“Noi non costruiamo muri. Intendiamo rafforzare il matrimonio tra solidarietà e sicurezza. Solo così si toglie ‘clientela’ ai trafficanti e si evitano violenze sui migranti, di cui spesso sono oggetto nell’attesa di partire per l’Europa”.
Con queste parole il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano presentava il Fondo per l’Africa, istituito con la Legge di Bilancio 2017, art. 1 comma 621.
Con una dotazione finanziaria di 200 milioni di euro, aggiuntivi a quelli previsti per le attività ordinarie di cooperazione allo sviluppo, il Fondo ha l’obiettivo di avviare “interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i paesi africani di importanza prioritaria per le rotte migratorie”.
Anche gli interventi finanziabili sono divisi in settori che spaziano dalla cooperazione allo sviluppo, all’accoglienza e assistenza a migranti e rifugiati, al rimpatrio volontario assistito dai paesi di transito a quelli di origine.
Oggi, a un anno dalla sua nascita, le numerose criticità che sono emerse non hanno fatto altro che confermare i timori che il terzo settore fin dagli inizi aveva manifestato e che non agevolano le potenzialità che si intendevano assegnare a tale strumento.
A nostro parere il dibattito dovrebbe quindi vertere su alcuni fra i punti più critici:
a) l’utilizzo della cooperazione per fini strumentali, che non mettono lo sviluppo al centro dell’agenda, ma piuttosto la sicurezza delle frontiere;
b) il finanziamento di soggetti e attività che contribuiscono alla violazioni dei diritti umani;
c) il ricorso a meccanismi che ridimensionano l’impatto dell’APS nella misura in cui gli aiuti sono utilizzati come moneta di scambio per favorire il controllo dei flussi migratori.
La commistione fra attività di sviluppo e attività di contrasto alla migrazione di certo non facilita il rilancio di una nuova narrazione dello sviluppo e delle migrazioni, basata sui concetti di solidarietà e ruolo positivo del fenomeno migratorio. E allo stesso tempo questa sovrapposizione presenta le attività di cooperazione deliberate sul Fondo per l’Africa come un frutto della semplificazione “più sviluppo = meno migrazioni”. Inoltre, l’approccio securitario porta con sé con il rischio, in alcuni casi, di inaccettabili violazioni dei diritti umani, come nel caso del finanziamento di operazioni di rimpatrio volontario assistito che è inaccettabile per paesi come Niger e Libia.
Pertanto, se vogliamo ridare pieno titolo al Fondo per l’Africa, in modo che restituisca alla cooperazione italiana quel senso di solidarietà che la contraddistingue e proponga una nuova narrativa del fenomeno migratorio, dobbiamo ripartire da maggiore chiarezza e spunti propositivi.
Per questo chiediamo che il Parlamento e il Governo si attivino per restituire a questo strumento le potenzialità di cui era stato dotato al momento della sua istituzione, ad esempio vigilando sulle attività poste in essere con le risorse del fondo, per controllare che non siano in nessun caso causanti o concorrenti di episodi di violazione dei diritti umani e/o del diritto internazionale in materia di migrazione, accoglienza e cooperazione allo sviluppo; rivedendo la lista dei settori e dei paesi finanziabili, in modo da restituire al Fondo lo spirito iniziale di strumento per rilanciare il dialogo e la cooperazione con l’Africa; stilando la lista dei paesi destinatari affinché aderisca alle logiche delle priorità della cooperazione italiana allo sviluppo e non alla “securizzazione”.
Rapporto: Il Compromesso Impossibile