(Testo e immagini di Michela Chimenti, sostenitrice di ActionAid e giornalista freelance).
Da Wikipedia: “Nel linguaggio comune, mal d’Africa si riferisce alla sensazione di nostalgia di chi ha visitato l'Africa e desidera tornarci”. Se a questo si aggiungono occhi lucidi, senso di vuoto, inutilità e inadeguatezza, allora la definizione può dirsi completa.
No, non ci siamo ammalati. Il mal d’Africa è qualcosa per cui non esiste vaccinazione o precauzione. Arriva all’improvviso, quando senti il rumore della cerniera dello zaino che si chiude, cerchi il passaporto abbandonato sul letto, o quando aspetti il bus che ti porta in aeroporto: quando lo senti, ormai è tardi. Solo chi è con te può capire, perché ha lo stesso sguardo perso negli occhi, lo sguardo di chi cerca una scusa per restare, anche solo un’ora di più.
Questo è ciò che è successo a noi: 23 (ormai) amici che non vogliono tornare a casa. Tutti i miei compagni hanno detto di essere partiti senza alcuna aspettativa; tutti si portano a casa i momenti di gioco/lavoro con i bambini, e le loro grida sorridenti al nostro passaggio. Oltre a ciò, uso le parole di alcuni di loro per tirare le fila di questo viaggio che ha cambiato tutti.
SANDRO (sostenitore, 64 anni)
“Ho trovato cose nuove, non tanto negli altri, ma in me stesso. Ho scoperto cose che pensavo di non avere, come l’umiltà: vedere questi bambini e ragazzi, scendere al loro livello e lavorare con loro, per portare avanti il progetto della scuola. Scoprire che una delle cose più belle è cercare di fare del bene alle altre persone, perché siamo tutti proiettati nel futuro, ad avere “il top” rispetto agli altri, a dire “io sono più bravo”; mentre abbiamo visto bambini che si divertono con una bottiglia d’acqua. Vuota, tra l’altro. Non dico che questo viaggio mi ha fatto maturare, perché se non sono maturato in 64 anni non maturo più (ride, ndr), ma diciamo che mi porto a casa l’attenzione nel fare un passo indietro e rispettare di più gli altri”.
ANDREA (operatore, 43 anni)
“La sorpresa è che c’erano due gruppi diversi, sostenitori e operatori, e ognuno ha dato il meglio di sé, anche nei momenti di difficoltà. Ed è stato bello per tutti. Da questo capisci che quando hai un obiettivo comune le cose sono più facili. Mi mancherà l’umanità dei rwandesi, gli adulti hanno un’ingenuità e una purezza pari a quella dei bambini. È un insegnamento: la nostra società è molto più complessa, e a volte essere semplici e diretti ci umanizza molto di più.
Consiglierei questo viaggio ad altri? Sì, soprattutto ad altri colleghi, per verificare con mano che effettivamente l’attività di ActionAid porta dei contribuiti. Non è un viaggio vacanza o un viaggio avventura: è un’esperienza profonda che ci porteremo dentro per tutta la vita”.
MARIA GIULIA (sostenitrice, 19 anni)
“Cercavo risposte sul mio futuro e in questo viaggio le ho trovate. Tutto è stato inaspettato, tutta una sorpresa, niente è stato ordinario, tutto ha superato la normalità, in senso positivo. Mi mancherà dare la mano alle persone per strada, ricevere doni senza un motivo, l’affetto di tutti quelli incontrati. Consiglio un viaggio così perché ti segna profondamente, soprattutto se si sente la necessità di cambiare rotta o prospettiva, allora sì, è la scelta perfetta”.
SAVINO (sostenitore, 74 anni)
“La cosa che avevo previsto era certamente di poter conoscere Uwera, la bambina adottata a distanza nel 2004. Incontrarla e poterci parlare l’ha resa una figura più concreta: prima il nostro rapporto si riduceva a un mero aiuto mensile; adesso c’è una persona in carne ed ossa alla quale pensare. Quello che non avevo previsto sono i bambini. Mi hanno commosso soprattutto il primo giorno, quello di maggiore impatto. Il loro sguardo, il loro bisogno di essere amati – credo - questo ha avuto un impatto forte quasi quanto quello di aver incontrato Uwera.
A casa proverò a capire meglio come si vive in occidente, per dare il giusto peso ai valori. Questo Paese e la sua povertà, come tanti altri a questo mondo, mi fanno sentire come se avessi appena finito un ritiro spirituale. Giuro che lo rifarei subito se ce ne fosse l’occasione”.
ELISABETTA (sostenitrice, 50 anni)
“Non aspettandomi nulla, è arrivato tutto. È arrivato un senso della vita che va modificata, quantomeno la mia, rendendola più utile e coerente, cercando di fare qualcosa sia per gli altri, ma anche per me stessa. Dietro questi viaggi c’è sempre la voglia di stare bene, di sentirsi meglio facendo qualcosa per gli altri. La certezza più potente di prima è quella di trasportare quello che ho vissuto a persone che, so già, diranno: “Quando dai 10 e poi arriva 5”. Adesso risponderò: “Sì, ma almeno quel 5 arriva”.
E abbiamo toccato con mano cosa significhi in un paese come il Rwanda dare anche poco, ma dare. Bisogna cercare di fondere questa esperienza con il nostro quotidiano per far si che tutti nel proprio piccolo possano contribuire. Mi porterò a casa un nodo in gola e nelle prime 24 ore non sarò in grado di raccontare niente a nessuno. Credo che un’esperienza di questo tipo sia istruttivo per chiunque”.
Io mi porto a casa la consapevolezza, una volta di più, che cambiare la propria vita e quella degli altri è davvero semplice, basta volerlo. Al prossimo viaggio!Michela