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Partiamo dai numeri

Ogni anno sono circa 50mila le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza. Nel 2020, le donne assistite dai CAV senza lavoro o risorse per rendersi autonome erano il 60,5%. E la quota sale al 70% tra le giovani dai 18 a 29 anni. Ma gli strumenti adottati dall’Italia per supportare economicamente e finanziariamente le donne sono pochi, frammentari e inadeguati. Il “Reddito di libertà”, istituito nel maggio 2020 con il DL Rilancio dopo i lockdown imposti dal Covid-19, è uno strumento ancora insufficiente: un supporto di 400 euro al mese per massimo 12 mesi, finanziato con 12 milioni di euro per il periodo 2020-2022. Secondo l’INPS, nel primo anno solo 600 donne ne hanno beneficiato a fronte delle 3.283 richieste presentate. Con questi fondi si calcola che solo 2.500 donne potranno avere accesso alla misura. Tuttavia, secondo l’ISTAT sarebbero circa 21 mila all’anno le donne che ne avrebbero necessità.”

Con questi dati raccolti dall’autrice, docente e attivista Giulia Blasi – a partire dal Rapporto “Diritti in Bilico” stilato da noi di ActionAid – si è aperta la giornata dedicata alla formazione per le aziende organizzata in occasione della Giornata internazionale per il contrasto alla violenza contro le donne e le ragazze, presso il Meet Digital Cultural Center di Milano. 

Un momento per promuovere la formazione e l’attuazione di sistemi di welfare inclusivi e attenti alle donne in fuoriuscita dalla violenza. Perché è fondamentale che le aziende siano un supporto verso chi vuole denunciare (rendendo, ad esempio, facilmente reperibile il Numero Verde Antiviolenza e Stalking 1522 e la mappa dei centri violenza più vicini) e di chi deve re-inserirsi nel mondo del lavoro e ha specifici bisogni (ad esempio, la necessità di flessibilità e di congedi per poter intraprendere il proprio percorso di fuoriuscita dalla violenza e prendersi cura di eventuali minori). 

Un’occasione per osservare la tematica della violenza di genere tra reale e virtuale, grazie al metaverso creato da Ultra e agli spunti di giornaliste, divulgatrici e attiviste come la sopracitata Giulia Blasi, l’autrice e sociologa Sumaya Abdel Qader, l’editor e podcaster Leila Belhadj Mohamed, la giornalista e fondatrice di The Period Corinna De Cesare ed Ella Marciello, direttrice creativa e attivista di Hella Network. A chiudere la tavola rotonda Maura Gancitano, filosofa e co-fondatrice di Tlon.    

In ActionAid crediamo che le aziende possano farsi portavoce di un cambiamento anche al loro interno, attuando azioni di welfare che rendano i propri luoghi di lavoro sicuri, inclusivi e non discriminanti.    
Come fare? Insieme alle esperte intervenute durante la giornata abbiamo stilato una lista di spunti sulla necessità di ribaltare i paradigmi del lavoro, del patriarcato e dell’inclusione. 

Farsi parte attiva di un processo di cambiamento 

La violenza contro le donne è un fenomeno sociale da affrontare collettivamente e anche il mondo aziendale ha il dovere di agire per creare un luogo inclusivo e sicuro e per chiedere alla politica misure di promozione dell’empowerment socio-economico delle donne. 

“È fondamentale che tutti gli attori sociale comprendano il proprio ruolo, che anche le aziende portino avanti battaglie politiche e civili. Prendere posizione sulle politiche di assunzione, fare pressione sui contratti, sull’accesso al lavoro è necessario: anche per non perdere giovani lavoratori e lavoratrici che hanno voglia di impegnarsi ma, spesso, non trovano condizioni dignitose e adeguate.” – Leila Belhadj Mohamed  

Promuovere un nuovo approccio alla leadership

È tempo di mettere profondamente in discussione i modelli organizzativi verticistici e gerarchici per sperimentare modelli più organici.

“Se un modello organizzativo premia un determinato approccio alla competizione e al primeggiare individualmente, non si ottiene un cambiamento di paradigma verso l’inclusione. Non basta più dire che, talvolta, anche le donne occupano posizioni di rilievo. Se, arrivando ai vertici, non cambi il modo in cui eserciti il potere o faciliti l’accesso alle altre donne, non stai generando un reale cambiamento.” – Corinna de Cesare.

Mettere in discussione i propri pregiudizi 

Proprio perché il lavoro è un diritto fondamentale verso l’emancipazione, è fondamentale che le aziende lavorino sugli stereotipi che possono impedire l’assunzione di una risorsa, lo sviluppo professionale e la creazione di un ambiente lavorativo dove la diversità è un valore aggiunto. 

“I nostri bias – pregiudizi e inclinazioni automatiche che tutti e tutte abbiamo in quanto prodotto della cultura in cui siamo immersi – spostano la nostra voce interiore. Ci fanno pensare non alle persone e alle loro reali competenze ma a caratteristiche associate generalizzando luoghi comuni. Se vi dicessi “filippina” qual è la prima associazione mentale che fate? Purtroppo, non penserete a una dottoressa o un’avvocata. L’etnicizzazione delle figure professionali è uno dei bias più facilmente riscontrabili in un colloquio. Le aziende hanno la responsabilità di imparare a riconoscere i pregiudizi e impedire che influenzino l’accesso e la crescita professionale.” – Sumaya Abdel Qader 

Dare spazio a una normale diversità 

Le aziende dovrebbero mettere in discussione il concetto di “normalità”.

