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Kahaso ha 60 anni e si è trasferita a Garithe nel 2003, con suo marito e la figlia. Da più di 6 anni, però, le cose non stanno andando molto bene. L’azienda di estrazione del sale che ha aperto vicino al suo terreno, ha causato la salinazione dell’acqua e Kahaso, che vive dei frutti della sua terra, ha visto morire pian piano davanti ai suoi occhi tutto il suo lavoro.
“Da quando è arrivata questa società, l’acqua è diventata salata e ha fatto seccare tutte le mie piante. Non fanno più frutti. Ho sofferto, e soffro ancora oggi. Tutto quello che ho piantato è appassito, sono rimasti solo alcuni alberi. Immagina di coltivare un albero molto piccolo fino a fargli raggiungere una certa altezza e fargli produrre frutti: è un lavoro impegnativo che dura anni. Poi arriva qualcuno e, in un giorno, te lo uccide”.
Questa è la sua fattoria. L’azienda sta cercando di convincere Kahaso a venderla, ma lei non potrebbe mai. È arrivata qui perché nella sua regione d’origine il problema era la siccità. “Dovevi alzarti all’alba per andare a prendere l’acqua sapendo che non saresti tornata prima di ore”. Kahaso non può rinunciare alla casa che si è costruita da sola e alla terra che possiede di diritto. E nessuno dovrebbe neanche costringerla a credere il contrario.
Là dove c’era una coltivazione di palme, ora non esiste più nulla. “Ho piantato palme, pini, anacardi. Tutto quello che è rimasto è un albero di anacardi qui vicino”. In soli sei anni, la vita di questa donna e della sua famiglia è finita. Prima di questo periodo, Kahaso guadagnava moltissimo anche con le noci di cocco: “Quando ogni mattina venivano a raccogliere le noci di cocco, mi lasciavano 1,500 scellini kenyoti (circa 11,5 €). Ogni giorno”. Sono molti soldi, in Kenya. Soprattutto quando è l’unica entrata familiare.
La soluzione? Aspettare le piogge e coltivare mais nel terreno dei vicini di casa. Sperando che non arrivino altri investitori a rovinare anche questo equilibrio. Nel frattempo, attende che le azioni legali diano i loro frutti. Almeno loro.
Nella contea di Kilfi, le miniere di sale esistono dal 1980. Oggi ci sono sei diverse compagnie che puntano alle miniere lungo la “Salt Belt” della contea a Sud di Magarini, che comprende più di 10 mila ettari di terra. Una terra che è casa per più di 4.500 persone.
In 2.400 hanno avviato una battaglia legale contro la Munyu Salt Company, perché la terra di questi coltivatori è di loro proprietà da generazioni e nessuno può arrogarsi il diritto di agire su di essa senza consenso. La Munyu ha distrutto anche 40 acri di terreno che includevano le mangrovie, una risorsa essenziale per la popolazione locale perché equilibra il microclima della regione.
Le nostre azioni al fianco degli abitanti di questa zona del Kenya sono mirate a sostenere il loro diritto alla terra, con opere di formazione che possano istruirli appieno sulle leggi che riguardano la proprietà e la conservazione ambientale. In attesa che sia fatta giustizia e la “Cintura di Sale” torni ad essere solo la casa di Kahaso e di tutte le famiglie come la sua.
Approfondimenti:
Migrazioni, sicurezza alimentare e politiche di cooperazione