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Normalità, intersezionalità, attivismo, partecipazione.
Parole che usiamo ogni giorno per parlare di cambiamento.
Ma qual è il loro vero significato?
Abbiamo cercato la risposta in un’intervista doppia con Beatrice Cristalli e Fabrizio Acanfora. Lei autrice del libro “Parla bene, pensa bene” di Bompiani; lui autore di “In altre parole. Dizionario minimo di diversità” di Effequ, entrambi ospiti a settembre al festival PordenoneLegge come attivisti e divulgatori sul tema dell’inclusione nell’ambito del progetto Ripartire e insieme a Fondazione RagazzinGioco.
Per entrambi il linguaggio è strumento di comprensione della realtà ma, soprattutto, atto di cambiamento.
Quel cambiamento che ricerchiamo combattendo disuguaglianze educative e attivando la partecipazione giovanile.
Ecco perché, abbiamo chiesto a Beatrice Cristalli e Fabrizio Acanfora di guidarci attraverso alcuni concetti chiave, definizione dopo definizione.
Partiamo però da un presupposto, chiave di lettura per guardare a questa breve selezione semantica: dobbiamo ripensare il concetto di complessità, abitare con più serenità l’ignoto e il cambiamento. Come suggerisce Beatrice Cristalli “oggi soffriamo del misoneismo, ovvero l’avversione verso il nuovo e verso ciò che decostruisce e cambia – come sostiene lo scrittore Douglas Adams e come riporta anche Vera Gheno nel libro "Chiamami così" – ciò che per noi è abitudine, conoscenza, definizione di sé”.
Cristalli: Penso a quanto oggi serva dare profondità e complessità a questa parola, pulirla dal risvolto morale, non renderla generatrice di discriminazioni. Penso anche che non vada cancellata. Optare per una censura significa non valutare il grande insegnamento del contesto: dobbiamo puntare a risemantizzare le parole, usarle per descrivere anche i cambiamenti della società e di come si esprime.
Se noi togliessimo tutte queste parole, alle nuove generazioni consegneremmo un dizionario di 3 pagine e, non terremmo traccia dei cambiamenti sociali e dei contesti per cui una parola ha una carica offensiva e discriminatoria.
Acanfora: Fino a 150 anni era un concetto che non esisteva, nato dalla necessità di spiegare i comportamenti umani in modo statistico è diventata facile arma di atti discriminatori. È talmente parte del nostro DNA culturale da risultare difficile immaginare un mondo senza “normalità”. Siamo così ingabbiati da questo concetto artificiale da avere bisogno, ad un certo punto, di parlare di “diverso”. Il paradosso è che è la normalità ad essere una sottocategoria della diversità: se sommiamo tutte le varianti ecco che la diversità diventano la maggioranza. Le problematiche sono due: dare un significato morale positivo a ciò che rispecchia la normalità dominante ma anche introdurre, con l’idea di “media”, una ricerca alla perfezione.
Cristalli: È il modo migliore con cui oggi possiamo interpretare la complessità. L’approccio intersezionale traccia ciò che è implicito, mette in evidenza ciò che è marginalizzato. Funziona molto bene per descrivere sia situazioni ampie sia nella rappresentazione di noi stessi: siamo anche noi il centro di un crocevia di linee intersecate.
Cosa ci spaventa di questo? L’idea dinamica in cui le nostre identità cambiano nel tempo e non c’è un unico io fermamente radicato.
Acanfora: Oggi il termine ha acquisito un significato più vasto di quando Kimberlé Crenshaw lo introdusse nel 1989 segnalando la possibile intersezione tra genere e afro-discendenza. Non voglio appropriarmi di termini che non mi appartengono ma abbiamo un estremo bisogno di parole che descrivano la complessità e gli intrecci di cui tener conto per comprendere la realtà. Abbiamo bisogno di un termine che ci aiuti a tener conto di tutte le nostre identità.
Cristalli: La intendo come la base per generare un cambiamento. Non basta però che gruppi di persone si mettano in moto, serve un’ottica intersezionale e un lavoro sistemico: dialogare con il territorio, le comunità e le istituzioni. Si può iniziare a cambiare qualcosa solo generando una sinergia all’interno di un sistema complesso.
Acanfora: Il senso di convivenza e del fare parte di un qualcosa. Non può esservi partecipazione se sussiste uno squilibrio di potere, se la società che ora parla di inclusione è quella che prima ti escludeva. Io parlo di convivenza partecipativa nel senso che ogni individuo deve partecipare alla sua costruzione. Da parte di chi detiene un privilegio occorre che si impari a riconoscerlo e ad ammettere che rappresenta un vantaggio non equo. Da parte delle cosiddette minoranze, non accettare la passività di sottostare a delle regole di accesso.
Cristalli: L’attivista è colui o colei che studia e presidia un certo tema, prende la parola ma lo riporta anche alla vita reale creando momenti dove coltivare il dialogo. Dobbiamo rieducarci a dialogare, non per convincere l’altro o per rimanere fermamente nella propria posizione. Dobbiamo saper abbandonare il mondo digitale per generare, nel reale, spazi di confronto.
Acanfora: Credo che oggi esistano più modi di prendere parte a un cambiamento sociale: in alcuni luoghi e per alcuni scendere in strada è ancora uno dei pochi modi di farsi sentire ma possiamo anche imparare a creare movimento generando pensiero. Si pensa spesso che una cosa escluda l’altra, che sia più puro costruire una barricata ma credo che nel diffondere riflessioni ci sia una grande forza. In entrambe le forme, l'attivismo richiede l’esporsi e il mettersi in discussione.
Di parola in parola, di progetto in progetto, è indispensabile un lavoro ostinato sull’immaginario collettivo. L’immaginazione è estremamente legata al linguaggio, non tanto come lingua, ma come bacino in cui coesistono le nostre credenze sul mondo. È lo sforzo fatto per non assorbire passivamente una narrazione dominante, per superare il “è sempre stato così” e per rompere con le idee che hanno fatto storia, ma che è evidente non rappresentino tutte le diverse identità. Nell’esplorazione di tutte le intersezioni e complessità che ci circondano, l’invito è di abbracciare una pluralità di visioni, identità ed estetiche.
Ripartire vuole aumentare la partecipazione civica di ragazze e ragazzi attraverso lo sviluppo e il rafforzamento di competenze relazionali e sociali per incidere sul legame tra esclusione sociale e povertà educativa. Il progetto è attivo su 5 territori: Ancona, L’Aquila, Roma, Pordenone e Trebisacce (CS) grazie al coinvolgimento di un ampio partneriato tra cui Fondazione Openpolis, BiPart Impresa sociale, Fondazione Human Foundation, La Fabbrica Spa, Transparency International Italia e Università della Calabria; Il Dipartimento per le Politiche di Coesione - Presidenza del Consiglio dei Ministri; cinque associazioni/cooperative sociali: COOSS Marche, Fondazione RagazzinGioco, Mètis Community Solutions, Associazione Passaggi ed éCO.
Il progetto è stato selezionato da Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.