Un’agricoltura più inclusiva
Secondo dati FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), a occuparsi della terra sono per il 43% donne. Ma ci sono ancora molte zone del mondo dove le donne non possono avere un terreno di proprietà da coltivare, a causa di tradizioni sessiste e società patriarcali.
Le donne in agricoltura
Il ruolo delle donne in agricoltura è sottostimato e marginalizzato. In molte regioni del Sud del mondo i raccolti sono gestiti dagli uomini, mentre le donne possono coltivare la terra solamente per la sussistenza della famiglia. Solo facendo questo, producono tra il 60 e l’80 per cento del cibo nei Paesi del Sud del mondo.
Nel frattempo, è di loro competenza anche la maggior parte dei lavori domestici e parentali, dell’acqua alla crescita e cura dei figli, ai quali assicurano cibo, vestiti, cure mediche e istruzione.
Nonostante il ruolo chiave che svolgono in tutte queste parti di vita, per il sistema e per la società i compiti delle donne sono spesso definiti come “di assistenza” e non riconosciuti in alcun modo.
In molti Paesi del mondo sta capitando sempre più spesso che gli uomini emigrino in altri stati per lavorare, e che quindi siano le donne a prendersi cura dei campi. È così che il ruolo delle donne in agricoltura è diventato sempre più importante anche nelle coltivazioni indirizzate al commercio. In alcune zone della Nigeria, ad esempio, il 45% delle famiglie è amministrato da una donna.
Ristabilire i diritti: una priorità
Eppure non esistono ancora politiche paritarie di accesso alla terra, primariamente perché c’è una sotto-rappresentanza delle donne negli organi decisionali. Praticamente ovunque nel mondo le normative che riguardano l’agricoltura tendono a favorire gli uomini. Le agricoltrici ricevono generalmente terre meno fertili e accessibili, e i loro diritti non sono comunque assicurati. E questo sta anche peggiorando perché le terre a disposizione sono sempre di meno, a causa dell’arrivo di grandi progetti agroindustriali e di urbanizzazione che rendono gli spazi sempre più difficili da trovare. I pochi appezzamenti disponibili sono ormai assegnati esclusivamente agli uomini.
In nazioni come la Nigeria, inoltre, una donna non possiede mai direttamente ciò che coltiva. I diritti che ha sul terreno di cui si prende cura sono secondari, cioè derivano dal fatto che la terra appartiene esclusivamente al marito o al figlio maschio.
Lei non potrà mai ereditarla, non potrà controllarla o avere voce in capitolo sulla sua assegnazione né sui modi in cui è meglio coltivarla.
Un cambiamento è possibile e necessario
Per incrementare l’accesso all’agricoltura bisogna partire dalle leggi e dall’informazione. Come sempre in questi casi il primo passo è riuscire ad accrescere la consapevolezza intorno alla tematica, per informare le donne sui propri diritti, e stimolare il cambiamento anche negli uomini e nelle autorità locali.
In Nigeria, nella zona di Ndon-Utim, l’accesso alla terra per le donne è sempre stato un tabù. Potevano al massimo prenderla in affitto dagli uomini o lavorare quella del proprio marito, che una volta deceduto l’avrebbe passata al figlio maschio se presente.
Grazie al progetto di agroecologia portato avanti da ActionAid Nigeria e dal nostro partner AHDC, abbiamo iniziato nel 2010 un lavoro focalizzato sui diritti delle donne, con l’obiettivo di eradicare la concezione che non possano possedere nulla. Dopo quasi dieci anni, questo sforzo è stato ripagato: le comunità hanno iniziato ad allocare a gruppi di donne appezzamenti di terreno inizialmente destinati al commercio, rendendo Ndon-Utim il luogo dove le donne possono avere la propria terra.
Una di queste è Arit, 52 anni, madre di sei figli e vedova dal 2019. È cresciuta a Ndon-Utim coltivando la terra del padre e, una volta sposata, la terra del marito. Se lui fosse venuto a mancare e non ci fosse stato un figlio maschio, lei avrebbe perso ogni accesso all’agricoltura. Un problema che si sarebbe presentato in ogni caso, quando il figlio si fosse sposato e i diritti della madre sarebbero passati alla moglie.
Arit era cresciuta così, quindi questa era la realtà che conosceva e che accettava. Gradualmente la comunità è, però, cambiata. Tanto che nel 2019, dopo la morte del marito, nessuno è venuto a rivendicare i campi che stava coltivando. Arit, e ancor di più le prossime generazioni, stanno conoscendo un futuro finalmente eguale.