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Giornalista
Il 14 agosto scorso, quando un terremoto di magnitudine 7.2, ha colpito Haiti, le donne del Paese sapevano che, oltre alla devastazione portata dal sisma, avrebbero presto dovuto affrontare un’altra emergenza. Non si trattava della tempesta tropicale Grace che, a pochi giorni di distanza, si sarebbe abbattuta sulle aree terremotate, né degli scontri tra le gang della capitale, che negli ultimi mesi, soprattutto dopo l’uccisione del Presidente Jovenel Moïse, hanno costretto circa 19mila persone a scappare, e nemmeno della pandemia che continua a imperversare nel Paese.
Mentre piangevano la perdita dei propri cari e delle proprie case, dopo il sisma, molte donne hanno dovuto fare i conti con la consapevolezza di un nuovo pericolo: l’escalation di abusi sessuali previsto all’indomani di ogni disastro naturale. Un fenomeno devastante e sistematico, che molte avevano già subito nel 2010, quando un altro terremoto aveva colpito Haiti, mietendo oltre 200mila morti, distruggendo gran parte della capitale, Port-Au-Prince, e segnando profondamente la popolazione.
Si stima che, nelle sei settimane dopo il sisma del 2010, 10.813 persone abbiano subito abusi sessuali. La stragrande maggioranza di queste erano donne.
“Nel clima di caos e insicurezza degli enormi campi profughi, la violenza sessuale era aumentata moltissimo,” spiega ad ActionAid Marianne Toraasen, ricercatrice all’Università di Bergen, che ha studiato le conseguenze del sisma del 2010 sulla violenza di genere ad Haiti. “Per le donne, persino riuscire ad andare in bagno, la notte, era un rischio enorme.”
Il sisma dello scorso agosto ha dimostrato che, a undici anni di distanza, non molto è cambiato.
Nei campi profughi improvvisati, le sopravvissute non hanno potuto concedersi neanche un momento per affrontare il lutto di questa nuova catastrofe che ha travolto il Paese, registrando oltre 2,200 vittime e quasi 10mila feriti. “Non ci sentiamo sicure,” ha raccontato ai microfoni di Agence France Press, Vesta Guerrier. Sopravvissuta al sisma di agosto, Guerrier aveva trovato un rifugio provvisorio in un campo profughi senza bagni accessibili, dove uomini e donne dormivano accalcati e dove la privacy rimaneva un’utopia. Per limitare i rischi nel campo, la comunità locale aveva cercato di riunire le donne e le bambine nella stessa area, istituendo squadre autogestite di addetti alla sicurezza improvvisati, per offrire una maggiore supervisione. Questo però non è bastato a trasformare il campo in uno spazio salvo.
“Ci può succedere di tutto,” ha spiegato Guerrier. “Soprattutto di notte. Chiunque può entrare nel campo.”
Haiti purtroppo non è un caso isolato. Diversi studi accademici hanno confermato un incremento del tasso di violenza di genere in seguito a una catastrofe. Secondo una ricerca della London School of Hygiene and Tropical Medicine, questo fenomeno è dovuto ad una serie di concause, tra cui la perdita delle abitazioni, delle relazioni famigliari e l’isolamento sociale improvviso causato dal disastro. Se, dopo aver perso la casa, molte donne sono costrette a dormire per strada o in campi profughi sovraffollati, spesso le bambine vengono separate dai genitori e ospitate da conoscenti, amici e parenti, nelle case che sopravvivono alla catastrofe e che diventano abitazioni provvisorie per molti adulti. Il sovraffollamento e la mancanza di spazi protetti per minori aumentano l’esposizione al rischio di abusi.
Benché la ricerca accademica abbia rivelato l’incremento del tasso di violenza dopo un disastro naturale, si scontra con la difficoltà di accedere a dati precisi durante un’emergenza.
Molto spesso, anche quando le sopravvissute riportano gli abusi subiti alle autorità, non vi è un seguito alla denuncia. Secondo uno studio della Loyola University, dopo che l’uragano Katrina aveva devastato New Orleans nel 2005, in diversi casi le denunce di violenza sessuale non erano state registrate ufficialmente, a causa della situazione emergenziale. Proprio per questo, lo studio sottolineava la necessità di includere linee guida per la prevenzione della violenza di genere nei protocolli di risposta alle emergenze naturali. Anche all’indomani di Katrina, un alto numero di abusi si era consumato nei campi allestiti per gli sfollati. Eppure, l’escalation dopo una catastrofe non riguarda solo gli abusi per mano di sconosciuti, ma anche la violenza domestica.
Secondo la ricerca, i disastri naturali amplificano alcuni degli elementi che tendono ad acuire la violenza, tra questi l’insicurezza finanziaria, il trauma e i problemi mentali. Si stima che, nel periodo successivo al sisma che aveva colpito la Nuova Zelanda nel 2011, nelle zone rurali del Paese, la violenza domestica sia aumentata del 40%.
Queste stesse dinamiche rendono le donne esponenzialmente più vulnerabili anche al cambiamento climatico. Esattamente come nel caso dei terremoti, secondo un recente rapporto dell’Unicef, i disastri climatici portano ad un aumento degli abusi sessuali e della violenza.
“La lotta al cambiamento climatico non è solo una lotta per mantenere il nostro pianeta vivibile,” hanno scritto diversi esperti in un articolo recentemente pubblicato sul blog del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, “Per molte donne, il cambiamento climatico può provocare la violenza.”
