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A Milano riparte il progetto Join our Chain con le comunità straniere per fare informazione e prevenire matrimoni precoci e forzati. Le storie di ragazze e attiviste di ActionAid in Italia e nel mondo.
Sono 650 milioni in tutto il mondo le donne che hanno dovuto sposarsi prima dei 18 anni. Ogni anno 12 milioni di bambine e adolescenti rischiano di subire un matrimonio forzato e precoce. È un problema globale ma che riguarda da vicino anche giovanissime ragazze in Italia, come testimoniano le storie di Saman Abbas, Sana Cheema e Hina Saleem.
In Italia non ci sono dati sufficienti e accurati che raccontino l’incidenza del fenomeno. Si stimano però circa 2.000 bambine e ragazze all’anno a rischio matrimonio forzato, le comunità straniere più toccate da questa pratica sono quelle del Bangladesh, Mali, Somalia, Nigeria, India, Egitto, Pakistan. Da quando il matrimonio forzato è stato inserito come reato all’interno del Codice Rosso, si sono registrati 35 reati di costrizione o induzione al matrimonio (agosto 2019 - dicembre 2021). Inoltre, pur essendo citato anche nel piano antiviolenza 2021-2023, inclusa la previsione di una ricerca e di una mappatura delle pratiche, non essendoci un piano operativo, nulla è stato realizzato e sembra non essere una priorità.
Tahany, egiziana, in Italia da oltre 25 anni con 2 figli ormai grandi, è una delle Community Trainer di ActionAid nel progetto Join our CHAIN a Milano, che contrasta e sensibilizza sui matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili. Laureata in Cultura e Lingua Araba in Egitto, è arrivata in Italia dopo essersi sposata ed oggi è una figura riconosciuta e rispettata nella sua comunità.
Tahany racconta: “Qui il problema è davvero sottovalutato, molte persone con cui parlo restano stupite, ci si accorge dell’esistenza dei matrimoni forzati solo quando si arriva al caso di cronaca tragico. Ma è una cosa a cui bisogna prestare attenzione sempre perché il matrimonio è un tema molto sentito e sempre presente, se ne parla molto in casa e le ragazze spesso lo temono. Bisogna creare occasioni di dialogo e conoscenza con i genitori: In alcuni casi, infatti, famiglie arrivate in Italia tanti anni fa hanno fatto una scelta dolorosa, hanno “sacrificato” la prima figlia, la più grande. Significa che hanno fissato il matrimonio nel paese d’origine e la ragazza così è tornata indietro, a vivere lontano e distaccata dalla propria famiglia di nascita, senza sostegno nel momento del parto e nella vita dei nipoti. Moltissimi genitori si sono pentiti di aver forzato le proprie figlie in queste unioni combinate, hanno capito quanto dolore hanno inflitto alle figlie e a sé stessi per rispettare delle tradizioni passate. La mia religione richiede il consenso della donna al matrimonio, non permette che si possa imporre il volere di altri, se una cultura tradizionale vuole invece negare la possibilità ai giovani di scegliere io posso spiegare alle famiglie perché è sbagliato farlo. Per parlare di questi temi c’è bisogno di tanta fiducia, di far sentire al sicuro le persone, per poter ascoltare e trovare un confronto. Sono le mamme le più importanti da convincere, sono loro che decidono nelle famiglie. Spesso qui c’è uno stereotipo diffuso sulle famiglie musulmane e si pensa che sia il padre il genitore che decreta il futuro delle ragazze; invece, è con le mamme che cerchiamo l’alleanza più importante, quelle con cui dialogare e far accettare i cambiamenti della società. Mi capita di essere chiamata da insegnanti e associazioni per fare incontri con le ragazze, spesso hanno paura di essere mandate a fare le vacanze estive nei paesi di origine dei genitori e lì dover conoscere il ragazzo che la famiglia hanno scelto per il matrimonio. In questi casi si cerca di parlare con le famiglie, di capire, e di avere la possibilità di farle ragionare, di riflettere. È questo lavoro continuo e prolungato di sensibilizzazione e informazione con tutta la comunità che cambia davvero le cose”.
COSA SUCCEDE IN AFRICA E ASIA. A livello mondiale il fenomeno ha numeri ancora molto elevati: in Africa Sub-Sahariana ancora oggi il 35% delle giovani donne si sposa da bambina, un numero di poco inferiore al 38% di dieci anni fa. È l’India a detenere il triste primato del paese con il maggior numero di spose bambine al mondo, più di 200 milioni, un terzo del totale globale. Un Paese dove circa il 16% delle adolescenti sono attualmente sposate e dove ogni anno almeno 1,5 milioni di ragazze sotto i 18 anni vengono costrette a prendere marito senza il loro consenso. In India con il “Child Marriage Free District”, ActionAid a partire dal 2019 lavora nelle regioni in cui questa pratica è più diffusa per eliminarla totalmente, sensibilizzando e rafforzando le competenze e la capacità di risposta delle istituzioni e dei governi distrettuali che uniscono gli sforzi per ottenere questo specifico “titolo” di merito. ActionAid si occupa poi dei diritti delle adolescenti restituendo loro opportunità educative e aiutandole a costruire il proprio futuro. L'iniziativa coinvolge 13 distretti del Bihar, 10 distretti del Jharkhand, 15 distretti dell'Odisha, 8 distretti del Rajasthan e 6 distretti del Bengala occidentale. Nei primi due anni di progetto sono stati fermati 1.731 matrimoni infantili.
