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In Africa uno dei problemi che affliggono le donne è l’impossibilità di possedere la terra che coltivano. Gruppi di investitori e corporations spesso ottengono dai governi il permesso di gestire grandi appezzamenti di terreno a discapito delle agricoltrici locali e della produzione di cibo per il mercato interno.

Per questo circa 400 donne da 22 paesi africani si sono riunite in Tanzania per redarre una carta delle richieste con l’obiettivo di presentarla alle Nazioni Unite nel 2017.

Gli agricoltori locali producono quasi l’80% del cibo disponibile in Africa. La stragrande maggioranza di loro sono donne. Dalla semina, alla rimozione delle erbacce, dalla fertilizzazione fino alla produzione e al trasporto del prodotto, giocano un ruolo chiave nel nutrire più di un miliardo di persone.

Anche se svolgono la maggior parte del lavoro, in molti paesi le donne non hanno il controllo sulla terra che coltivano. Molte leggi nazionali adesso lo permettono, ma spesso non è così per quanto riguarda le regole familiari e le tradizioni culturali.

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La questione non riguarda solo il diritto di possedere la terra che coltivano: per produrre cibo, tutti gli agricoltori hanno bisogno di avere accesso a risorse indispensabili come l’acqua, e questo è un altro settore dove i diritti delle donne sono spesso negati.

A peggiorare la cosa, molti governi africani insieme ai governi di paesi finanziatori come gli Stati Uniti stanno attivamente incoraggiando grandi investimenti su piantagioni dove vengono prodotti cibo e biocarburanti per l’esportazione. Questi grandi progetti agroalimentari spesso fanno affidamento sull’uso massiccio di fertilizzanti chimici e offrono alle persone del posto solo lavori stagionali e mal pagati.

La terra che i governi mettono a disposizione di questi progetti di piantagioni su larga scala spesso è la stessa terra che le agricoltrici locali stanno già usando. Così le donne agricoltrici – che in molti paesi vedono già negato il loro diritto al possesso della terra che coltivano – sono frequentemente le prime a essere costrette ad abbandonare la loro terra a favore di questi progetti.

Le agricoltrici locali stanno già sfamando la maggior parte del continente, anche se nel mentre vedono negati i loro diritti. Immaginate cosa potrebbero fare queste donne così abili se vedessero riconosciuto il loro diritto alla proprietà della terra che coltivano e avessero garantito l’accesso ai mercati locali e nazionali!

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ActionAid supporta le donne del posto e le loro comunità in tutto il mondo affinché resistano ai tentativi delle corporation di prendere la loro terra e continuino a reclamare il loro diritto alla proprietà degli appezzamenti che coltivano. Sappiamo che per molte donne, la terra simboleggia la vita. Fornisce cibo per sfamare le loro famiglie ed è un’affidabile risorsa di entrate con le quali possono mandare i figli a scuola e comprare i prodotti che non riescono a coltivare.

Sosteniamo gruppi di donne agricoltrici determinate e motivate a cambiare il mondo intorno a loro in tutto il continente africano.

Circa 400 di loro, provenienti da 22 paesi africani, si sono ritrovate ai piedi della montagna più alta del continente, il Monte Kilimanjaro in Tanzania, per condividere le lotte che affrontano e per appellarsi ai decisori politici affinché si mobilitino in difesa del diritto delle donne alla terra.

Il gruppo ha redatto una carta di principi e richieste focalizzata in maniera specifica sulla possibilità per le donne di usare, controllare, possedere, ereditare e disporre della loro terra e delle risorse naturali connesse.

Lovelyn Ejim Nnenna, la portavoce del Consiglio rurale delle donne, ha presentato la carta di tutte le donne al Portavoce della Commissione dell’Unione Africana, che è rappresentata da Ouriatou Danfakha.

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Per attirare l’attenzione su quanto richiesto, un gruppo di 29 donne, rappresentante i milioni di agricoltrici locali in tutto il continente africano, ha deciso di scalare la vetta del Monte Kilimanjaro. Al rientro alla base alla fine della scalata, sono state accolte come eroine!

Ad aspettarle anche i rappresentanti dei governi di Kenya, Burundi e Tanzania, nonché dell’Unione Africana, che hanno chiesto al gruppo di lavorare insieme a loro per presentare le richieste alle Nazioni Unite nel 2017.

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