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Il Rapporto che abbiamo realizzato con Openpolis, che completa l’analisi degli effetti che il Decreto Sicurezza del primo Governo Conte ha prodotto sul sistema di accoglienza delle persone migranti in Italia.
Emerge un rovesciamento rispetto al passato, con la dismissione dell’accoglienza diffusa e la preferenza per i centri di grandi dimensioni e i grandi gestori. È così che si è trasformato il modello di accoglienza disegnato dalle regole del 2019 e dal taglio dei costi previsti dal nuovo capitolato. Dalla deliberata “produzione” di irregolari con l’abolizione della protezione umanitaria, al fenomeno dei bandi deserti dal Terzo Settore e il ritorno ai grandi centri si delinea la tendenza alla demolizione del sistema di accoglienza distribuita sul territorio, oggi penalizzata dal Nord al Sud del paese.
Nell’era precedente il Decreto Sicurezza si iniziava ad affermare un modello ampiamente distribuito, soprattutto nelle regioni del centro-nord (piccoli centri affidati a gestori del terzo settore). Dal 2019 invece si è innescato un meccanismo diametralmente opposto.
Nel biennio 17-18 si registrava sia un calo del numero complessivo di persone accolte, sia quello dei posti nei centri gestiti dalle prefetture (180mila nel 2017, 165mila nel 2018), e anche il calo della capienza media dei centri di accoglienza.
Sono i casi emblematici di Roma e di Milano che fotografano meglio la tendenza attuale a privilegiare i centri di grandi dimensioni e i grandi gestori. Ad oggi la realtà delle due metropoli racconta come i CAS siano “sostenibili” e “praticabili” solo da gestori di grossa taglia e con grandi concentrazioni di persone, condizioni che permettono di realizzare le economie di scala che riducono l’impatto del taglio dei finanziamenti.
Oggi l’83,5% dei posti in accoglienza a Roma si trova in grandi centri. Tra dicembre 2018 e luglio 2019 la presenza di migranti nei centri di accoglienza è diminuita con forza: meno 18,1% (da 3.103 a 2.541 ospiti). Al contrario i centri di grandi dimensioni con una capienza superiore a 100 posti con l’assegnazione dei nuovi bandi 2019 sono aumentati in pochi mesi del 37%.
Le nuove regole hanno avuto un impatto anche sul Terzo Settore. A Roma da 17 gestori non profit nel 2018 si è passati sette mesi dopo a 10, quasi tutti enti di grandi dimensioni.
Sul territorio metropolitano di Roma, Medihospes - una società che ha condiviso propri esponenti con il Gruppo La Cascina, cooperativa che è stata commissariata per il tentativo di infiltrazioni mafiose nella vicenda di Mafia Capitale, stando a quanto dichiarato in un’ordinanza di custodia cautelare dal gip di Roma, Flavia Costantini - nel 2018 amministrava già 16 centri (in collaborazione con Tre Fontane, altro grande gestore nazionale dapprima considerata cooperativa ausiliaria e poi incorporata da Medihospes nel corso del 2018). Queste strutture complessivamente offrivano il 37% dei posti in accoglienza nel territorio. Questa posizione, già dominante, si è rafforzata nel 2019 portando Medihospes in una condizione di quasi monopolio sul territorio della capitale. A luglio infatti deteneva quasi due terzi (il 63%) di tutti i posti in accoglienza. Affidare 2/3 dell’accoglienza a un solo gestore, chiunque esso sia, significa che l'amministrazione (l'ente appaltante) rischia di essere “catturata” dal proprio fornitore e di subirne la capacità di condizionamento.
A Milano già negli anni precedenti erano ampiamente presenti grandi centri e grandi gestori. Le nuove regole hanno contribuito a mettere ulteriormente in difficoltà l’accoglienza diffusa, scoraggiando i piccoli gestori e creando per gli altri nuovi incentivi verso il modello dei grandi centri. Il 64% dei posti offerti nell’accoglienza a Milano riguardano centri di grandi dimensioni.
“Monopoli e oligopoli nella gestione dell’accoglienza rischiano, in assenza di reale concorrenza, di indebolire la capacità di controllo e l’autonomia di scelta delle amministrazioni. I grandi centri producono inoltre un impatto negativo sul territorio e sugli ospiti, oltre ad attrarre interessi criminali, ma non sembra più essere un principio da tenere in considerazione. Il Decreto Sicurezza ha mostrato a un anno di distanza i suoi effetti negativi per i cittadini italiani e stranieri, con una riduzione dei diritti dei migranti e la crescita dell’insicurezza e perdita di migliaia di posti di lavoro. Va abrogato e riformato l’intero sistema” dichiara Livia Zoli, Responsabile della nostra Unità Global Inequality & Migration.
Il Ministero dell’Interno con la circolare del 04 febbraio 2020 prende atto di quanto dimostrato nel rapporto “La Sicurezza dell’Esclusione”, ma propone una soluzione potenzialmente peggiorativa ampliando i criteri di ammissione al bando. Invece di modificare lo schema di capitolato reintroducendo servizi fondamentali per la salute psicofisica e per l’inclusione sociale dei nuovi arrivati, i bandi delle prefetture sembrano favorire l’ingresso nell’accoglienza di operatori economici profit e non certo i bisogni delle comunità accoglienti e la tutela dei diritti delle persone. C’è da augurarsi che questa circolare sia solo una tappa – da superare immediatamente – nel processo di revisione dei due provvedimenti citati e dell’intero assetto dell’accoglienza.
Secondo noi di ActionAid occorre reintrodurre il permesso per protezione umanitaria, riammettere i richiedenti asilo nel sistema a titolarità pubblica, ripristinare i servizi per l’integrazione nei CAS. È auspicabile che l’accoglienza torni nelle funzioni amministrative degli enti locali, eliminando il criterio dell’adesione volontaria al sistema di accoglienza e protezione pubblico.
La ricerca è stata condotta a partire dall’analisi della Relazione del Ministro dell'Interno al Parlamento di ottobre 2019 sul funzionamento del sistema di accoglienza nel 2018, sui dati estratti dalla banca dati ANAC e quelli resi noti dalle prefetture, laddove necessario a seguito di accesso agli atti FOIA.