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Venti giorni di assedio

Venti giorni. Tanto è durato l’assedio all’ospedale di Al-Awda, nostro partner, nel Nord di Gaza.

In questo periodo nessuno è potuto entrare o uscire dalla struttura, essendo completamente circondata.

170 persone rimaste intrappolate – personale, pazienti, parenti – sono rimaste con scorte di cibo e acqua sempre più scarse e hanno dovuto lottare per sopravvivere.

Dopo l’interruzione dei servizi, ora i medici stanno di nuovo facendo nascere i bambini e salvando vite, ma in condizioni incredibilmente difficili.

Il Dottor Adnan Radi, a capo del Reparto di Ostetricia e Ginecologia, ha dichiarato: “Tre medici e un’infermiera più due operatori rimasti uccisi all’interno dell’ospedale negli ultimi giorni dell’assedio. Molte donne incinte sono state invece uccise nei dintorni dell’ospedale, mentre cercavano di raggiungere la struttura in pieno travaglio”.

Arrestato il direttore dell’Ospedale

Finalmente rilasciato il personale che era stato trattenuto dall’esercito israeliano, ma il direttore dell’ospedale – il dottor Ahmed Muhanna – che è stato arrestato e portato via, è ancora detenuto e non si sa dove si trovi.

Siamo quindi estremamente preoccupati per la sua sicurezza e chiediamo che venga rilasciato immediatamente. I professionisti del settore medico godono di uno status protetto dal diritto umanitario internazionale, che deve essere rispettato.

Le attività di cura sono nel mentre riprese, ma il lavoro è reso quasi impossibile dalla grave carenza di forniture mediche, carburante, cibo e acqua.

La struttura è fondamentale. È uno dei soli quattro ospedali parzialmente funzionanti nel nord di Gaza, e l’unica struttura in grado di fornire servizi di maternità nel nord.

Risulta quindi essere una vera e propria ancora di salvezza per le donne incinte.

Domenica scorsa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato di aver annullato per la quarta volta una missione programmata per portare forniture mediche ad Al-Awda e ad altri ospedali del nord, non avendo ricevuto garanzie di sicurezza. Sono passate quasi due settimane dall’ultima volta che l’agenzia è riuscita a raggiungere il nord di Gaza.

“Stiamo affrontando molti ostacoli. Il primo è la sicurezza dell’ospedale e dell’équipe che vi lavora. Ci sono gravi carenze di specialisti e consulenti, poiché la maggior parte dei consulenti e degli specialisti di ostetricia e ginecologia sono stati evacuati a Rafah e Khan Younis. L’immunoprofilassi Anti-D, gli antibiotici e la maggior parte dei farmaci di emergenza in ostetricia non sono disponibili in ospedale. La maggior parte dei nostri interventi chirurgici è fatta alla luce dei fari. Non c’è elettricità. Molte pazienti ci raggiungono con gravi emorragie post-partum, perché hanno partorito durante il tragitto verso l’ospedale o nelle aree evacuate, nelle scuole e in altre zone di Jabalia o Gaza. Molte di loro hanno bisogno di trasfusioni di sangue, che non sono disponibili in ospedale in queste condizioni” conclude il Dottor Adnan Radi.

Riham Jafari, Coordinatrice Advocacy e Comunicazione di ActionAid Palestina, afferma: “È incredibile vedere come l’ospedale di Al-Awda sia di nuovo in grado di fornire le cure disperatamente necessarie alle donne incinte e ad altri pazienti. Ciò è dovuto esclusivamente all’eroico coraggio e all’altruismo del personale dell’ospedale che continua a lavorare nonostante l’immenso pericolo che corre. A nessuna donna dovrebbe essere negato il diritto fondamentale a un’adeguata assistenza alla maternità, eppure, questa è la realtà per le donne che partoriscono a Gaza ogni singolo giorno. Non smetteremo mai di chiedere un cessate il fuoco permanente e immediato, per fermare l’insensata uccisione di civili, permettere agli aiuti vitali di entrare e salvare il sistema sanitario di Gaza dal collasso totale”.

A GAZA È EMERGENZA UMANITARIA

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Photocredit: Stringer/Reuters

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