collettiva nella gestione delle domande di asilo.
Inizierà adesso un periodo di negoziato tra gli Stati membri per elaborare i regolamenti europei. In questa fase, le associazioni firmatarie ritengono fondamentale ricordare che esiste un quadro europeo in materia di asilo e che gli Stati membri sono soggetti agli obblighi ai sensi del diritto internazionale e dell’Ue in vigore.
Accogliamo con piacere che la Commissione abbia introdotto il Patto su migrazione e asilo dichiarando l’impegno ad un approccio più umano alla protezione internazionale ed enfatizzando la migrazione come fenomeno necessario e positivo per l’Europa. Tuttavia, questa retorica si riflette solo scarsamente nelle proposte contenuto nel Patto: invece di prendere le distanze dagli errori che hanno caratterizzato l’approccio politico europeo degli ultimi anni e invece di dare il via ad un nuovo inizio, il Patto rischia di esasperare l’attenzione all’esternalizzazione, alle politiche di deterrenza e di contenimento delle migrazioni, oltre che alle politiche di rimpatrio al paese di origine.
Questa valutazione iniziale da parte della società civile delle proposte legislative e non legislative si basa sulle seguenti domande:
Il patto su migrazione e asilo ha perso l’opportunità di riformare radicalmente il sistema Dublino: la normativa che regola la responsabilità per la valutazione delle domande di asilo rimane in pratica invariata continuando a definire responsabile il primo paese di arrivo. È tuttavia stato proposto un sistema complesso in cui viene innescata una qualche forma di solidarietà.
In relazione alla normativa che determina quale sia lo Stato membro responsabile per l’esame della domanda di asilo, ci sono alcune aggiunte positive. Ad esempio, sono state introdotte una definizione ampliata di famiglia per includere i fratelli, e nel caso di minori non accompagnati anche altri membri della famiglia e il riconoscimento di un diploma o altra qualifica da uno Stato membro. Tuttavia, iniziare a considerare il ricongiungimento familiare un criterio privilegiato per la determinare lo Stato responsabile della domanda di asilo, superando così il principio del primo paese d’ingresso come opzione privilegiata, rappresenta ancora una difficile sfida considerando le attuali prassi degli Stati membri.
Nel patto è richiesta la solidarietà degli Stati membri in caso di un numero elevato di persone in arrivo (“pressione migratoria”) o in caso di sbarchi dopo operazioni di ricerca e soccorso. I processi che ne derivano includono una serie di valutazioni e relazioni da redigere e impegni da parte dei singoli Stati membri. Se la risposta comunitaria è insufficiente, la Commissione europea può intervenire con un’azione correttiva. Questa modalità non sembra un meccanismo che supporti la condivisione delle responsabilità, ma qualcosa di più simile ai negoziati tra Stati membri che ci sono già fin troppo familiari. La complessità di quanto proposto solleva dubbi sul fatto che esso sia effettivamente realizzabile nella pratica.
Agli Stati membri è consentito “sponsorizzare il rimpatrio” invece di ricollocare le persone nei propri territori, mostrando che politiche di ritorno e di protezione vengono poste sullo stesso piano. Invece di sostenere i singoli Stati membri nella gestione di un numero maggiore di domande di asilo, questa proposta mette a rischio i diritti umani, in particolare la proposta di trasferire i richiedenti presso lo “Stato sponsor” dopo che è trascorso il termine di 8 mesi. Chi monitorerà il trattamento dei richiedenti asilo respinti quando arriveranno in paesi i cui governi non accettano la ricollocazione?
Invece di ricalibrare la responsabilità tra gli Stati membri dell’Ue, le proposte di riforma procedurale esacerbano la pressione sugli Stati membri alla frontiera esterna dell’UE e sui paesi dei Balcani occidentali. La Commissione propone procedure obbligatorie di asilo e di rimpatrio alle frontiere in alcuni casi, anche per i cittadini, o gli apolidi, provenienti da Paesi per i quali il tasso medio di protezione dell’Ue è inferiore al 20%. È facoltativo quando gli Stati membri applicano i concetti di paese terzo sicuro o paese di origine sicuro. Tuttavia, la Commissione ha già proposto che questi concetti diventino obbligatori per gli Stati membri. Le ONG ribadiscono le preoccupazioni sull’uso dei concetti di Paese terzo sicuro e Primo paese di asilo, che sono stati ampiamente discussi tra il 2016 e il 2019. In particolare, non si dovrebbe riproporre l’uso obbligatorio di questi concetti.
La procedura di frontiera proposta si basa su due presupposti errati: il primo è che la maggior parte delle persone che arrivano in Europa non abbia esigenze di protezione, il secondo è che la valutazione delle richieste di asilo possa essere eseguita facilmente e rapidamente. Nessuno dei due è corretto.