La violenza di genere rimane chiaramente un fenomeno umano. Le catastrofi vanno ad amplificare dinamiche già profondamente radicate all’interno della società. “Ad Haiti, la violenza contro le donne, specialmente quella sessuale, era un problema endemico anche prima del sisma del 2010. Con il terremoto vi è stata un’escalation” spiega la ricercatrice Marianne Toraasen. “Storicamente, lo stupro è stato usato come arma politica dai gruppi militari e paramilitari e dai gruppi criminali per controllare la popolazione.”
Ad Haiti, una donna su tre ha subìto violenza. La società è segnata da una profonda disuguaglianza di genere e il sisma del 2010 aveva avuto conseguenze devastanti anche per il movimento per i diritti delle donne.
Nel terremoto erano rimaste uccise le leader Myriam Merlet, Magalie Marcelin e Anne Marie Coriolan, fondatrici di tre delle principali organizzazioni per la parità di genere nel Paese. “Tutte e tre avevano giocato un ruolo importantissimo nella ricostruzione del movimento dopo la dittatura di Duvalier,” racconta Toraasen. “Dopo la loro morte, le loro organizzazioni sono state ampliamente escluse dal processo decisionale post-terremoto.”
Le tre donne avevano avuto un ruolo chiave anche nella campagna che aveva finalmente portato alla criminalizzazione del reato di stupro nel 2005. Fino ad allora, lo stupro era considerato solo “un’offesa alla morale.” Secondo Toraasen, questo aveva rappresentato un grande passo avanti per le donne di Haiti. Purtroppo però gli ostacoli all’applicazione della legge rimangono enormi. Per le sopravvissute ottenere giustizia continua ad essere estremamente difficile, ancora oggi.
Il sistema legale è segnato da una serie di inefficienze strutturali dovute ad anni di instabilità, povertà e corruzione e da profondi pregiudizi di genere. Secondo gli esperti, questo non fa che alimentare il ciclo della violenza.
“L’impunità legittima chi è autore della violenza,” spiega Toraasen. “Se non ci sono conseguenze legali, perché smettere di infliggere gli abusi?”
Dal 2010 al 2019, la Norvegia aveva organizzato corsi di aggiornamento per formare la polizia di Haiti sulla violenza di genere. L’efficacia dell’iniziativa è stata però limitata dall’instabilità politica ed economica del Paese. Molti degli agenti formati non fanno nemmeno più parte delle forze dell’ordine. “È difficile dare seguito a questo di programmi con un’instabilità così pervasiva,” afferma Toraasen.
Non sono però solo le falle del sistema giudiziario a contribuire all’impunità. La povertà e la mancanza di indipendenza economica femminile rappresentano un altro giogo enorme. “In diversi casi in cui i giudici hanno sentenziato l’arresto del partner abusivo, le donne si sono opposte,” continua Toraasen. “Mettere gli uomini in prigione le avrebbe protette ma le avrebbe anche private del sostentamento economico. Diverse madri avevano paura di non riuscire a mantenere i figli da sole.”
Secondo Angeline Annesteus, country director di ActionAid Haiti, da anni le donne e le bambine pagano sulla propria pelle le conseguenze più devastanti delle varie crisi che si sono susseguite nel Paese.
Le donne soffrono le conseguenze più dure dell’instabilità politica, che ha subito un’ulteriore grave escalation dopo l’assassinio del presidente lo scorso luglio. Il Center for Analysis and Research for Human Rights, ha riportato che, da gennaio a settembre, sono stati registrati 628 rapimenti, la maggior parte di questi funzionali a finanziare i gruppi criminali. “Le donne rapite sono stuprate e abusate,” ha dichiarato ai microfoni di France24, Pascale Solages, un’attivista femminista. “Oltre al tema dei rapimenti, dobbiamo mettere al centro del dibattito l’impatto che questa situazione ha specificatamente sulle donne.”
La combinazione di crisi governative, disordini e catastrofi naturali non ha impedito la sopravvivenza del movimento per i diritti delle donne ad Haiti. Nell’ultimo anno, in molte sono scese in piazza più volte per chiedere misure concrete contro la violenza e l’insicurezza.
Secondo Toraasen, è difficile avere dati precisi sugli abusi perpetrati dopo il sisma di agosto. La situazione ad Haiti è estremamente difficile, con crisi ed emergenze diverse che continuano ad abbattersi sul Paese. “Ci vorrà ancora tempo,” spiega Toraasen. “Se non altro, il lavoro portato avanti dalle organizzazioni locali e internazionali degli ultimi anni ha in qualche modo contribuito al cambiamento culturale nella percezione della violenza, che per anni era rimasta un tabù.”
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È una giornalista freelance specializzata in long-form e inchieste internazionali. I suoi articoli sono apparsi, tra gli altri, su New Yorker, Guardian, Slate, Al Jazeera e la sua inchiesta narrativa sull’impunità dei trafficanti di esseri umani in Italia è stata finalista allo European Press Prize 2021. È stata Investigative Fellow alla Columbia Journalism School e il suo lavoro è stato sostenuto da alcuni dei principali grant di giornalismo tra cui lo European Journalism Centre, il Brown Institute for Media Innovation e l’International Women’s Media Foundation. In passato, ha lavorato per CNN, US Press Freedom Tracker e, in Italia, per Vita. Ha conseguito un Master in giornalismo politico e affari internazionali alla Columbia Journalism School, dove è stata San Paolo scholar.