Siamo stati in Nepal insieme a Michela Giraud, per girare il nuovo video di campagna per le adozioni a distanza. Insieme a lei e alle colleghe di ActionAid Nepal abbiamo visitato una scuola e lo spazio dopo-scuola nello slum di Kathmandu, dove da anni portiamo avanti numerosi progetti a sostegno dell’infanzia
Al rientro abbiamo chiesto a Michela Giraud di raccontarci questo viaggio dal suo punto di vista.
Era la prima volta che affrontavo tutte quelle ore di volo, e questa è stata la prima sfida di questa esperienza. Quando mi è stato proposto il Nepal, avevo il cuore diviso a metà: da una parte la paura di affrontare un viaggio impegnativo sotto molti punti di vista, dall’altra l’entusiasmo proprio di affrontare un viaggio così impegnativo, perché so che da sola non avrei mai programmato un’avventura così. Ma le cose lontane e diverse da me mi affascinano e l’idea di fare tutto questo per una causa come quella di ActionAid mi ha elettrizzato, così ho deciso: mi butto!
Ci racconti l’impatto?
Appena arrivata a Kathmandu mi sono sentita felice, nonostante il caos che ho subito respirato. Vedere la calma e la consapevolezza con cui le persone affrontano quel traffico - e io sono di Roma! – comprese tutte le difficoltà di quella terra, mi ha permesso di lasciarmi andare con più facilità.
Il primo giorno a Kathmandu siamo subito andati a visitare scuola e dopo-scuola. I primi minuti sono stati i più complessi: l’ingresso nello slum, con la discarica alle porte, mi ha fatta sentire fuori posto, ho temuto che la mia presenza fosse inopportuna, ho sentito di invadere uno spazio. Ancora di più dopo aver constatato che qualche giorno prima c’era stata un’alluvione e c’erano persone che da sole ricostruivano la propria casa o la strada. Ma quando sono arrivata nello spazio del dopo-scuola, con i bambini dai vestiti coloratissimi e felici di darci il benvenuto, mi sono sentita accolta. Hanno messo su uno show per noi ed erano orgogliosi di mostrarci cosa sapevano fare. Ci hanno regalato una foglia con scritto “Benvenuti” in italiano e in nepalese e insegnato un ballo stupendo (lo ripeto ancora tutti i giorni). Ma il momento per me più profondo ed emozionante è stato l’incontro con “L’inventore”, un ragazzo che ci ha mostrato un circuito elettrico con una lampadina e un camion, costruito con le scatole del dentifricio. Ecco, credo che questo sia il senso della mia presenza lì, e del sostegno che tutti possiamo dare a questi giovani. È stato lì che mi sono commossa e ho pensato che mi piacerebbe poter guardare avanti nel tempo e sapere che quelle ragazze e quei ragazzi abbiano potuto studiare e diventare qualsiasi cosa loro desiderino.
Parliamo della scuola. Tu sei molto legata allo studio: preferisci preparare molto i tuoi pezzi invece di improvvisare e frequenti corsi e scuole per acquisire nuove competenze e far evolvere il tuo lavoro. Cosa hai pensato dopo aver visitato la scuola?
Penso che studiare dovrebbe essere un diritto inalienabile, ma durante esperienze come questa mi ricordo che a volte è anche un privilegio. In effetti in certi paesi la scuola può essere uno dei pochi luoghi dove per i ragazzi si aprono possibilità preziose. Dove la serietà con cui le maestre tengono le classi e la voglia con cui i bambini ti mostrano ciò che sapevano fare sono esperienze non scontate e molto intense. E anche il dopo-scuola non è più solo un luogo di ritrovo, come siamo abituati a viverlo noi occidentali, ma un aiuto concreto per tutti quei bambini che a casa hanno genitori che non hanno mai studiato e lì hanno lo spazio per coltivare le loro passioni e la loro curiosità… e parlavano tutti inglese meglio di me!
Studiare mi ha permesso di acquisire un’abilità che mi sono portata avanti nel tempo e mi ha fatto trovare la sicurezza in me stessa. Vorrei che questi bambini abbiano la stessa possibilità. In fondo la donazione a distanza è questo: persone dall'altra parte del mondo, me compresa, che possono dare a questi bambini la possibilità di avere un futuro diverso da quello che pensano sia già scritto per loro. Questo è qualcosa di potentissimo!