I dati relativi alle decisioni di primo e secondo grado in tutta Europa indicano che la maggior parte delle persone che chiedono asilo in Europa negli ultimi tre anni hanno ricevuto una forma di protezione. Inoltre, il Patto non dovrebbe persistere nell’idea erronea secondo cui è possibile condurre procedure rapide di asilo, per via della riduzione delle garanzie o per via dell’introduzione di un sistema di triage. La durata media della procedura di asilo nei Paesi Bassi, spesso utilizzata come modello, supera un anno e può durare fino a due anni.
La proposta si tradurrà effettivamente in due tipologie di procedure di asilo, in gran parte determinate dal paese di origine della persona interessata. Ciò mina il diritto individuale all’asilo e significherà che più persone saranno soggette a una procedura di serie b. Proporre che gli Stati membri emettano simultaneamente una decisione in materia di asilo e rimpatrio senza introdurre esplicitamente l’obbligo di valutare importanti garanzie relative al non respingimento, all’interesse superiore del minore e alla protezione della famiglia e della vita privata, mina gli obblighi giuridici internazionali. La proposta elimina anche l’effetto sospensivo automatico di un ricorso, ovvero il diritto di rimanere sul territorio in attesa di una decisione per casi decisi secondo procedure di frontiera.
Il suggerimento che le persone sottoposte a procedure di frontiera non siano considerate come formalmente entrate nel territorio dello Stato membro è fuorviante e contraddice la recente giurisprudenza dell’Ue, ma non modifica i diritti dell’individuo ai sensi del diritto dell’Ue e internazionale.
La proposta priva inoltre le persone della possibilità di accedere ai permessi di soggiorno per motivi diversi dall’asilo e probabilmente includerà detenzione alle frontiere Ue fino a 6 mesi, un massimo di 12 settimane per la procedura di asilo alla frontiera e altre 12 settimane in caso di procedura di confine di ritorno. Inoltre, le riforme eliminano il principio secondo cui la detenzione dovrebbe essere applicata solo come misura di ultima istanza nel contesto delle procedure di frontiera. Facendo affidamento su restrizioni più sistematiche alla circolazione nelle procedure di frontiera, la proposta limiterà l’accesso individuale ai servizi di base, forniti da attori che potrebbero non operare alla frontiera, anche per l’assistenza e la rappresentanza legale. Le somiglianze con i risultati del fallito “approccio hotspot” attivo nelle isole greche sono notevoli.
Il riconoscimento che l’interesse superiore del minore deve essere una considerazione primaria per gli Stati membri rispetto a tutte le procedure è positivo. Tuttavia, la Commissione abbassa gli standard di protezione per i minori, esentando solo coloro che non sono accompagnati o di età inferiore ai dodici anni dalle procedure di frontiera. Ciò è in contraddizione con la definizione internazionalmente riconosciuta di bambino come ogni persona fino all’età di diciotto anni, inclusa nella Convenzione sui diritti dell’infanzia, ratificata da tutti gli Stati membri dell’UE.
È ancora più preoccupante per il rispetto dei diritti il caso in cui uno Stato membro può affermare di trovarsi di fronte a una “situazione eccezionale di afflusso di massa” o addirittura al rischio di una tale situazione.
Quando ciò si verifica, l’utilizzo della procedura di frontiera può essere ampliato a tutte le persone che arrivano da paesi in cui il tasso medio di protezione dell’Ue della nazionalità interessata è inferiore al 75%. Sia la procedura di asilo alla frontiera che la procedura di frontiera di ritorno possono essere estese per altre otto settimane, quindi cinque mesi ciascuna, prolungando il periodo massimo di detenzione di frontiera a 10 mesi. Inoltre, gli Stati membri possono sospendere la registrazione delle domande di asilo per quattro settimane e fino a un massimo di tre mesi. Senza alcuna domanda registrata per settimane, le persone possono essere a rischio di detenzione, espulsione, respingimento e i loro diritti ad un’accoglienza adeguata e ai servizi di base possono essere gravemente danneggiati.
Ciò consente agli Stati membri di disattendere la responsabilità di assicurare accesso all’asilo e garantire che le richieste siano trattate in modo efficiente ed equo, aumentando così il rischio di respingimento. Nei casi più estremi in cui gli Stati membri agiscano in flagrante e persistente violazione degli obblighi di legge dell’Ue, questo processo di richiesta di autorizzazione alla Commissione europea potrebbe essere considerato un miglioramento perché attualmente la legge viene ignorata senza consultazione e nonostante le critiche della Commissione europea. Tuttavia, questo non può essere il punto di partenza per valutare la legislazione dell’UE proposta. La conseguenza di questa norma sarà che la stragrande maggioranza delle persone che arrivano in Europa sarà soggetta a una procedura di serie b.
