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900mila persone rimaste senza casa

Sono passati quattro anni dall’inizio dell’esodo del popolo dei Rohingya a causa delle violenze scoppiate nello stato di Rakhine, in Myanmar. Sono stati definiti “il popolo meno voluto al mondo”, ed è formato da migliaia di donne, uomini e bambini che si sono trovati costretti a fuggire dalle loro case per cercare riparo nel vicino Bangladesh. Ad oggi, nel campo profughi di Cox’s Bazar stanno vivendo più di 900mila persone, una densità di popolazione che supera quella della città di Torino: stanno affrontando quotidianamente problemi sanitari, di sicurezza, problemi ambientali dovuti alle inondazioni, mancanza di acqua e cibo.

Tutto questo nel contesto sempre attuale della pandemia di Covid-19, che ha fatto vittime a Cox’s Bazar, e continua ad essere un rischio per i profughi che vivono nei campi, dove è difficile attenersi alle regole di distanziamento sociale e di igiene.

L’esodo dei Rohingya

Il numero delle persone in fuga è cresciuto ulteriormente nel febbraio del 2021, quando un golpe militare ha destituito la leader democratica birmana Aung San Suu Kyi.

Il destino di questo popolo senza più stato è incerto e pieno di pericoli, soprattutto per donne e bambini.
Durante le emergenze umanitarie di questa portata si registra sempre un aumento dei rischi di violenza, matrimoni precoci, tratta di esseri umani e altre situazioni limite. La rete umanitaria si focalizza spesso nel dare priorità alla creazione di spazi sicuri per bambine, ragazze e donne.
Al supporto psicologico e sanitario, si unisce la fornitura di kit igienici, cambi, assorbenti e la creazione di gruppi di supporto tra donne

Rohingya: il monsone e le inondazioni

Nelle decine di campi in Bangladesh la situazione è drammatica anche a causa delle tensioni crescenti con la popolazione della zona. Secondo un rapporto dell’UNHCR, i rifugiati che si mettono in viaggio alla ricerca di un luogo sicuro dove vivere, o nel tentativo di ricongiungersi con le proprie famiglie, sono moltissimi. Da gennaio 2020 a giugno 2021, 3046 Rohingya hanno cercato di attraversare il mare delle Andamane e la baia del Bengala sia dal Myanmar che da Cox’s Bazar in Bangladesh. Di questi, 218 hanno perso la vita o sono dispersi in mare.

Il 27 luglio, inoltre, un grave monsone ha colpito il campo profughi, uccidendo 6 persone e causando 14mila sfollati. Le cliniche di primo soccorso, i rifugi, le latrine, i punti di distribuzione di acqua e cibo, i ponti e le strade sono stati tutti danneggiati. Stiamo lavorando anche noi per ripristinarli nel minor tempo possibile.

Con ActionAid Bangladesh abbiamo collaborato al fianco del governo e altri enti locali nella risposta all’emergenza dovuta al monsone Amphan, riportando al riparo 370 persone e riunendone 495 con i familiari più vicini. Abbiamo partecipato alla ricostruzione, alla distribuzione di cibo e acqua potabile a 1395 famiglie; abbiamo distribuito kit per l’igiene per prevenire la diffusione di epidemie, e ripulito oltre un chilometro del sistema di drenaggio, per rimuovere i blocchi delle frane e agevolare il flusso dell’acqua.

Rohingya

Per evitare future erosioni e crolli abbiamo inoltre ricoperto quasi 17mila metri quadri di colline circostanti con dei teloni, e i centri inizialmente dedicati alle donne sono stati tenuti aperti come riparo per le persone rimaste senza casa.

Dall’inizio della fuga del popolo Rohingya, abbiamo supportato 321.313 persone anche con servizi di prevenzione e formazione riguardo alle tematiche dei matrimoni precoci, gestione delle emergenze ambientali, igiene e, ovviamente, Covid-19. Per garantire una vita più sicura possibile a tutti, in una situazione ancora in divenire.

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