Mutilazioni Genitali Femminili, ActionAid: un problema anche italiano. Per combatterle indispensabile coinvolgere le comunità migranti.
Secondo le ultime stime disponibili, in Italia le donne con MGF sono tra 61.000 e 80.000. In occasione del 6 febbraio, Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, ActionAid invita il pubblico a mobilitarsi e rende noti i risultati emersi dal progetto AFTER rivolto alle comunità migranti residenti in Europa.
Una forma di violenza silenziosa, che calpesta i diritti di bambine e giovani donne mettendo a rischio la loro salute fisica e psicologica. In occasione del 6 febbraio, Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili, ActionAid invita il pubblico a mobilitarsi per porre termine a una pratica che lascia ferite profonde nel corpo e nella mente e coinvolge almeno 200 milioni di ragazze e bambine in 30 Paesi. Simbolo della campagna è un soffione viola, espressione del desiderio di libertà. Si può aderire alla mobilitazione online attraverso l’hashtag #endFGM e condividendo il post con la foto del soffione che sarà pubblicata martedì 6 febbraio sul profilo Facebook di ActionAid Italia. Sostengono la campagna, tra gli altri, Luciana Littizzetto, Matteo Caccia, Amanda Sandrelli, Cristina Bowerman, Michela Andreozzi, Lella Costa, Marco Di Costanzo, Stefania Rocca, Andrea Lucchetta e le nazionali femminili di pallavolo e rugby.
Le mutilazioni genitali femminili sono un problema che colpisce anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, spesso a rischio di esservi sottoposte quando tornano nel loro Paese di origine per visitare i parenti. Secondo una ricerca coordinata per l’Italia dall’Università degli Studi Milano – Bicocca, le donne presenti in Italia che sono state sottoposte durante l’infanzia a mutilazione sarebbero tra 61.000 e 80.000. Il gruppo più numeroso è quello nigeriano che, insieme alla comunità egiziana, costituisce oltre la metà del totale delle donne con mutilazioni genitali. Ulteriori indagini[2] hanno permesso di stimare la prevalenza del fenomeno all’interno delle singole comunità: le donne provenienti dalla Somalia presentano una prevalenza più alta (83,5%), seguite da Nigeria (79,4%), Burkina Faso (71,6%), Egitto (60,6%) ed Eritrea (52,1%).
Negli ultimi due anni ActionAid si è impegnata per porre fine a questa pratica anche tra le comunità migranti residenti in Europa attraverso AFTER, progetto co-finanziato dall’Unione Europea e implementato in cinque Paesi UE (Belgio, Irlanda, Italia, Spagna e Svezia). Grazie al progetto, è stato possibile realizzare percorsi di empowerment per le donne e di informazione ed educazione per le loro comunità, uomini inclusi, sensibilizzando un più ampio pubblico sull’esistenza in Europa di questo problema che spesso immaginiamo lontano da noi.
“Parlare di mutilazioni genitali femminili ha suscitato inizialmente diffidenza e chiusura, sia perché ogni tema relativo alla sessualità è spesso considerato tabù, sia perché per molte donne e uomini era la prima volta che si metteva in dubbio una pratica che fa parte della loro ‘tradizione’. A questo si somma la non conoscenza dei rischi e delle conseguenze delle mutilazioni. Grazie ai percorsi realizzati all’interno del progetto AFTER, siamo riusciti ad avviare un primo cambiamento nella percezione delle mutilazioni. Si tratta di un primo passo importante per destrutturare le convenzioni sociali che legittimano questa pratica in ogni parte del mondo, nonostante sempre più Paesi si siano dotati di leggi che condannano le mutilazioni genitali femminili”, dichiara Beatrice Costa, Responsabile Programmi di ActionAid Italia.
Il lavoro tra le comunità migranti è stato possibile anche grazie alle testimonianze di donne che hanno combattuto in prima persona le mutilazioni nei loro Paesi d’origine. Storie di cambiamento, come quella di Rahel, ex tagliatrice tanzaniana diventata attivista contro questa pratica: “Era una tradizione della mia famiglia, mia madre mi ha dato lo strumento e lo ha poggiato sulla mia testa dicendo che avrei dovuto tenerlo per sette giorni”. Una cerimonia per consacrarla. È così che Rahel ha cominciato a praticare le mutilazioni genitali femminili. Adesso si batte per far cessare questa pratica, viaggiando anche in Europa per incontrare le comunità migranti originarie dei Paesi a tradizione mutilatoria. “Vorrei dire a tutte le comunità che praticano le mutilazioni genitali femminili di smettere, perché le implicazioni negative per la salute delle donne sono molte”.
Nell’ambito del progetto AFTER, ActionAid e i suoi partner hanno inoltre costruito un network di “agenti del cambiamento”, detti Champions for Change – persone, attivisti e professionisti impegnati a vario titolo nel contrasto alle mutilazioni genitali femminili – e realizzato il documentario “Girls from earth“, road movie sull’amicizia tra una giovane europea e una ragazza africana.
“Per continuare a combattere questa pratica, chiediamo al futuro Governo italiano di assicurare azioni strutturali e continuative nel tempo per prevenire le mutilazioni femminili, con risorse adeguate e certe, valorizzando in particolare le attività che mirano al coinvolgimento delle comunità provenienti da Paesi dove il fenomeno è ancora diffuso”, conclude Costa.
Dei risultati e delle indicazioni emerse dal progetto AFTER si discuterà il 6 febbraio a Strasburgo (ore 18.00, European Parliament, room N 1.2), in occasione dell’evento A Feminist EU External Agenda ‐ Putting an end to Female Genital Mutilation, e il 14 febbraio a Toledo, dove si svolgerà la conferenza conclusiva di AFTER End the Cut–Against Female Genital Mutilation and Cutting through Empowerment and Rejection (9.30-18.30 Universidad Castilla-La Mancha, Facultad de Ciencias Juridicas y Sociales, Edificio Madre de Dios, Cobertizo de San Pedro Mártir).
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[2] I risultati preliminari dell’indagine sono stati diffusi via stampa dall’Università degli Studi di Milano – Bicocca nel febbraio 2017