ROSITA – CENTRO ANTIVIOLENZA DE L’AQUILA
Sono Rosita Altobelli ho 37 anni e sono avvocata, collaboratrice ActionAid e coordinatrice del Centro Antiviolenza Donatella Tellini de L'Aquila, fondato nel 2008 grazie alla volontà politica di un gruppo di donne attiviste femministe.
Dopo il terremoto dell’aprile 2009, abbiamo continuato a operare accogliendo donne nelle tendopoli allestite. Siamo sopravvissute anche accampate. Nel corso di questi anni il Centro Antiviolenza ha continuato a spostarsi da un luogo all’altro non avendo una sede definitiva e un finanziamento adeguato, regolare e di lungo periodo da parte delle istituzioni, sopravvivendo grazie al lavoro delle numerose volontarie che vi operano. Io sogno una sede definitiva per il Centro Antiviolenza e una casa rifugio (NB. questa intervista è di novembre 2019) che possa garantire l’accoglienza delle donne che hanno subìto violenza e delle loro figlie o figli. Si tratta di una lotta civile importante per tutte noi che conduco ormai da 10 anni insieme alle mie compagne. Non è paradossale che una classe politica che invita le donne a denunciare, e inasprisce le pene per gli uomini violenti, non fornisca le basi concrete per affrontare il problema? Il governo è giorno dopo giorno sempre più responsabile: continua a non trasferire prontamente i fondi e i Centri Antiviolenza rischiano di chiudere lasciando le donne prive di un qualsiasi aiuto.
Chiudere i Centri Antiviolenza significherebbe rendere le donne che subiscono violenza per sempre prigioniere di chi le maltratta.
Cosa è cambiato con l’emergenza Covid19?
Per conoscere l’impatto sul lavoro dei centri antiviolenza, pubblichiamo un aggiornamento della testimonianza di Rosita.
A febbraio abbiamo avuto una buona notizia: abbiamo ottenuto dal Comune un appartamento in comodato d’uso gratuito. Stavamo lavorando per allestirlo come casa rifugio, quando è scoppiata l’emergenza sanitaria. Per noi era una bella notizia perché volevamo da tempo avere a disposizione una casa rifugio, purtroppo per inaugurarla dovremo aspettare. Non abbiamo finito in tempo ammobiliarla e adesso stiamo lavorando da casa. Ci occupiamo però di trovare soluzioni congrue per quante hanno bisogno di una nuova soluzione abitativa anche in questo periodo di emergenza sanitaria.
Il nostro lavoro non si ferma. Ci siamo organizzate per fornire consulenza legale e psicologica via telefono e Skype. Purtroppo non possiamo infatti tenere aperto il Centro fisicamente, perché la sede è troppo piccola per poter garantire al suo interno le distanze di sicurezza previste dalla normativa attuale di contrasto al Coronavirus. Non lasciamo però sole le donne che già seguivamo, con cui continuiamo a essere in contatto e il nostro telefono è sempre disponibile h24 per richieste di aiuto.
Cosa cambia nella gestione delle emergenze? Chiaramente in caso di pericolo ci attiviamo ed è sempre possibile rivolgere a Carabinieri e Polizia in ogni momento.
Una delle difficoltà principali è il non potersi vedere di persona. I consulti telefonici rendono chiaramente più complesso sia per noi che per le donne che a noi si rivolgono instaurare un rapporto empatico e avviare un percorso. Questo è particolarmente vero sia per le emergenze abitative sia per l’attivazione di tirocini o rapporti di lavoro indispensabile per favorire l’empowerment economico e la fuoriuscita da situazioni violente. Qui a L'Aquila poi molte famiglie vivono ancora in situazioni post-emergenziali caratterizzate da spazi stretti, che rendono la convivenza forzata più complessa e possono aggravare situazioni problematiche.
A conferma di quanto accade a livello nazionale stiamo anche noi riscontrando un calo di telefonate e di richieste di supporto. Le donne confinate in casa hanno difficoltà nel chiedere aiuto, non avendo, il più delle volte, la possibilità di effettuare una telefonata senza essere ascoltate e la garanzia della privacy.
Per le donne che subiscono maltrattamenti in famiglia la quarantena coincide con un aumento delle violenze: l’isolamento, la convivenza forzata e l’instabilità socio-economica in questo periodo di emergenza coronavirus sono fattori che rendono le donne e i loro figli più esposte alla violenza domestica. Il calo di richieste di aiuto è un dato che sottolinea le difficoltà di chi subisce violenza a chiedere aiuto proprio perché sotto la continua minaccia del maltrattante.
Quello che ci auguriamo è che ci sia una presa in carico di queste situazioni da parte delle istituzioni, e per questo siamo già in contatto ad esempio con la Regione Abruzzo.