Pensi che il video che hai girato possa essere utile per capire meglio come opera ActionAid?
Io sono qui per mettere il mio lavoro a servizio di ActionAid, ma alla fine credo sia ActionAid a fare qualcosa per me. Ho riempito di significato tutte le parole vuote e retoriche che si possono dire quando si vorrebbe fare del bene. Vedere di persona quello che ActionAid fa, vedere la spensieratezza dei bambini nonostante tutte le difficoltà, è stata un’opportunità, e quindi il mio compito - come quello dei talent che mi hanno preceduta - è quello di usare la comicità per ribaltare gli stereotipi. Nel video prendo in giro il mio stesso personaggio: un’egocentrica, mitomane, viziata. Io penso che un video comico funzioni se tu sei il primo obiettivo, e io godo tantissimo a prendermi in giro.
I primi giorni ho pensato di girare senza essere vista; invece, i bambini hanno osservato tutto e hanno iniziato a imitare alcuni miei gesti - ad esempio il gesto che faccio sempre quando metto a posto i capelli - io per loro sono diventata la donna buffa dall’Italia e io sono felice di aver legato con loro, anche facendomi prendere in giro e ridendo insieme.
La scena del video che preferisco è quello in cui insegno le tabelline ai bambini. Loro avevano avuto l’esame di matematica al mattino, quindi erano prontissimi, hanno alzato le mani per rispondere e quando ho tirato fuori la calcolatrice sono rimasti scioccati. L’espressione dei bambini imbarazzati o con le mani nei capelli sono tutte vere!
Ecco la presa in giro del pietismo: spesso livelliamo le situazioni complesse mostrandoci dolenti più del dovuto, e invece le persone che hanno bisogno di aiuto, non hanno anche bisogno di essere misurate da noi. Un po’ come dire “sarò pure in difficoltà ma mica so’ cretino!”
Questo video in cui si prende in giro lo stereotipo del viaggiatore che mette in mostra la propria “beneficenza”, mostra soprattutto la grande dignità e spensieratezza delle persone che abbiamo incontrato. E spero che attraverso l’ironia, un’ironia di cui io sono il primo bersaglio, possa non solo far riflettere le persone, ma anche stimolarne l’empatia.
Quindi l’ultima domanda è: dove andiamo la prossima volta?
Questo viaggio per me è stata una vacanza. Non nel senso superficiale del termine, ma è stata l’occasione di andare lontano da me stessa, è stata una vacanza dalla Michela che conosco per riscoprirne una nuova, migliore forse, di certo molto vera. Voglio vedere ancora il mondo così. Quindi direi in Africa! Ma in realtà il luogo conta relativamente, mi interessa vedere ancora il lavoro di ActionAid sul territorio. Perché qui quello che ho visto non è solo una scuola ma un circolo virtuoso in cui Monica, che da piccola frequentava il dopo-scuola, oggi ne è la facilitatrice e si prende cura dei nuovi arrivati. Nell’adozione a distanza ci concentriamo spesso sul singolo bambino o la singola bambina, seguiamo la sua singola storia. Io qui ho avuto il privilegio di entrare in contatto con tutte le storie di quei bambini: ho incontrato la loro comunità fatta di quei bambini che, grazie a questi spazi, possono studiare e poi sostenere la loro stessa comunità anche nel futuro.
Sento che così il cambiamento sia possibile.
Bonus track: un ultimo ricordo.
Il mingo mingo! Il primo giorno, per introdurci, hanno proposto un gioco in cui si correva tutti nella stanza dicendo “mingo mingo” e quando Monica diceva un numero si dovevano formare gruppi di quella cifra. Erano tutti agguerritissimi, ti tiravano per averti nel loro gruppo ed è stato un modo per entrare in contatto stretto e per iniziare a conoscersi. La mia prossima missione sarà far diventare il mingo mingo un trend internazionale!
Michela aiutaci a distanza!
Photocredit: Margherita Caprilli