CHAIN for CHANGE
In occasione della Giornata internazionale delle bambine e delle ragazze, che si celebra ogni anno l’11 ottobre, lanciamo CHAIN for CHANGE, una campagna di sensibilizzazione rivolta alle comunità che ancora praticano le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati.
L’obiettivo? Promuovere l’abbandono di tali pratiche affinché le bambine e le ragazze non subiscano queste forme di violenza di genere e vedano riconosciuto il loro diritto alla salute sessuale e riproduttiva. Caposaldo di un corretto approccio anche la possibilità di scegliere liberamente da adulte, se e con chi sposarsi.
La campagna rientra tra le attività di CHAIN – il progetto europeo di cui noi di ActionAid siamo partner – che mira a rafforzare la prevenzione, la protezione e il sostegno alle ragazze e alle donne che hanno subito o sono a rischio di mutilazioni genitali femminili e di matrimonio precoce e forzato, promuovendo la partecipazione attiva delle comunità coinvolte.
Figura centrale del progetto sono le Community Trainer, promotrici del cambiamento attraverso iniziative di sensibilizzazione, informazione ed empowerment.
Le community trainer sono donne appartenenti alle stesse comunità dove gli interventi si svolgono e che, in quanto parte delle comunità stesse, sono nella posizione più opportuna per portare avanti il cambiamento.
In questo specifico caso si tratta di donne residenti nel territorio milanese appartenenti a comunità particolarmente a rischio o colpite dalle pratiche lesive in questione. Abbiamo chiesto a due di loro di raccontarci di sé, della campagna e, più in generale, del loro lavoro nell’ambito del progetto.
Come ti chiami? Ci parli un po’ di te?
Mira
Mi chiamo Mira Beshay, ho 32 anni e sono nata a Il Cairo, in Egitto. Mi sono trasferita a Milano con la mia famiglia quando avevo circa 6 o 7 anni. Sono capitata in un paese molto ricco di cultura e di bellezza e, arrivarci da piccola, mi ha permesso di padroneggiare la lingua italiana e di comprendere meglio i miei diritti e i miei doveri.
Cosa voglio? Vorrei continuare ad essere un ponte tra le due culture in cui sono cresciuta: quella italiana e quella egiziana. Mi piacerebbe facilitare la comunicazione e rendere accessibili alle persone di ogni età le informazioni che, a volte, sembrano impossibili da comprendere.
Amsatou
Sono Amsatou Ba e vengo dal Senegal. Sono arrivata in Italia per avventura, con la voglia di scoprire nuovi orizzonti. E poi è stato amore a prima vista. Certamente, ci sono momenti in cui sento la mancanza della mia terra.
Cosa fai nella vita?
Mira
Da anni lavoro come mediatrice linguistica e culturale presso un’associazione che si occupa di donne, bambine e bambini. Lavoro anche in una scuola primaria, dove ho potuto conoscere meglio il mondo dell’istruzione.
Amsatou
Da quattro anni lavoro come mediatrice linguistica e culturale e da quasi un anno come Community Trainer per il progetto CHAIN. Sono due ruoli che svolgo con tanta passione e dedizione perché uno dei miei desideri è dare tranquillità, serenità e speranza alle persone.
Oggi viene lanciata la campagna “Chain for Change”. Di cosa si tratta?
Mira
Questa campagna si occupa di due temi molto sensibili, ovvero di mutilazioni genitali femminili e di matrimoni precoci e forzati. Invita all’apertura e all’ascolto reciproco per conoscere l’altro o l’altra e cercare di capire i suoi punti di vista antropologici, culturali, sub-culturali e tradizionali su tali pratiche. Anche se si parla tanto di comunicazione, di ascolto ed empatia, spesso ci si dimentica che inizia tutto con uno sforzo, un tentativo di provare a mettersi nei panni altrui per creare una possibile connessione empatica per poi poter comunicare nel vero senso della parola e saper agire di conseguenza.
Puoi fare un esempio di attività che porti avanti nel progetto?
Mira
Mi occupo di informazione e formazione in ambito educativo per diffondere una maggiore e corretta conoscenza sui temi della campagna affinché il personale scolastico sappia come intervenire se si presentassero dei casi a scuola.
Il mondo della scuola è pieno di sfide che riguardano tanti ambiti e, quindi, non è semplice riuscire ad informarsi ed essere consapevoli di tutto quello che accade dentro e fuori le mura scolastiche alle studentesse e agli studenti, soprattutto a coloro con un vissuto migratorio. Per questo è importante insegnare a docenti, personale amministrativo e di supporto a riconoscere i segnali delle pratiche lesive e come offrire aiuto.
Amsatou
Ho il compito di formare operatrici e operatori del territorio milanese che possono venire a contatto con le due pratiche dannose di cui si occupa CHAIN. E poi organizzo eventi di sensibilizzazione, coinvolgendo la comunità senegalese e alcune sue figure leader.
Cosa possiamo fare per promuovere l’abbandono di queste pratiche?
Amsatou
Innanzitutto, sensibilizzare le comunità raggiungibili che, a loro volte, possono sensibilizzare altre comunità. È importante realizzare con regolarità campagne di sensibilizzazione, con tutti i mezzi possibili, anche nei paesi dove queste due pratiche permangono finché non verranno eliminate del tutto.
Inoltre, è determinante incoraggiare le persone a sostituire la pratica delle mutilazioni genitali femminili con riti di passaggio non lesivi dei diritti e della dignità delle bambine, delle ragazze e delle donne. Infine, ma non meno importante, è essenziale fare applicare la legge.
Cosa vorresti chiedere alle istituzioni?
Mira
Chiederei maggiore spazio nei media “tradizionali” e digitali per trattare questi temi in modo chiaro e semplice, accessibile a tutte le persone. Chiederei anche di investire nelle nuove generazioni che hanno il coraggio di usare la propria voce attraverso la scrittura, i video, i social media per influenzare anche le generazioni precedenti.
Amsatou
Di prendere tutte le disposizioni necessarie per far applicare le leggi. Non basta votarle.
Le istituzioni internazionali devono essere in grado di sanzionare gli stati dove si praticano ancora le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni precoci e forzati. È una utopia? Avere almeno leggi simili per contrastare queste due pratiche sarebbe di grande aiuto perché ci sono ancora troppo differenze tra paesi. Ad esempio, l’età minima per sposarsi in Italia è 18 anni, in Senegal 16.