Il Paese dei mille fiumi
La leggenda vuole che il giorno in cui la treccia del dio Shiva si è disfatta, i suoi capelli sciolti abbiano creato un immenso e intricato groviglio: l’arcipelago che si stende fra il mare e le pianure del Bengala.
Quando pensiamo al Bangladesh ci vengono in mente cicloni, inondazioni, povertà, disagi sociali e instabilità politica che effettivamente caratterizzano il Paese, ma dietro a queste grosse e reali problematiche si cela un Paese affascinante, lussureggiante e ricco di storia. Con siti archeologici che risalgono a più di 2.000 anni fa, la terza spiaggia più lunga del mondo e una folta foresta di mangrovie, popolata ancora da qualche tigre.
Il Bangladesh è grande la metà dell’Italia ma conta circa 170 milioni di abitanti, di cui circa 22milioni solo nella capitale.
In questo scenario lavoriamo dal 1982, in 18 aree del Paese, focalizzando il nostro intervento su tematiche come i diritti delle donne, dei bambini e dei giovani, su istruzione, emergenze e cambiamento climatico.
Tutti i giorni, grazie ai nostri sostenitori, possiamo raggiungere direttamente circa 500.000 persone e arrivare ad altre 4milioni e 700mila attraverso attività di sensibilizzazione, formazione e informazione.
Dove vivono i bambini, tra baraccopoli e strada
Lo scorso marzo insieme a Dario, uno dei nostri sostenitori più affezionati, abbiamo intrapreso un viaggio alla scoperta dei programmi di ActionAid nella capitale del Bangladesh: Dhaka.
Qui oltre 4milioni di persone vivono nelle baraccopoli e sono 1milione e 600mila i bambini di strada.
Le cause sono molteplici. Povertà, calamità naturali, l’erosione dei fiumi, spingono le famiglie o membri di esse a cercare fortuna nella capitale, ma la città non è pronta ad accoglierli. Spesso poi i nuclei familiari si separano e la vita e la sicurezza dei bambini sono messe a repentaglio. Capita quindi che tanti di loro subiscano abusi e si trovino costretti a vivere da soli, nell’unico luogo che può accoglierli: la strada.
“Quando siamo arrivate a Dhaka la mia mamma si è risposata ma il suo nuovo marito ha altri figli e ha dato loro la precedenza su tutto. Il mio nuovo papà non ha soldi per mantenere anche me, nutrirmi, pagarmi cure mediche. Ecco perché oggi vivo nella Happy Home di ActionAid” Asha, 16 anni.
Una casa felice: la Happy Home
È primo pomeriggio quando entriamo nella casa famiglia di Dhaka. Ad accoglierci ci sono più di 50 tra bambine e ragazze tra i 7 e i 18 anni.
Siamo accolti da tanta curiosità e poi da canti, balli, piccoli spettacoli teatrali. Parliamo a lungo con le ragazze, raccontando chi siamo e ascoltando le loro storie, tutte caratterizzate da un passato di abbandono e solitudine ma anche di un riscatto potentissimo da quando sono entrate nella casa, dove hanno trovato educatori, guide e tante amiche, che loro definiscono sorelle.
È splendido ascoltare le loro parole piene di speranza, di consapevolezza che la vita per loro è stata dura ma che ora hanno una nuova possibilità, splendida, di avere successo.
Alcune ragazze stanno concludendo gli studi, c’è chi diventerà infermiera, chi insegnante, alcune ragazze – uscite dalla Happy Home qualche anno fa – oggi sono dottoresse o avvocatesse.
La casa offre non solo un luogo sicuro dove vivere ma anche cibo, istruzione, cure mediche e soprattutto la possibilità di realizzare un sogno: quello di una nuova vita piena, realizzata e sicura.
I centri per l’infanzia e i gruppi giovanili
Nei giorni successivi Dario ed io visitiamo tre diversi centri per l’infanzia. Sono spazi che sorgono all’interno delle baraccopoli e offrono ai bambini un’alternativa alla strada, un supporto nello studio e uno spazio dove stare insieme ad altri bambini come loro, dove cantare, ballare, dipingere, imparare a suonare diversi strumenti e dedicarsi a svariate attività didattiche ed artistiche.
Quando crescono i bambini vengono coinvolti in attività di rilevanza sociale, come la realizzazione di un giornalino comunitario attraverso il quale le ragazze e i ragazzi divulgano temi importanti nello slum, come i matrimoni precoci, la mancanza del rispetto dei diritti base della comunità della baraccopoli, come il diritto alla salute o all’istruzione.
Slum: una vita ai margini
Gli abitanti delle baraccopoli non hanno accesso a cure mediche gratuite, il governo non le garantisce: chi ha bisogno di un medico per ragioni non urgenti deve pagare la prestazione ma le famiglie più povere non possono permetterselo.
Per questo periodicamente organizziamo dei campi sanitari presso le baraccopoli: campi tendati dove medici e infermieri offrono la loro opera gratuitamente visitando bambini, donne, donne incinte e uomini, effettuando analisi del sangue, check up e fornendo medicinali a chi ne ha necessità.
“Anche io voglio diventare dottoressa in futuro. Sai cosa, qualche anno fa uno dei bambini della nostra zona si è ustionato con dell’acqua bollente ma la sua famiglia era povera e non hanno potuto curarlo da subito per mancanza di soldi. Allora tutta la comunità della baraccopoli ha fatto una colletta ed è stato aiutato. Adesso è più facile perché i medici vengono a trovarci periodicamente: voglio diventare una di loro” Nur, 13 anni.
Un cambiamento indesiderato: quello climatico
Impossibile oggi parlare del Bangladesh e non toccare l’argomento del cambiamento climatico, infatti, il Paese, già soggetto a terremoti e cicloni, oggi più che mai sta soffrendo gli effetti di un clima che non è impazzito – come a volte ci sentiamo dire – ma reagisce in maniera direttamente proporzionale a quanto stiamo maltrattando il nostro pianeta.
Alcune zone del mondo, lo sappiamo, accusano più di altre i fenomeni e gli effetti. Il Bangladesh è uno di questi, posizionandosi al settimo posto dei Paesi più vulnerabili al clima nel mondo.
Il cambiamento climatico ha anzitutto un impatto negativo sull’agricoltura e costringe le persone a migrare. Negli ultimi 10 anni, 700.000 persone sono migrate ogni anno a causa degli effetti di inondazioni, cicloni e intemperie estreme che hanno messo a rischio la loro vita nell’immediato ma anche a lungo termine, minando il loro accesso al cibo.
Il nostro lavoro non può tralasciare questo tema e da qualche anno stiamo lavorando con le comunità più a rischio con programmi di prevenzione e risposta alle emergenze, perlopiù coordinati dalle donne.
Il Bangladesh che mi è rimasto nel cuore
A viaggio finito mi porto a casa la certezza che il nostro lavoro insieme può cambiare davvero la vita delle persone. Certo, il lavoro da fare è ancora tanto, ci vuole tempo, tenacia, sostegno da parte di tutti ma il cambiamento è già iniziato, una persona alla volta.
Sembra poco? Proviamo a dirlo a chi oggi, a differenza di ieri, può finalmente studiare, curarsi, vivere una vita sicura e serena. Non mi pare poco, mi pare molto, mi pare il senso di tanti sforzi possibili grazie a chi ci sostiene ogni giorno.
Guarda il video integrale del viaggio.
Insieme possiamo costruire un futuro migliore per tante persone!
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