Senza rifornimenti e minime condizioni di sicurezza
ActionAid e i suoi partner rischiano di interrompere tutte le operazioni a Rafah
VIDEO testimonianza di Hiba, mamma sfollata a Rafah
14 maggio 2024 – Gli operatori umanitari di Rafah stanno lavorando per continuare a fornire aiuti essenziali alle comunità nonostante operino senza la minima sicurezza e subiscano gli stessi trattamenti disumani del resto della popolazione. Tuttavia, dato che da giorni a Gaza non arriva praticamente nessun aiuto, il loro lavoro sta diventando impossibile e le operazioni di soccorso rischiano di fermarsi completamente.
Uno dei partner di ActionAid a Gaza, WEFAQ, che ha sede a Rafah, ha già dovuto sospendere le sue operazioni dopo che la maggior parte del suo personale è stata sfollata dalle proprie case. WEFAQ offre supporto alle donne e alle ragazze che subiscono violenza ma senza carburante, elettricità e reti di comunicazione non potrà più garantire alcun servizio e gli ospedali non saranno in grado di alimentare le attrezzature.
Sia le misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia che la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno richiesto la fornitura di aiuti umanitari a Gaza, compreso il carburante, eppure quello a cui stiamo assistendo ora è una flagrante inosservanza di queste richieste.
Sono in gioco vite umane: il valico di Rafah deve essere aperto immediatamente e l’invasione della città deve essere fermata in modo che possano essere consegnate forniture urgenti di cibo, carburante e medicine. Mentre centinaia di migliaia di persone fuggono dalla città senza un posto sicuro dove andare, deve esserci un cessate il fuoco permanente e immediato per evitare che la crisi umanitaria vada ulteriormente fuori controllo.
Buthaina Subeh è la direttrice di Wefaq, un’associazione per la cura di donne e bambini, partner di ActionAid Palestina a Gaza, che fornisce cibo caldo, vestiti, kit per la dignità, kit sanitari e supporto psicologico a chi sta vivendo un trauma. Ha dichiarato: “La maggior parte delle nostre operazioni sono state interrotte, tranne i follow-up online. Usiamo una “hotline” per seguire e documentare i bisogni delle persone. Tuttavia, non siamo in grado di operare sul posto, poiché la maggior parte del nostro personale ha perso la casa o è stata sfollata ad Al Mawasi. Non sappiamo nemmeno dove si trovi”.
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