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Diritti negati

Le immagini e le notizie che in questi giorni ci raggiungono dal confine tra Grecia e Turchia e dalle isole dell’Egeo orientale sono preoccupanti. Alle già precarie e pericolose condizioni di vita a cui sono sottoposti le donne, gli uomini e i minori bloccati nel Paese, si aggiungono le violenze da parte di attori pubblici e privati, anche a danno delle organizzazioni umanitarie e per i diritti umani presenti nelle isole. È quanto mai urgente fermare tutto questo e avviare un’effettiva e tempestiva discontinuità attraverso un piano europeo di ricollocazione negli Stati membri dei migranti. Soltanto una presa in carica diffusa e collettiva dei cittadini stranieri in questione può consentire la tutela effettiva della loro incolumità psicofisica.

Violato il principio di non-respingimento

La decisione delle autorità greche di sospendere l’accesso al diritto alla protezione internazionale nel paese ellenico e la violazione del principio di non-respingimento, rappresentano un precedente pericolosissimo e sono emblematici di una profonda crisi dei diritti che caratterizza il Paese ellenico, ma potenzialmente l’intera Unione europea. 

Per questo è importante che le istituzioni comunitarie diano un segnale forte, nella direzione della riaffermazione della centralità dell’istituto dell’asilo politico nello spazio europeo. Si tratta, com’è noto, di un principio fondamentale, riconosciuto dalle convenzioni internazionali e codificato nel diritto dell’Unione europea: da questa prospettiva, è intollerabile che gli Stati membri ne possano disporre autonomamente. È necessario fare in modo che la Grecia riprenda a farsi carico delle domande di asilo presentate sul suo territorio e della tutela giuridica dei cittadini stranieri che transitano per il paese. 

Pensiamo sia ugualmente indispensabile e urgente che le Istituzioni europee riflettano sulle cause profonde che hanno determinato la crisi che investe i confini orientali della Grecia. Tale crisi è la conseguenza di una strategia europea di esternalizzazione delle frontiere attraverso la cooperazione con i paesi interessati dal transito dei cittadini stranieri. L’aver affidato alla Turchia, ricorrendo a ingenti risorse economiche (6 miliardi euro impegnati e poco più di 3 spesi) il compito di contenere i flussi migratori in ragione della dichiarazione UE-Turchia è stato un errore strategico e ha contribuito al confinamento e alla violazione dei diritti moltissimi cittadini stranieri.

Nuove politiche migratorie europee

Com’è noto, la cooperazione con gli Stati terzi ha rappresentato, negli ultimi quattro anni, la principale strategia sviluppata dalle Istituzioni europee e dagli Stati membri per contenere i flussi migratori. Le vicende degli ultimi giorni rendono oltremodo evidente quanto tale strategia configuri diffuse e gravi violazioni dei diritti umani. Oltre a richiede interventi tempestivi, l’emergenza umanitaria delle ultime settimane impone un ripensamento delle strategie politiche delle Istituzioni europee in tema di politiche migratorie.

Il punto focale intorno al quale va praticata la discontinuità è rappresentato proprio dalle politiche di esternalizzazione dei confini, la cui violenza è resa in tutta la sua plastica evidenza dalle vicende degli ultimi giorni.

Proprio nel quarto anniversario della dichiarazione Ue-Turchia, firmata il 18 Marzo del 2016, con la quale la Turchia si impegnava a trattenere e a riaccogliere nel proprio territorio i migranti e rifugiati, in particolare siriani, in cambio di concessioni economiche, ingenti risorse finanziarie, facilitazioni sugli ingressi dei propri cittadini e un rinnovato dialogo politico pre-accessione, è importante prendere coscienza del fallimento umano e politico della strategie di esternalizzazione che proprio a partire da quel modello si sono poi estese ad altri Paesi, in primis la Libia.

É necessario promuovere un sistema equo e sostenibile di condivisione delle responsabilità di fronte all’arrivo di migranti e richiedenti asilo in Europa, in grado di assicurare agli tutti gli stati la capacità di fornire condizioni di vita degne per tutte le persone bisognose di protezione.

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