“Cosa vuol dire fare spazio alla diversità? È sufficiente mettersi un bollino? Partecipare una volta all’anno a una campagna di sensibilizzazione? Includere la diversità è l’occasione per stimolare l’ambiente lavorativo e avere l’occasione di ripensare ciò che riteniamo sia la norma.” – Giulia Blasi 

“Perché un’azienda dovrebbe fare sensibilizzazione su Diversity&Inclusion? Per riportare la realtà nella realtà. Se non ci occupiamo di inclusione, stiamo escludendo. Ma soprattutto occorre cambiare il paradigma e comprendere il valore generato dalla diversity: chi reputi diverso è portatore di un plus, ha un altro sguardo sul mondo, e questo permette di rispondere meglio alle sfide globali, a comprendere il mercato, a rompere l’omogeneità dei team e renderli più creativi. Ovviamente il cambiamento è fondamentale che lo si veda anche nei vertici non solo tra i dipendenti.” – Sumaya Abdel Qader 

Raccontare la complessità in modo autentico 

Sul fronte della comunicazione, le aziende non dovrebbero accontentarsi di creare campagne basate su valori non implementati a livello strutturale.   
“Nel mettere in discussione il gender gap, il sessismo benevolo, il soffitto di cristallo, le molestie ci rendiamo conto che sono temi legati da un filo rosso: la rappresentazione. Se siamo abituati a recepire le figure femminili in ruoli, fattezze, disponibilità sessuale stereotipate rischiamo di rendere quei ruoli attribuiti per genere in modo fisso e immutabile anche nella realtà. Il modo in cui raccontiamo le donne cementifica i comportamenti.” – Ella Marciello 

Riflettere sulle politiche di recruitment  

Le aziende dovrebbero chiedersi se i propri percorsi di recruitment tengono conto di persone marginalizzate. 

“Da coloro che non sono in possesso della cittadinanza, a coloro che potrebbero aver bisogno di flessibilità per far fronte a responsabilità di cura o non rispecchiare le conformità dell’abilismo. Essendo portatrice di esperienze e competenze, voglio eguali possibilità di accesso.”  – Leila Belhadj Mohamed 

Essere un luogo sicuro 

Le aziende dovrebbero impegnarsi a promuovere internamente azioni di sensibilizzazione, formazione e sviluppo di policy che permettano di creare uno spazio libero da violenza e sicuro per le donne. 

“È fondamentale lavorare sulla consapevolezza, sulla capacità di empatizzare. C’è un mondo oltre il nostro privilegio, oltre ciò che si sperimenta in prima persona (soprattutto se la norma è costruita sul punto di vista di un uomo bianco, etero. Dobbiamo costruire misure, spazi di ascolto e strumenti mettendoci nei panni di chi non ha I nostri stessi diritti di accesso e tutele, anche se questo vuol dire perdere quello che ad oggi è il vantaggio competitivo di essere privilegiati.” – Corinna de Cesare  

“È prezioso che le aziende si interroghino anche sul sessismo benevolo, tutti quei comportamenti ed espressioni rivolte a proteggere un genere rispetto all’altro. Dalle galanterie non richieste, ai commenti sul multitasking femminile, ai complimenti su si riesca a essere professionali nonostante le incombenze materne. Tutte noi siamo state soggette ad almeno uno di questi commenti. Anche la persona più progressista conserva dei pregiudizi e combattere i propri bias cognitivi è un lavoro costante.” – Ella Marciello 

In sintesi, riflettere sulla gestione e condivisione del potere 

Nell’andare alla ricerca di un cambiamento, nell’ampliare nuove misure inclusive, nel prendere atto del ruolo che le aziende possono avere nel raggiungimento di una società più equa e inclusiva, citiamo le parole della filosofa Maura Gancitano. 

“Di fronte a un mondo in forte accelerazione – dove, indossando un visore, siamo nel metaverso – è incredibile pensare che ci siano donne che non hanno la libertà di uscire di casa e che vivono in condizioni di dipendenza economica e psicologica. Questo deve darci la misura di quanto c’è ancora da fare. Dobbiamo colmare i divari. Dobbiamo farci strada e prenderci lo spazio ma non secondo le regole patriarcali in cui il potere è gestito secondo regole individualistiche, di forza e competizione. Non c’è solo l’arrivare in vetta, c’è il non arrivarci da sole.  

Nel metaverso abbiamo sperimentato l’importanza della cooperazione per arrivare al traguardo: ci si aspettava se qualcuno rimaneva indietro, ci si confrontava. Questa attenzione all’altro o all’altra, questo voler arrivare tutti insieme in fondo è la base su cui cambiare i modelli di riferimento. 

Mi chiedono spesso se è vero che le donne sono le peggiori nemiche delle donne. Questa idea si basa su un paradosso: il come e dove nasci determina il tuo destino. Come donna la società ti educa su ciò che deve piacerti, su ciò che puoi desiderare, su dove devi stare e quanto spazio occupare. Ma ti viene anche detto che “se vuoi puoi”, se ti impegni doppiamente c’è spazio per te. Ma se quello spazio potenzialmente raggiungibile è stretto, se una volta raggiunto dobbiamo proteggerlo e vedere altre donne come competizione, stiamo giocando al gioco del patriarcato. Non sarà una donna arrivata alla vetta a cambiare il sistema. Dobbiamo liberarci dall’idea che il genere assegnato determini il tuo destino e ripensare i modelli di potere: tutto lo spazio che abbiamo ottenuto va messo in comune. Dobbiamo rivedere il modo di pensare: non più chi primeggia (e quindi chi ha più privilegi per partire avvantaggiato) vince, bensì chi collabora vince!

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