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Giornalista
“Il cambiamento climatico è qui, è reale ed è devastante.” A Kitasi Wanga, Programme Manager di ActionAid Kenya, sembra impossibile che qualcuno riesca, ancora oggi, a mettere in dubbio che il cambiamento climatico esista davvero. Nel suo Paese, decine di migliaia di vite sono state completamente stravolte dall’alterazione del clima, soprattutto quelle dei piccoli contadini e degli allevatori. I periodi di siccità, sempre più frequenti, si alternano a piogge improvvise e violente, amplificando problemi sistemici ereditati dal passato coloniale del Paese e creandone di nuovi. “Il cambiamento climatico si riversa su moltissimi aspetti della vita delle persone: inasprisce le tensioni sociali, i conflitti e anche la violenza di genere,” spiega Wanga.
La contea di Isiolo, a nord est di Nairobi, è una delle zone nel Paese in cui gli effetti del cambiamento climatico sono più evidenti. In quest’area semi-arida grande quanto la Sicilia, vivono quasi 200mila persone. La maggior parte sono allevatori e contadini. Il 69% di questi vive sotto la soglia di povertà e il 60% non ha garantita la sicurezza alimentare. I lunghi periodi di siccità, sempre più frequenti, hanno peggiorato le cose per moltissime famiglie che si trovano ad essere costantemente a rischio di carestie. Questa zona ha sempre registrato basse precipitazioni: tra 300 e i 500 millimetri all’anno (a Milano sono 1162 mm all’anno), ma dal 2015 a oggi i livelli sono crollati ulteriormente. “Non piove da quattro stagioni,” spiega Wanga, specificando che, in Kenya, le stagioni annuali sono due: una stagione delle piogge e una secca. Sono quindi quasi due anni che a Isiolo non arriva acqua.
“La siccità ha provocato delle migrazioni massive dei pastori e degli allevatori che adesso spingono i loro greggi verso zone potenzialmente più fertili, a volte nei campi dei contadini che vedono così il loro raccolto distrutto dagli animali,” continua. “Questo provoca enormi conflitti.”
Le tensioni non riguardano solo la competizione per le risorse tra gli allevatori e i contadini ma tra gli allevatori stessi e Isiolo non è un caso isolato. Secondo un rapporto della Banca Mondiale, i conflitti tra gli allevatori sono un fenomeno frequente nel Corno d’Africa. Spesso questi sono inaspriti da una componente etnica, poiché gli allevatori che si contengono terra e acqua appartengono spesso a gruppi etnici diversi. Nella contea di Isiolo, ad esempio, nel 2017, dopo una grave siccità, dieci persone sono rimaste uccise in un conflitto armato tra gli allevatori appartenenti ai gruppi Samburu, Marsabit e Borana, per l’accesso all’acqua di Kom, una delle rare sorgenti naturali nella zona. Il valore sociale e culturale attribuito al bestiame innalza ulteriormente la posta in gioco. “C’è un attaccamento culturale enorme agli animali,” spiega Wanga, “Quante più vacche hai, tanto più è alto il tuo status.”
Garantire la sopravvivenza del proprio bestiame ha una forte valenza identitaria. Significa riuscire a mantenere la propria condizione economica e sociale. Per questo stesso motivo, nonostante la siccità, a volte gli allevatori evitano di vendere i propri animali, anche se non riescono più a mantenerlo. “Le bestie muoiono e così i bambini e gli anziani rimangono senza latte e le famiglie finiscono per perdere una fonte di sostentamento importante,” continua Wanga.
Un altro elemento che contribuisce a ridurre ulteriormente le risorse di acqua e di terra è l’utilizzo di terreni comuni con finalità diverse da quelle del pascolo, dell’allevamento e dell’agricoltura, come lo sviluppo di infrastrutture e aree protette create senza tenere conto delle esigenze della popolazione locale. Ad esempio, le forze di difesa keniote hanno tolto terra ai contadini per ragioni militari.
“Le risorse scarse determinano una situazione di conflittualità,” spiega Roberto Sensi, policy advisor on global equality di ActionAid. “Le terre fertili sono sempre minori, l’acqua è legata alle piogge e le scarse risorse idriche scatenano un conflitto per la terra.”
Per far fronte alle conseguenze individuali di un’emergenza globale come quella climatica, tenendo conto delle dinamiche locali, secondo Sensi è fondamentale lavorare su due piani: da un lato portare avanti un impegno di advocacy per influenzare le politiche agricole e climatiche e dall’altro una pianificazione con le comunità locali per aiutarle ad accedere a strumenti concreti come pozzi e sistemi idrici, e a percorsi di formazione su modalità di agricoltura più sostenibili. “È importante puntare sulla diversificazione dei mezzi di sostentamento e sulla riduzione della vulnerabilità, sviluppando pratiche agricole che richiedono meno acqua,” spiega Sensi, “utilizzando varietà che crescono più rapidamente e che sono meno dipendenti da effetti esterni.”
Seguendo questi principi, a Isiolo, dal 2019 ActionAid ha lanciato il progetto SAMPAK, -Modelli Agroecologici di produzione sostenibile nelle aree aride e semi aride del Kenya. Il progetto punta a favorire la biodiversità, permettendo un’alimentazione varia e scorte sufficienti di cibo tramite l’ottimizzazione delle risorse naturali. Oltre a formare i contadini locali sui metodi di coltivazione sostenibile, il progetto ha anche consentito la riparazione di acquedotti e realizzato un sistema efficace di canali per l’irrigazione dei campi evitando gli sprechi, “Prima non raccoglievamo l’acqua perché la fattoria sorge su un terreno pianeggiante,” spiega Consolata Lomilio, un’abitante del villaggio di Kakili e attivista del gruppo “Voice of Women” di Isiolo. “Eravamo dipendenti dalle piogge, così quando non pioveva non producevamo cibo e dovevamo comprarlo, ma ora invece, continuando l’attività agricola, mi aspetto di avere sempre cibo a sufficienza.”