La Commissione propone un processo di “screening pre-ingresso” per tutte le persone che arrivano irregolarmente ai confini dell’Ue, anche in seguito alle operazioni di ricerca e soccorso. Il processo di screening include controlli di sicurezza, salute e vulnerabilità e registrazione di dati biometrici, ma porta anche a decisioni relative all’accesso all’asilo, inclusa l’applicazione della procedura accelerata di frontiera di ricollocazione e di rimpatrio. Questo processo può richiedere fino a 10 giorni e deve essere eseguito il più vicino possibile al confine. Non è chiaro dove saranno sistemate le persone durante quel periodo e in che modo verranno rispettati gli standard di accoglienza. La procedura può essere applicata anche alle persone all’interno del territorio di uno Stato membro, il che potrebbe portare ad applicazioni difformi e discriminatorie sul territorio. Sorgono dubbi riguardo l’accesso alle informazioni, i diritti delle persone sottoposte allo screening, compreso il diritto di difesa (accesso ad un avvocato e diritto di impugnare la decisione); i motivi del rifiuto d’ingresso; la privacy e la protezione dei dati raccolti. Poiché gli Stati membri possono facilmente declinare alle proprie responsabilità in merito agli screening medici e di vulnerabilità, non è chiaro se le relative esigenze saranno individuate e soddisfatte.
Un’iniziativa gradita è quella relativa al monitoraggio indipendente del rispetto dei diritti fondamentali alla frontiera. Per garantire che questo meccanismo sia efficace anche nel monitorare trasferimenti informali e respingimenti, ad oggi frequenti e continuativi nella gran parte degli Stati membri, il monitoraggio deve essere esteso oltre la procedura di screening, deve essere indipendente dalle autorità nazionali e deve coinvolgere organizzazioni come le ONG.
L’obiettivo principale del Patto è chiaro: aumentare il numero di rimpatri ed espulsioni dall’Europa. Questo è ben rappresentato dall’istituzione del ruolo di coordinatore dei rimpatri all’interno della Commissione e del vicedirettore esecutivo per i rimpatri di Frontex, mentre non sono state definite nomine analoghe per gli standard di protezione o il ricollocamento. Il rimpatrio è una parte accettata della politica migratoria: il sostegno a rimpatri dignitosi, con una preferenza per i rimpatri volontari, l’accesso alla consulenza per il ritorno e il sostegno al reinserimento sono fattori importanti. Tuttavia, investire nei ritorni non è la risposta alla sistematica violazione degli standard di asilo negli Stati membri dell’Ue.
Continua la tensione tra il retorico impegno nel creare partenariati internazionali reciprocamente vantaggiosi e l’insistenza sul fatto che la migrazione sia al centro delle relazioni dell’Ue con i paesi terzi. Continuano i tentativi di esternalizzare la responsabilità in materia di asilo e di utilizzare in modo improprio l’assistenza allo sviluppo, i regimi di visti e altri strumenti per incentivare i paesi terzi a cooperare in materia di controllo della migrazione e accordi di riammissione. Ciò non solo rischia di contraddire l’impegno preso dall’Ue a favore dei principi di sviluppo, ma anche di minare la sua posizione internazionale generando sfiducia e ostilità da e tra i paesi terzi. Inoltre, l’utilizzo di accordi informali e cooperazione in materia di sicurezza per il controllo della migrazione con paesi come la Libia o la Turchia rischia di consentire violazioni dei diritti umani, incoraggiare governi repressivi e creare maggiore instabilità.
Si è persa un’opportunità per mostrare l’Ue pronta a contribuire alla condivisione delle responsabilità per la protezione sulla scena internazionale nello spirito di partenariato con i paesi che ospitano la grande maggioranza dei rifugiati. Invece di proporre un obiettivo ambizioso per il reinsediamento dei rifugiati, la Commissione europea ha solo invitato gli Stati membri a fare di più e ha convertito gli impegni degli Stati membri per il 2020 in un programma di due anni, facendo perdere un anno ai reinsediamenti in Ue.
Il riconoscimento della necessità di facilitare una maggiore migrazione per lavoro in base ai livelli di competenze è ben accetto, ma l’importanza della migrazione per lavoro per l’economia e le società europee non è stata riflessa nelle risorse, proposte o azioni sostenute nel patto.