TRA PATRIARCATO E FAME. I matrimoni precoci e forzati sono conseguenza delle disuguaglianze e delle discriminazioni di genere, che si combina spesso anche con la povertà estrema. Le convinzioni patriarcali profondamente radicate attribuiscono scarso valore alle ragazze e assecondano il desiderio di controllare la vita delle donne e soprattutto la loro sessualità fin da bambine. Se a questo si aggiungono condizioni di povertà e fame, la scelta drammatica per avere una persona in meno da sfamare, soprattutto per le famiglie più numerose, è quella di far sposare precocemente la figlia che andrà a carico del marito e dare maggiori chance agli altri figli di sopravvivere. L’Africa orientale, ad esempio, sta affrontando la peggiore crisi alimentare degli ultimi quarant’anni e più di 20 milioni di persone tra Kenya, Somalia ed Etiopia soffrono la fame ogni giorno a causa della guerra in Ucraina, della siccità e della crisi climatica.
“Quando c'è una siccità o una crisi umanitaria, le donne e soprattutto le ragazze, sono le più vulnerabili e i tassi di matrimoni forzati diventano davvero alti. Noi ci impegniamo per sensibilizzare le comunità, monitoriamo la situazione nei villaggi e facciamo prevenzione, oltre a dare risposta immediata ai casi che scopriamo. In questo momento abbiamo degli spazi sicuri aperti 24 ore su 24, è molto importante perché non lasciamo sole le comunità. Diciamo alle persone che se hanno paura di affrontare un problema possono chiamare il nostro numero e noi ci siamo, non devono arrivare a gesti estremi” dichiara Hibo Aden, avvocata responsabile dei diritti delle donne per ActionAid Somaliland.
L’IMPEGNO DI ACTIONAID IN ITALIA E NEL MONDO. In Italia ActionAid è impegnata nella prevenzione, la protezione e il sostegno a donne e ragazze esposte ai rischi di matrimoni precoci e forzati e mutilazioni genitali femminili. In particolare, a Milano grazie a incontri di formazione e al ruolo chiave delle Community Trainer, 7 donne e un uomo delle comunità straniere maggiormente esposte al pericolo, è stato possibile creare un modello di intervento in collaborazione con le istituzioni locali e altre realtà della società civile che prevede procedure e azioni per la protezione e il supporto di donne e bambine. Il lavoro nel prossimo biennio prosegue con “Join our CHAIN”, che vede ActionAid insieme alle associazioni Terres des Femmes (Germania), insieme a AkiDwa (Irlanda) e End FGM EU Network (Belgio) lavorare sul contrasto alle pratiche lesive dei diritti delle donne. Join our CHAIN mette al centro il lavoro di sensibilizzazione, formazione ed informazione portato avanti dalle Community Trainer, donne appartenenti a comunità presenti sul territorio milanese e originarie di Paesi dove ancora sono diffuse le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati.
Nel mondo, in oltre 29 paesi, ActionAid promuove progetti di contrasto e prevenzione ai matrimoni precoci e forzati. A beneficiare dell’intervento non sono solo le bambine, ma anche le loro famiglie e le comunità in cui vivono. Nelle scuole si organizzano incontri di formazione per spiegare la gravità e le conseguenze di un matrimonio contratto in giovane età e si promuove la formazione di reti locali di donne e uomini che operano nelle comunità per disincentivare questa pratica, evidenziando anche il ruolo positivo che l’istruzione delle ragazze ha per l'intera comunità. Il problema viene affrontato sotto vari aspetti: dal portare i responsabili di fronte alla giustizia, al cambiare comportamenti nelle comunità locali, alle campagne a livello regionale, nazionale e internazionale per influenzare le politiche e le leggi per porre fine a questa e altre forme di violenza contro le ragazze.
LA CAMPAGNA. Anche quest’anno, in occasione dell’8 marzo, ActionAid vuole accendere i riflettori su questo tema grazie anche al sostegno di Claudia Gerini che ha prestato la sua immagine per la campagna “NON SONO SPOSE, SONO BAMBINE”. L’iniziativa ha l’obiettivo di garantire il sostegno necessario perché le bambine dei vari paesi in cui opera ActionAid possano andare a scuola e crescere in un ambiente sicuro, all’interno delle proprie comunità e delle proprie famiglie.
Per informazioni:
Ufficio Stampa ActionAid Italia
Alice Grecchi +39.3395030480 – [email protected]
Paola Amicucci +39.3457549218 - [email protected]
Daniela Biffi [email protected] - +39.3472613441