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8 marzo

Sono 650 milioni in tutto il mondo. È il dato impressionante di ragazze e donne che hanno dovuto sposarsi prima dei 18 anni.

Il fenomeno dei matrimoni precoci e forzati è un problema globale, riguarda anche l’Italia.

Eppure se ne parla troppo poco, convinti che il problema non esista nel nostro Paese.

Per questo, in occasione della Giornata Internazionale della Donna abbiamo deciso di accendere i riflettori. Ogni anno sono 12 milioni le bambine e le adolescenti che rischiano di subire un matrimonio precoce e forzato.

Purtroppo non abbiamo dati sufficienti e accurati che fotografino la situazione italiana. Possiamo stimare che il rischio riguardi circa 2.000 bambine e ragazze ogni anno, in maggioranza delle comunità originarie di Bangladesh, Mali, Somalia, Nigeria, India, Egitto, Pakistan. Da quando il matrimonio forzato è stato inserito come reato all’interno del Codice Rosso, si sono registrati 35 reati di costrizione o induzione al matrimonio (agosto 2019 – dicembre 2021).

A mancare però sono le azioni concrete di contrasto. Infatti, il matrimonio precoce e forzato è stato citato anche nel piano antiviolenza 2021-2023, dove si parla anche di ricerca e mappatura delle pratiche. Ciò però non è accaduto perché non è stato realizzato un piano operativo e non sembra essere stato considerato una priorità.

Il progetto Join our Chain a Milano

È per accendere i riflettori sul fenomeno, collaborare con le comunità, informare e prevenire, che a Milano parte il progetto Join our Chain. Protagonisti i community trainer, un ruolo chiave. Sono sette donne e un uomo delle comunità maggiormente esposte al pericolo. Con loro è stato creato un modello di intervento che mette in relazione, istituzioni locali e altre realtà della società civile

Ne parla Tahany, di origine egiziana, ma in Italia da oltre 25 anni con due figli ormai grandi.

Come community trainer di noi di ActionAid lavora con le comunità per contrastare due gravi violazioni dei diritti di bambine e donne: le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati. L’esperienza di contrasto alle mutilazioni genitali femminili, che come organizzazione abbiamo in Italia e nel resto del mondo, mostra quanto la collaborazione positiva con le comunità sia fondamentale. Ne abbiamo parlato anche nella puntata “Il corpo è mio” del podcast “La mia parte”, dove community trainer ed esperte raccontano come è possibile agire.

Tahany è laureata in in Cultura e Lingua Araba in Egitto, è arrivata in Italia dopo essersi sposata ed oggi è una figura riconosciuta e rispettata nella sua comunità.

Spiega: “Qui il problema è davvero sottovalutato, molte persone con cui parlo restano stupite, ci si accorge dell’esistenza dei matrimoni forzati solo quando si arriva al caso di cronaca tragico. Ma è una cosa a cui bisogna prestare attenzione sempre perché il matrimonio è un tema molto sentito e sempre presente, se ne parla molto in casa e le ragazze spesso lo temono. Bisogna creare occasioni di dialogo e conoscenza con i genitori: In alcuni casi, infatti, famiglie arrivate in Italia tanti anni fa hanno fatto una scelta dolorosa, hanno “sacrificato” la prima figlia, la più grande. Significa che hanno fissato il matrimonio nel paese d’origine e la ragazza così è tornata indietro, a vivere lontano e distaccata dalla propria famiglia di nascita, senza sostegno nel momento del parto e nella vita dei nipoti. Moltissimi genitori si sono pentiti di aver forzato le proprie figlie in queste unioni combinate, hanno capito quanto dolore hanno inflitto alle figlie e a sé stessi per rispettare delle tradizioni passate. La mia religione richiede il consenso della donna al matrimonio, non permette che si possa imporre il volere di altri, se una cultura tradizionale vuole invece negare la possibilità ai giovani di scegliere io posso spiegare alle famiglie perché è sbagliato farlo.”