Oggi Consolata ha due campi dove crescono diverse tipologie di vegetali, una fonte chiave di sostentamento, sia per il fabbisogno famigliare che per la vendita. Per la coltivazione, utilizza i metodi sostenibili imparati grazie al training di ActionAid ed è lei stessa diventata una formatrice. “Ho formato altre donne del villaggio su come migliorare le loro tecniche di coltivazione e passare all’agroecologia per una produzione più sostenibile sia a livello economico che ambientale, evitando l’uso di pesticidi,” racconta. “Con l’agricoltura sostenibile posso avere cibo a sufficienza per l’educazione dei miei figli, per costruire una casa migliore di quella di fango che ho adesso.” Osservando crescere i frutti della sua terra, nonostante le mille difficoltà, Consolata si sente ottimista. Sogna di mandare i figli all’università un giorno, “così che possano realizzare quello che vogliono nella loro vita,” dice.
In Kenya, però la siccità non è l’unica emergenza. “Dobbiamo anche fronteggiare tutte le altre crisi oltre a questa,” spiega Kitasi Wanga, ricordando tutte le difficoltà dal suono apocalittico che il Paese si è trovato ad affrontare negli ultimi due anni. Nel 2020, infatti, oltre alla pandemia, il Kenya è anche stato colpito da una devastante invasione di cavallette. “Hanno distrutto i raccolti e la vegetazione,” ricorda. Inoltre, dice, bisogna focalizzarsi sulla reazione a catena innescata dall’emergenza climatica. “Abbiamo visto aumentare i casi di violenza di genere, soprattutto per le famiglie che sono coinvolte nei conflitti per le risorse,” spiega.
Diversi studi, hanno evidenziato come, durante i periodi di siccità, le donne e le bambine siano più esposte alla violenza domestica. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, essendo spesso responsabili dell’approvvigionamento delle risorse naturali per uso domestico, come l’acqua e il legno, sono le prime a pagare le conseguenze quando queste scarseggiano. Spesso, mentre vedono le proprie risorse e il proprio reddito diminuire, rischiano anche di essere incolpate per questo. Le tensioni dovute ad un peggioramento della situazione economica e climatica, non solo rafforzano le disuguaglianze di genere ma contribuiscono anche ad aumentare il pericolo di violenza.
Anche dal punto di vista più intimo, non avere accesso all’acqua per le donne significa vivere il periodo del proprio ciclo con una privacy ancora più limitata. “Per le donne, non avere accesso all’acqua è ancora più difficile,” afferma Wanga. L’impossibilità di accedere all’igiene mestruale presenta, inoltre una serie di rischi alla salute, come infezioni all’apparato urinario e riproduttivo.
Durante la siccità anche i tassi di abbandono scolastico sono aumentati. Le famiglie più povere, infatti spesso vengono incentivate a mandare i figli a scuola se, almeno lì, viene distribuito un pasto. “Quando anche a scuola il cibo manca, molti decidono di tenere i bambini a casa,” spiega Wanga.
Oltre al progetto Sampak, a Isiolo e nella Contea di Embu, un’altra area rurale semi-arida più a sud, ActionAid ha attivato una serie di progetti con le comunità e le scuole elementari locali, proprio per rispondere alle emergenze sociali amplificate dalla siccità. In queste zone, ActionAid sostiene gruppi di empowerment femminile e lotta alla violenza di genere e contrasto alle mutilazioni genitali femminili, finanzia un sistema di irrigazione con relativo acquedotto che rifornisce scuole e famiglie, supporta un progetto di microcredito e collabora con le scuole elementari locali, anche attraverso le adozioni a distanza.
“ActionAid ci ha aiutato molto con un acquedotto e i contenitori di raccolta,” racconta Muchiri Luke, preside di una scuola di Makima. Qui, spiega, gli studenti provenienti dalle famiglie più vulnerabili hanno problemi a comprare la divisa scolastica e anche a garantire ai propri figli la sicurezza alimentare. Con il sostegno dell’organizzazione, però, la scuola è riuscita a istituire una mensa, un incentivo in più perché i genitori facciano studiare i propri figli. “Se ci saranno sistemi educativi adeguati a disposizione,” dice, “forse tra dieci anni quest’area sarà in grado di essere autosufficiente rispetto ad acqua, cibo e ad altri bisogni primari. Questo è il mio sogno.”
Il progetto Sampak nella contea di Isiolo è attivo in collaborazione con CESVI e con il partner locale MID-P, grazie al finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e dei fondi 8x1000 della Chiesa Valdese.
Altri interventi citati nell’articolo in Kenya, e specificatamente nella zona di Makima, sono attivi grazie al supporto dei nostri sostenitori e ai progetti di adozioni a distanza.
È una giornalista freelance specializzata in long-form e inchieste internazionali. I suoi articoli sono apparsi, tra gli altri, su New Yorker, Guardian, Slate, Al Jazeera e la sua inchiesta narrativa sull’impunità dei trafficanti di esseri umani in Italia è stata finalista allo European Press Prize 2021. È stata Investigative Fellow alla Columbia Journalism School e il suo lavoro è stato sostenuto da alcuni dei principali grant di giornalismo tra cui lo European Journalism Centre, il Brown Institute for Media Innovation e l’International Women’s Media Foundation. In passato, ha lavorato per CNN, US Press Freedom Tracker e, in Italia, per Vita. Ha conseguito un Master in giornalismo politico e affari internazionali alla Columbia Journalism School, dove è stata San Paolo scholar.