La tragedia umanitaria nel Mar Mediterraneo deve ancora essere affrontata, ad esempio, attraverso un’attività di ricerca e soccorso finanziata e gestita dall’Unione. Ricerca, salvataggio e sbarco sono inclusi in tutte le proposte pertinenti, riconoscendo che è in corso una crisi umanitaria. Tuttavia, invece di dare indicazioni circa i comportanti e le normative dei governi che ostacolano i salvataggi in mare e consentire il lavoro dei difensori dei diritti umani, si suggerisce di monitorare gli standard di sicurezza sulle navi e i livelli di comunicazione con i soggetti privati. Sembra che venga richiesto agli attori privati di aderire non solo alle leggi, ma anche a quelle politiche e pratiche riguardanti la “gestione della migrazione” che possono potenzialmente interferire con gli obblighi di ricerca e salvataggio.
Sebbene accogliamo con favore l’introduzione di linee guida per prevenire la criminalizzazione dell’azione umanitaria, queste si limitano a ricalcare gli obblighi normativi e si focalizzano sull’attivit à di ricerca e soccorso in mare. Si rischia quindi di tralasciare le attività umanitarie come la fornitura di cibo, di riparo o di informazioni condotte sulla terraferma o svolte da organizzazioni non obbligate dalla legge e che sono anch’esse soggette a criminalizzazione e restrizioni.
Sono positive le modifiche proposte che consentirebbero ai rifugiati di ottenere una residenza di lungo periodo dopo tre anni e che rafforzano il diritto di circolare e lavorare in altri Stati membri. Inoltre sono benvenute la revisione del piano d’azione sull’inclusione e l’integrazione e l’istituzione di un gruppo di esperti per raccogliere le opinioni dei migranti per indirizzare la politica dell’Ue.
Le proposte del patto iniziano ciò che promette essere un altro periodo lungo e conflittuale di negoziati sulle norme dell’Ue in materia di asilo e migrazione. Mentre tali negoziati sono in corso, è importante ricordare che esiste un quadro europeo in materia di asilo e che gli Stati membri sono soggetti agli obblighi ai sensi del diritto internazionale e dell’Ue in vigore.
Ciò richiede un’azione immediata da parte dei responsabili politici dell’UE, compresi gli Stati membri, per:
Per i prossimi negoziati sul Patto, raccomandiamo ai co-legislatori di:
Firmatari, per la lista aggiornata si rimanda al sito di ECRE
11.11.11
AASIA
ActionAid Denmark
ActionAid Hellas
ActionAid International
ActionAid Italy
aditus foundation
Afghan Association in Sweden
Alianza por la Solidaridad-ActionAid Spain
Amnesty International
ASGI
Association for Legal Intervention (Stowarzyszenie Interwencji Prawnej), Poland
AsyLex
Asylrättscentrum/ Swedish Refugee Law Center
AWO Bundesverband
Bhutan Watch
Bulgarian Helsinki Committee
Caritas Europa
Centre for Peace Studies Zagreb
COMPASS for Refugee Youth
Conselho Português para os Refugiados – CPR (Portuguese Refugee Council)
Cyprus Refugee Council
Danish Refugee Council (DRC)
Der Paritätische Gesamtverband
Deutscher Caritasverband
Diakonie Austria
Diakonie Deutschland
Dutch Council for Refugees
ECRE
Estonian Refugee Council
Europe Must Act
European Evangelical Alliance
FARR, the Swedish Network of Refugee Support Groups
FOCSIV, Italian Federation Christian organisations international volunteering service
Forum réfugiés-COSI
Foundation Our Choice, Poland
Fundacja Polskie Forum Migracyjne/ Polish Migration Forum Foundation
Group 484
Help Refugees/ Choose Love
Helsinki Foundation for Human Rights
HIAS Greece
Homo Faber Association
Hrvatski pravni centar/Croatian Law Centre
Hungarian Helsinki Committee
International Centre for Eritrean Refugees and Asylum Seekers -ICERAS
International Rescue Committee (IRC)
INTERSOS
Irish Refugee Council
Issues Without Borders
Italian Council for Refugees/Consiglio Italiano per i Rifugiati-onlus
JRS Europe
Legal – Informational Centre for NGOs – PIC, Slovenia
Lesvos Solidarity
Mosaico azioni per i rifugiati
Network for Children’s Rights (Greece)
NOMADA Association for Multicultural Society Integration
Norwegian Organisation for Asylum Seekers (NOAS)
Norwegian Refugee Council (NRC)
Pro Asyl
Quaker Council for European Affairs
Refugee Party
Refugee Rights Europe (RRE)
Refugees International
Saferworld
SB Overseas
SCI Hellas
SOS Children’s Villages International
Symbiosis-School of Political Studies in Greece
The International Rehabilitation Council for Torture Victims
The Swedish Syrian Association
United Against Inhumanity (UAI)
vzw NANSEN asbl