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Trattenuti

Un sistema inumano e costoso, inefficace e ingovernabile, che negli anni ha ottenuto un solo risultato evidente: divenire lo strumento per rimpatri accelerati dei cittadini tunisini.

Dal 2018 al 2021 hanno infatti rappresentato quasi il 50% delle persone in ingresso in un Cpr (centro di permanenza per il rimpatrio) e quasi il 70% dei rimpatri.

Eppure i migranti tunisini hanno rappresentato solo il 18% degli arrivi via mare nel 2018-2023.

Sono questi i tratti caratteristici del sistema dei CPR raccolti nel report “Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” che abbiamo redatto con il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari.

Abbiamo fatto 51 richieste di accesso agli atti a Ministero dell’Interno, Prefetture, Questure e a 30 richieste di esame. Grazie ai documenti raccolti abbiamo potuto svolgere un’analisi dettagliata sul sistema di detenzione dei CPR dal 2014 al 2021.

Le informazioni, disponibili in formato accessibile e aperto a tutti sono ora sulla piattaforma Trattenuti.

La storia di un fallimento

Dal 2017 in poi i diversi Governi in carica hanno deciso di investire nella detenzione amministrativa degli stranieri come efficace politica di rimpatrio con l’obiettivo di istituire un Cpr in ogni regione, 20 in tutto, e si è aumentata la capienza fino ai 1395 posti del 2022.

Oggi sono attive 10 strutture, ma solo 9 sono attualmente aperte e funzionanti. I centri si sono rivelati ingestibili: all’interno atti di autolesionismo, rivolte e disordini provocati dalle condizioni di estremo disagio e privazione dei diritti basilari delle persone trattenute senza aver commesso reati, ha portato a continui danni e distruzioni rendendo indisponibili gran parte dei posti. Il sistema funziona, fin dal 2018, al 50% della sua capacità ufficiale.  

Ciononostante, i termini di durata massima della detenzione sono sempre diventati più lunghi: da 30 giorni nel 1998 a 18 mesi nel 2023. I rimpatri invece continuano a diminuire, dal 60% del 2014 si è passati al 49% del 2021.

Due tipi di CPR

Esistono i centri di frontiera, con tempi di permanenza media più corti ed elevata incidenza dei rimpatri eseguiti (Caltanissetta, Trapani) e i Cpr come estensione del carcere, con permanenza lunga e pochi rimpatri (Torino e Brindisi).

E’ evidente la volontà di confondere il sistema di accoglienza con quello detentivo per i rimpatri nelle zone di frontiera.

Inoltre, nonostante la retorica del Governo, tra il 2018 e il 2021 solo il 15,8% entrano nei CPR dal carcere e, guardando i dati, sono in maggioranza persone che non possono essere rimpatriate.

Costi esorbitanti e gestione incontrollata

Cooperative, soggetti for profit, anche multinazionali. Sono loro a gestire i 10 centri in un preoccupante scenario di caos amministrativo e mancanza di trasparenza. Il sistema delle proroghe non aiuta: si è arrivati a oltre 3000 giorni di proroga.

“Il caos gestionale emerge fin dalle interlocuzioni con le prefetture. A Gorizia, Caltanissetta e Brindisi è impossibile distinguere le spese di manutenzione ordinarie del CPR da quelle del centro di prima accoglienza attiguo. Negli ultimi due casi, CPR e CPA sono inoltre gestiti dai medesimi soggetti privati” dichiara Fabrizio Coresi, nostro esperto Migrazioni.

Chiari sono invece i costi altissimi nonostante il numero limitato di posti. Nel triennio 2018-2021 il sistema è costato 53 milioni di euro. Un milione e mezzo l’anno a struttura, 21 mila euro a posto.

Il costo principale è la manutenzione, che assorbe 15 milioni, confermando che il prolungamento dei tempi di trattenimento porta solo alla crescita dei costi di manutenzione straordinaria.

Questo succede infatti mentre vengono tagliati i servizi di assistenza alle persone.

A settimana ogni persona ottiene solo 9 minuti di assistenza legale, 9 minuti di assistenza sociale, 28 minuti di mediazione linguistica.

“L’investimento nei Cpr ha prodotto una crescita dei costi umani ed economici delle politiche di rimpatrio. Dal 2017 si rimpatria di meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva” continua Fabrizio Coresi. “Il ricorso a queste strutture ha già dimostrato di essere fallimentare, tuttavia, si continuano a presentare i Cpr come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri. I dati raccolti, invece, dicono l’esatto contrario”.

L’analisi presentata impone nuove domande all’esecutivo.

Ci auguriamo che il Parlamento voglia usare i dati messi a disposizione per esercitare il ruolo di indirizzo e controllo che gli è proprio, chiedendo al Governo di chiarire il perché, fra le altre cose, si continua ad investire su un sistema fallimentare da ogni punto di vista.

Legggi il Report Trattenuti

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