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La riforma del Reddito di Cittadinanza mette a rischio i diritti delle donne che hanno subito violenza e stanno cercando di ricostruirsi una vita.
Infatti la sostituzione del Reddito di Cittadinanza con il nuovo Assegno di Inclusione rischia di eliminare una forma di supporto al reddito che si è rivelata negli ultimi tempi fondamentale per molte donne che hanno subito violenza.
Questo perché la misura proposta dal Governo non permette alle donne che subiscono violenza e si trovano in una situazione di fragilità economica di accedervi. Ciò accade perché il sussidio esclude di fatti le donne che non hanno figli a carico e rende complesso aderirvi anche per chi ha minori, ma si trova in una situazione di vulnerabilità.
Più nel dettaglio, il nuovo DL Lavoro recita: “è riconosciuto, a richiesta di uno dei componenti del nucleo familiare, a garanzia delle necessità di inclusione dei componenti di nuclei familiari con disabilità nonché dei componenti minorenni o con almeno sessant’anni di età” e prevede che tutte le persone facenti parte del nucleo familiare maggiorenni “che esercitano la responsabilità genitoriale, non già occupati e non frequentanti un regolare corso di studi, e che non abbiano carichi di cura siano tenuti all’obbligo di adesione a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, individuate nel progetto di inclusione sociale e lavorativa” previsto dall’art. 6.
Le donne che hanno subito violenza, ma non hanno minori a carico restano quindi escluse, anche se si trovano in una situazione di difficoltà economica.
C’è di più: l’accesso per le donne, anche con minori, è reso complesso dall’obbligo di aderire al percorso di inclusione sociale e lavorativa senza considerare i loro bisogni specifici (a titolo di esempio: privacy del luogo di domicilio, trasferimenti).
Anche la non modifica del regolamento che disciplina il calcolo ISEE – di cui avevamo già parlato in questo articolo – complica le cose perché spesso questo strumento non indica la reale situazione reddituale e patrimoniale di una donna. Riferendosi al nucleo familiare, va infatti ad includere anche l’eventuale autore di violenza e redditi e patrimoni a cui la donna non ha realmente accesso in situazioni di violenza.
“Il Reddito di cittadinanza ha svolto un ruolo importante nel recupero dell’autonomia economica di molte donne che hanno subito violenza perché, nonostante alcune criticità, è stato uno strumento di supporto al reddito utile soprattutto nella prima fase del loro percorso. Con questo cambio di passo diventa quindi ancora più urgente e necessario investire nel Reddito di libertà, renderlo strutturale e dotarlo di risorse adeguate per garantire alle donne che hanno subito violenza l’accesso a un reddito sufficiente e, quindi, il raggiungimento dell’indipendenza economica” afferma Rossella Silvestre, Policy and Advocacy Expert di ActionAid.
Considerando quanto illustrato, se il DL Lavoro sarà convertito in legge dal Parlamento nella sua formula attuale, dal 1° gennaio 2024 le donne che hanno subito violenza si vedranno negata un’ulteriore forma di supporto al reddito.
Non è il primo attacco ai diritti delle donne a una vita senza violenza e al loro empowerment economico.
Già nella legge di bilancio 2023, il diritto ad accedere a un reddito sufficiente era già stato scalfito con il taglio dei finanziamenti al Reddito di Libertà.
Lo strumento, che noi di ActionAid reputiamo indispensabile, ha infatti ottenuto uno stanziamento di soli 1.8 milioni di euro per 385 beneficiarie, a fronte di un potenziale di 21.000 donne in stato di necessità (dati ISTAT 2022).
Alla luce di questi nuovi sviluppi e del DL Lavoro, investire sul Reddito di Libertà diviene ancora più urgente. E’ necessario renderlo strutturale e dotarlo di finanziamenti adeguati.
È inoltre necessario che il Parlamento in sede di conversione del DL lavoro includa le donne che hanno subito violenza nella platea beneficiaria esente (art. 6 comma 5) dagli obblighi di attivazione lavorativa e sociale imposti dalla misura; modifichi il Regolamento concernente le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Isee (DPCM 5 dicembre 2013, n. 159) prevedendo che le donne prese in carico dalle strutture antiviolenza possano costituire un nucleo familiare distinto da quello del coniuge/convivente autore di violenza, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo abbia la medesima o separata residenza anagrafica.
Chiediamo al Governo una svolta per garantire reddito, lavoro e autonomia abitativa affinché le donne non ricadano nella spirale della violenza.
Le loro vite rischiano di rimanere congelate da politiche insufficienti.
Non lasciamole sole!