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è questa la prima richiesta dell’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) #WelcomingEurope che abbiamo lanciato insieme a tante altre organizzazioni lo scorso giugno. L’ICE è un importante strumento di democrazia diretta con cui, al raggiungimento di 1 milione di firme, possiamo vincolare Commissione e Parlamento Europeo a discutere le nostre richieste.
Ma a cosa ci riferiamo esattamente quando parliamo di decriminalizzazione della solidarietà?
Può sembrare assurdo, ma in ben 12 paesi dell’Unione Europea distribuire cibo, offrire un passaggio, acquistare un biglietto del treno, ospitare un migrante o salvare una famiglia da un annegamento sono comportamenti per cui è possibile ricevere una multa o addirittura essere arrestati dalle autorità.
Punire questi comportamenti significa punire l’aiuto umanitario, scoraggiare il soccorso e riconoscere il reato di solidarietà.
Il vero problema è la vaghezza della legislazione europea, che non valorizza la solidarietà, il soccorso e l’aiuto umanitario; princìpi assolutamente in linea con i valori fondanti dell’Unione Europea.
Le persone non possono essere etichettate come “trafficanti” solo per aver offerto aiuto: è questo che #WelcomingEurope vuole ottenere, chiedendo alla Commissione di modificare l’attuale direttiva dell’UE sul favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (2002/90 /CE). Delineare con chiarezza i confini del reato è fondamentale per impedire agli Stati membri l’estensione arbitraria delle sanzioni.
Negli ultimi mesi, l’ambiguità della formulazione della direttiva ha fatto sì che l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione illegale” fosse utilizzata da un lato contro alcune Organizzazioni Non Governative impegnate nei soccorsi nel Mediterraneo, e dall’altro contro semplici cittadini e attivisti che, offrendo aiuto a migranti, sono stati perseguiti come fossero trafficanti di essere umani (si vedano, ad esempio, i casi di Cédric Herrou e Benoît Duclos).
Nessuno dovrebbe essere perseguito o multato solo per aver offerto assistenza umanitaria o, peggio, per aver adempiuto al dovere di soccorrere persone in pericolo di vita.
“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato”.
Questo è quello che afferma il comma 2 dell’art. 12 del d.lgs 286/98. Il dettato normativo appare piuttosto chiaro: la legislazione italiana escluderebbe dal reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina tutte quelle attività di soccorso ed assistenza che assumono carattere umanitario.
Tuttavia, a quanto si evince dalla prassi, la giustizia italiana sembra non considerare sempre questo elemento. Sono stati infatti frequenti i casi di azioni umanitarie bloccate e poste sotto investigazione. Sulle più importanti testate nazionali si è a lungo parlato di ordinanze comunali che stabilivano con fermezza svariati divieti, nei riguardi dei singoli cittadini, di prestare assistenza tramite semplici azioni di solidarietà.
Eclatante è stato ad esempio il caso di Ventimiglia. Il sindaco del Comune ligure nel 2016 aveva stabilito il divieto di somministrare in strada cibo e bevande, quindi beni di prima necessità, ai migranti (un’ordinanza revocata 8 mesi dopo la sua adozione, in seguito alle mobilitazioni che hanno visto in prima linea Marco Revelli e l’ex magistrato Livio Pepino, e perfino il sindacato italiano della Polizia, il S.I.A.P.).
Un altro episodio ha coinvolto nel 2014 il comune di Udine: ben sette volontari della ONLUS “Ospiti in arrivo” sono stati accusati di occupazione e di favoreggiamento della permanenza di stranieri irregolari. Anche in questo caso l’epilogo è stata l’archiviazione del caso nel 2016 da parte del giudice per le indagini preliminari Dott. Lazzaro su richiesta del Pubblico Ministero Danelon.
A far rispettare la normativa è stata recentemente chiamata anche la Procura di Palermo, in relazione al procedimento penale che vedeva coinvolto il personale di due ONG (Sea Watch e Open Arms), “colpevoli” di aver permesso lo sbarco di migranti presso il Porto di Lampedusa. Nella richiesta di archiviazione del 28 maggio 2018 si è sottolineato che «avendo l’imbarcazione umanitaria soccorso dei migranti che si trovavano in stato di pericolo, la condotta trova giustificazione nella predetta disciplina dell’art. 51 c.p. per aver adempiuto ad un obbligo imposto da una norma giuridica internazionale».
La modifica della Direttiva UE proposta da #WelcomingEurope vuole far sì che non siano necessarie delle sentenze per riaffermare principi per noi così semplici, e al contempo fondamentali: aiutare è un diritto, soccorrere è un dovere.
Contenuto prodotto nell’ambito della collaborazione di ActionAid con il Corso “Policy clinic”, LUISS School of Government, Roma e le studentesse Luigia Magni, Giulia Fortezza, Marta Nones, Daniela Marino, supervisionate dalla Dott.ssa Costanza Hermanin.
(photocredit: sara prestianni/arci)