Cosa significa scappare dalla propria casa
La Giornata Mondiale del Rifugiato, che cade il 20 giugno di ogni anno, serve a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di persone che si sono lasciate alle spalle la propria casa e, spesso, i propri affetti, a causa di guerre, violenze e persecuzioni.
Insieme si può creare un mondo di inclusione per questi uomini, donne e bambini senza più patria, che hanno già sopportato tanto dolore a causa di conflitti violenti. L’ultima emergenza viene dal Nord del Mozambico, in particolare da Cabo Delgado, dove oltre 600.000 persone hanno dovuto lasciare le proprie case per fuggire dalle minacce di gruppi armati radicalizzati.
La Giornata Mondiale del Rifugiato: Cabo Delgado
Il Mozambico vive in una situazione di emergenza per i rifugiati da tempo. È un paese che soffre per il conflitto che sta avvenendo nel Nord della regione, ma anche per i cicloni e le inondazioni che stanno colpendo la parte centrale. Ci sono quindi più di 25mila rifugiati richiedenti asilo e 70mila sfollati interni (fonte UNHCR).
A seguito dei violenti attacchi condotti a fine marzo dai Non-State Armed Groups, più di 8000 tra uomini, donne e bambini, sono fuggiti dalla città di Palma. Questo numero è destinato a salire man mano che passano i giorni e gli sfollati riescono a raggiungere zone sicure dove rifugiarsi. Sono scappati per i boschi o via mare verso i distretti vicini e si andranno a sommare ai 670mila che fuggirono dall’ultimo attacco a dicembre 2020.
Alcuni riescono a raggiungere la Tanzania, abbastanza vicina alla zona di Palma, o nei distretti di Pemba, Nangade, Mueda e Montepuez.
Le azioni concrete
Da Montepuez arriva la storia di Francisca Cristina, una donna di 29 anni fuggita dal Muidumbe. “Erano le 7 di mattina. Subito dopo i primi spari, la popolazione è andata nel panico. Io ho preso mio figlio di un anno e sono scappata a nascondermi. Ma non mi sentivo sicura, quindi ho deciso di camminare per 6 giorni nella foresta verso il distretto di Mueda. Non avevo niente, né cibo né acqua, finché non sono arrivata a Montepuez”.
Al suo arrivo abbiamo fornito a Francisca cibo, acqua e kit di igiene per lei e il suo bambino, che comprendeva coperte, sapone, purificatore d’acqua, mascherine protettive, assorbenti e biancheria intima. In più le abbiamo dato dei prodotti per l’agricoltura, come semi e strumenti per lavorare la terra.
Quando si interviene nei campi dei rifugiati, lo abbiamo detto spesso, ci sono tante cose da tenere sotto controllo. Vari livelli di servizi d’assistenza che spaziano dal fornire cibo, acqua, e visite mediche, all’occuparsi dei bambini rimasti soli, delle donne che hanno subito violenze sessuali, delle persone con disabilità e anziani. Tutto questo si unisce alla protezione fisica e psicologica dei rifugiati, con interventi di supporto e ascolto. C’è anche bisogno di riunire le famiglie: a volte, nella fuga, può succedere di separarsi. Nei campi si creano quindi archivi che possano ricongiungere gli uni agli altri.
Con la collaborazione dei partner locali, il nostro supporto in Mozambico sta arrivando a più di 2000 famiglie sfollate come quella di Francisca. Tutte hanno ricevuto alimenti, kit per l’igiene personale, saponi, maschere protettive, prodotti agricoli. E stanno seguendo le opere di sensibilizzazione sulla violenza di genere, una realtà pressante nei campi dei rifugiati, e le norme di distanziamento e igiene da mantenere per evitare la diffusione del Covid-19.
Le situazioni di emergenza, lo ricordiamo, acuiscono sempre i rischi per le donne di subire violenza. Uno dei motivi per cui la nostra azione di intervento si focalizza sempre su donne e bambini.
Per approfondimenti: fonte Unhcr