Questione di soldi. Come i sussidi statali alimentano la crisi climatica
Il nuovo rapporto di ActionAid svela il legame tra crisi climatica e sovvenzioni pubbliche ai combustibili fossili e all’agricoltura industriale. Ogni anno oltre 600 miliardi spesi in sussidi ai settori maggiormente responsabili – cifra di oltre 3 volte e mezzo più alta di quella che serve per l’istruzione di tutti i bambini dell’Africa subsahariana.
18 settembre 2024 – Dal 2016, anno dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, al 2023, il settore dei combustibili fossili nei Paesi del Sud globale ha ricevuto in media 438,6 miliardi di dollari all’anno in sussidi statali. Parallelamente, tra il 2016 e il 2021 (ultimo anno per cui sono disponibili dati), l’agricoltura industriale ha beneficiato di sussidi per un valore medio di 238 miliardi di dollari all’anno. È quanto emerge dal rapporto di ActionAid, How the Finance Flows: Corporate capture of public finance fuelling the climate crisis in the Global South. Complessivamente, i due settori maggiormente inquinanti continuano a usufruire di ingenti sovvenzioni pubbliche – 677 miliardi di dollari all’anno – drenando risorse che potrebbero, ad esempio, finanziare oltre tre volte e mezzo il costo dell’istruzione per tutti i bambini dell’Africa subsahariana. Tra i principali beneficiari di tali fondi figurano multinazionali come Shell e il gigante dell’agrobusiness Bayer.
Mentre i Paesi del Nord globale non riescono a garantire finanziamenti adeguati a supportare la transizione climatica, quelli del Sud globale rimangono intrappolati in modelli di sviluppo distruttivi che determinano l’espropriazione di terre, la devastazione di ecosistemi e aggravano le disuguaglianze climatiche. I fondi per combattere la crisi climatica rappresentano meno di 1/20 delle finanze pubbliche destinati alle industrie agricole e dei combustibili fossili nel Sud globale. Nonostante gli impegni per eliminare i sussidi ai combustibili fossili, i paesi firmatari dell’Accordo di Parigi continuano infatti a finanziarne e sovvenzionarne l’estrazione; solo nell’Unione europea, ad esempio, gli Stati membri hanno erogato, complessivamente, una media di 55-58 miliardi di euro all’anno.
Il settore dei combustibili fossili in tutto il Sud globale riceve finanziamenti pubblici 40 volte maggiori rispetto a quello delle energie rinnovabili. I fondi destinati a queste ultime si sono ridotti di oltre il 50%, passando dai 15 miliardi di dollari del 2016 ai 7 del 2021, con una media di soli 10,3 miliardi l’anno. Sono dati che dipingono un quadro allarmante dello stato attuale dei flussi finanziari globali e di come la cattura, intesa come drastica capacità di influenzare le decisioni di spesa, delle finanze pubbliche da parte delle grandi imprese stia attivamente compromettendo i bisogni dei Paesi vulnerabili, insieme agli impegni internazionali sul clima.
“Il problema delle sovvenzioni ci riguarda direttamente. L’Italia è il sesto tra i paesi del G20 per sovvenzioni pubbliche ai combustibili fossili. Di recente, è stata operata una modifica radicale al Fondo Italiano per il Clima, l’ambiziosa proposta lanciata dal precedente governo alla COP26 di Glasgow, trasferendo gran parte delle risorse sotto il Piano Mattei, iniziativa che, al contrario, manca di qualsiasi aspirazione climatica. È quindi evidente che l’impegno a porre fine a ogni forma di sostegno pubblico diretto ai combustibili fossili non è stato rispettato. L’assenza di una politica climatica, unita alle recenti decisioni politiche, come il già citato Piano Mattei, marca un pericoloso allontanamento dagli obiettivi accordati internazionalmente, dimostrando che si sta procedendo in una direzione opposta a quella promessa” afferma Cristiano Maugeri, Policy officer dell’area clima di ActionAid Italia.
Le testimonianze dal Delta del Niger. La comunità di Erhobaro, nel Delta del Niger, ospita 27 pozzi petroliferi, da cui la Shell estrae e vende il suo petrolio. “Un pozzo petrolifero si trova proprio sulla terra di mia madre”, racconta Finegirl, una contadina di 27 anni. “Quando Shell arrivò, promise ai proprietari terrieri che sarebbero stati supportati finanziariamente a vita, ma 15 anni dopo, mia madre non ha ancora ricevuto un solo centesimo”. Al posto del risarcimento, la comunità ha subito solo danni: frequenti fuoriuscite di petrolio hanno inquinato l’acqua, rendendo le terre improduttive e la vita quotidiana insostenibile. “Il rumore incessante e le vibrazioni del pozzo ci impediscono persino di dormire” conclude Finegirl.
A 40 km di distanza, nel villaggio di Oforigbalan, la pescatrice Helen racconta come la pesca, un tempo abbondante, sia ora quasi inesistente a causa dell’inquinamento. “Ho messo le reti stamattina, ma non ho ancora preso un solo pesce. In passato, prendevo molti pesci grandi. C’erano molti pescatori e donne nella comunità e la pesca era un’attività fiorente”.
Jonah Gbembre, un attivista di Iriwekan, località dove l’estrazione di combustibili fossili da parte di Shell ha avuto impatti devastanti, aggiunge: “Le comunità del Delta del Niger hanno assistito in prima persona ai danni irreparabili causati dalle trivellazioni petrolifere. I fiumi che sostenevano la nostra vita sono inquinati. Le persone faticano a trovare acqua potabile e per irrigare i campi, e la pesca non è più possibile perché tutti i pesci sono morti. Le emissioni di gas hanno provocato problemi di salute per i nostri bambini. Abbiamo perso il nostro stile di vita e non si intravede una fine alle nostre sofferenze. Non possiamo continuare a vivere così. Le nostre tasse non dovrebbero sostenere compagnie petrolifere come Shell, che sfruttano le nostre risorse e distruggono le nostre comunità e il nostro modo di vivere. Il governo dovrebbe investire in energie alternative, come il solare e l’eolico, che non danneggiano le nostre comunità”.
Le richieste di ActionAid. Con la campagna internazionale #FundOurFuture, ActionAid esorta a un ripensamento delle politiche finanziarie pubbliche, orientandole verso una transizione giusta e inclusiva che garantisca soluzioni climatiche rispettose dei diritti umani. È cruciale introdurre una regolamentazione nei settori bancario e finanziario per fermare i flussi di finanziamento verso attività nocive, imponendo standard minimi su diritti umani, sostenibilità ambientale e inclusione sociale. Si richiede, inoltre, una riforma urgente delle istituzioni finanziarie internazionali, il cui attuale funzionamento contribuisce ad aggravare il debito dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. I Paesi ad alto reddito devono impegnarsi a fornire sovvenzioni concrete ai Paesi del Sud globale, che subiscono maggiormente l’impatto della crisi climatica. Alla prossima COP29 sarà fondamentale definire un obiettivo ambizioso e realistico, capace di rispondere in modo efficace all’emergenza climatica globale.
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