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Uno spazio di crescita, confronto, benessere ma anche di coesione sociale: questo è ciò che lo sport dovrebbe essere per tutti i cittadini e le cittadine.
Tuttavia, c’è ancora chi si trova escluso “dal campo”, come evidenzia il nostro rapporto “Sport e cittadinanza. Norme, pratiche e ostacoli”.
Il report, infatti, sottolinea le discriminazioni che interessano in particolare i giovani under 18 senza cittadinanza sulla base dello Ius soli sportivo (legge 12/2016) e dello Ius Culturae sportivo (art.1 co. 369 della Legge di Bilancio 2018) che - pur basandosi sull’idea di sport come strumento di inclusione - hanno finito per produrre disparità tra i minori italiani e stranieri.
Lo Ius soli sportivo prevede infatti che i minorenni che non sono cittadini italiani ma che risiedono regolarmente in Italia età possano essere tesserati presso le società sportive dal compimento del decimo anno con le stesse procedure previste per i cittadini italiani.
La limitazione al compimento dei dieci anni determina però una disparità di trattamento: è il caso, ad esempio, di un minore entrato sul territorio nazionale all’undicesimo o dodicesimo anno di età che si ritrova quindi escluso dai benefici della legge.
Un’altra criticità è la questione della “residenza regolare”: anche se il testo non menziona espressamente di che tipo di residenza si tratti, l’aggettivo 'regolare' sembra far riferimento proprio alla residenza anagrafica, tema critico per gli stranieri perché legato alla titolarità del permesso di soggiorno.
Lo Ius Soli Culturae stabilisce che i minori cittadini di paesi non appartenenti all’Unione Europea, anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, possono essere tesserati purché siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano. Introdotto successivamente per affiancare lo Ius soli sportivo, ma ancora troppo poco conosciuto e scarsamente applicato sul territorio, perché in molti casi ancora non si consente il tesseramento di figli di genitori irregolarmente presenti sul territorio italiano o che hanno difficoltà a ottenere il certificato di residenza anagrafica.
“Lo sport non dovrebbe concedersi di perdere la sua partita più importante: essere il luogo dell’inclusione di tutte le persone. È necessario quindi garantire la possibilità di accedere alla pratica sportiva per tutti, indipendentemente da origine o status giuridico” ha affermato in proposito Daniela Capalbo, Referente ActionAid per la Campania, impegnata su questo fronte anche attraverso il progetto Dialect, realizzato nell’area metropolitana di Napoli, dove svolgiamo numerosi interventi volti alla promozione del diritto alla cittadinanza inclusiva, e che ha coinvolto nella prima edizione 8 associazioni, rappresentanti istituzionali, famiglie e 150 adolescenti.
DIALECT - “Disrupting Polarization: Building Communities of Tolerance throught Football” è una delle iniziative che promuoviamo con l’obiettivo di evidenziare il ruolo dello sport nella costruzione di una società più inclusiva.
Il progetto, finanziato dal Programma Rights Equality and Citizenship (REC) dell’Unione Europea, ha coinvolto 4 paesi europei tra cui l’Italia, dove ha interessato in particolare l’area metropolitana di Napoli con percorsi di ricerca sul territorio e di capacity building per giovani con background multietnico che sono stati formati per diventare mediatori sul campo, rafforzandone la capacità di contrastare l’insorgere di atteggiamenti intolleranti e discriminatori.