Tahany spiega anche che c’è lo stereotipo diffuso che nelle famiglie musulmane sia il padre a condannare le figlie a matrimoni precoci. Più spesso invece sono le madri a decidere il futuro delle figlie ed è con loro che bisogna creare un dialogo e un’alleanza per far scattare un cambiamento positivo. Fondamentale anche il contatto con insegnanti e associazioni in contatto con ragazze impaurite di andare in vacanza nel paese di origine della famiglia per il rischio di subire un matrimonio non voluto.

Cosa succede in Africa e Asia

In Africa Sub-Sahariana il 35% delle donne si sposa da bambina. Il fenomeno è in calo solo di poco: erano il 38% dieci anni fa.

Ma non è l’Africa il Paese che detiene il triste primato. È in India che il numero raggiunge la cifra più alta al mondo con 200 milioni di bambine costrette a sposarsi precocemente. Rappresentano un terzo del totale globale.

Infatti al momento circa il 16% delle adolescenti sono sposate e ogni anno vengono contratti 1,5 milioni di matrimoni precoci e forzati sotto i 18 anni.

Siamo attivi da tempo nel Paese con progetti di varia natura e dal 2019 con il “Child Marriage Free District” lavoriamo 13 distretti del Bihar, 10 distretti del Jharkhand, 15 distretti dell’Odisha, 8 distretti del Rajasthan e 6 distretti del Bengala occidentale per puntare all’eliminazione del fenomeno.

Nei primi due anni di progetto sono stati fermati 1.731 matrimoni infantili.

Le cause dei matrimoni precoci

Discriminazioni di genere, convinzioni patriarcali, povertà estrema e fame sono le cause principali per cui le bambine vengono date in sposa senza il loro consenso, con l’obiettivo di avere una bocca in meno da sfamare in famiglia.

Sono quindi contesti di rischio le crisi alimentari, come quella che in Africa orientale vede coinvolte 20 milioni di persone tra Kenya, Somalia ed Etiopia, che hanno visto peggiorare ulteriormente la loro situazione a seguito della guerra in Ucraina. Lo stesso si può affermare per la siccità e le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Le donne sono sempre a maggior rischio di subire violenze durante le emergenze umanitarie.

“I tassi di matrimoni forzati diventano davvero alti. Noi ci impegniamo per sensibilizzare le comunità, monitoriamo la situazione nei villaggi e facciamo prevenzione, oltre a dare risposta immediata ai casi che scopriamo. In questo momento abbiamo degli spazi sicuri aperti 24 ore su 24, è molto importante perché non lasciamo sole le comunità. Diciamo alle persone che se hanno paura di affrontare un problema possono chiamare il nostro numero e noi ci siamo, non devono arrivare a gesti estremi” dichiara Hibo Aden, avvocata responsabile dei diritti delle donne per ActionAid Somaliland.

Il nostro intervento nel mondo

Sono 29 i Paesi dove abbiamo progetti specifici di contrasto e prevenzione ai matrimoni precoci e forzati. A beneficiare dell’intervento non sono solo le bambine, ma anche le loro famiglie e le comunità in cui vivono. Nelle scuole si organizzano incontri di formazione per spiegare la gravità e le conseguenze di un matrimonio contratto in giovane età e si promuove la formazione di reti locali di donne e uomini che operano nelle comunità per disincentivare questa pratica, evidenziando anche il ruolo positivo che l’istruzione delle ragazze ha per l’intera comunità. Il problema viene affrontato sotto vari aspetti: dal portare i responsabili di fronte alla giustizia, al cambiare comportamenti nelle comunità locali, alle campagne a livello regionale, nazionale e internazionale per influenzare le politiche e le leggi per porre fine a questa e altre forme di violenza contro le ragazze.

La campagna

In occasione dell’8 marzo abbiamo deciso di rilanciare la campagna “Non sono spose, sono bambine”, grazie anche al sostegno di Claudia Gerini.

L’obiettivo è garantire il sostegno necessario perché le bambine dei vari paesi in cui noi di ActionAid operiamo possano andare a scuola e crescere in un ambiente sicuro, all’interno delle proprie comunità e delle proprie famiglie.

Non sono spose, sono bambine.

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