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22 Ottobre 2024
A cura di
Cristiano Maugeri - Programme Developer Area disuguaglianze globali
Antonio Liguori - Coordinatore campagna Fund Our Future
Parliamo di Gas. Più nel dettaglio, di piattaforme galleggianti di liquefazione del gas.
Il Mozambico è al terzo posto in Africa per riserve di gas stimate, dietro solo a Nigeria e Algeria. Nonostante il boom del settore, il paese africano è tra gli ultimi dieci paesi al mondo per indice di sviluppo umano.
Tuttavia, più che di gas mozambicano, parliamo di gas di ENI ed altre multinazionali, visto che ben pochi proventi legati all’estrazione e commercializzazione del gas si prevede rimangano nel paese.
Tornando a Coral South, nel 2017 ENI, in partnership con altre organizzazioni, avvia primo progetto dell’area per l’estrazione del gas naturale al largo del Mozambico, attraverso un impianto galleggiante di estrazione e liquefazione. Si tratta, dunque, di un progetto, c.d. offshore, ovverosia lontano dalla terraferma che, secondo ENI, dovrebbe permettere al Mozambico di contribuire ad assicurare gli approvvigionamenti di gas a livello globale. Gli interessi italiani in Mozambico, tuttavia, non mancano.
Coral North non è altro che il raddoppio, a 10km di distanza, del progetto del 2017, sempre su piattaforma e dunque lontano dalla terraferma ed in acque profonde.
Il motivo per cui il progetto è avviato lontano dalla costa, tuttavia, non è solo legata alla presenza di giacimenti offshore.
Nel 2019, la multinazionale francese TotalEnergies, con l’ausilio tecnico e finanziario italiano, fra gli altri, avvia il progetto Mozambique LNG, destinato a estrarre, liquefare ed esportare il gas del bacino di Rovuma. A differenza dei due già citati - Coral South, operativo da anni, e Coral North, in fase di completamento dei finanziamenti - si tratta di un progetto di estrazione sulla terra ferma, nello specifico nella località di Cabo Delgado.
(Se vuoi rileggere maggiori informazioni, avevamo parlato di Cabo Delgado anche qua)
Il progetto, tuttavia, si interrompe presto. L’insurrezione armata nella regione porta, nel 2021, all’interruzione dei lavori con TotalEnergies che invoca la “forza maggiore”. L’insurrezione, in verità, risale al 2017 ma arriva all’attenzione della stampa internazionale solo di fronte al controllo da parte degli insorti di alcune città simbolo degli investimenti estrattivi.
La presenza dei giacimenti di gas ha esacerbato un conflitto sopito nel paese, aumentando il livello di violenza ed il rischio che i progetti estrattivi della zona divengano obiettivo per attacchi terroristici. Nel 2022 la francese Total ha incaricato Jean-Christophe Rufin, ex vicepresidente di Medici Senza Frontiere ed ex diplomatico francese, di condurre una valutazione dei rischi di violazione dei diritti umani intorno all'impianto di gas.
Il rapporto pubblicato nel 2023 parla chiaramente di una ribellione radicata in forti disuguaglianze, mancanza di fiducia dello stato e abusi commessi dalle forze armate e di polizia. A questo proposito, dall’inchiesta indipendente di Alex Perry, pubblicata sulla rivista Politico lo scorso 26 settembre, emergono le gravissime violenze perpetrate dall’esercito mozambicano ai danni della popolazione locale. Violenze di cui la multinazionale francese pare fosse al corrente.
Ad oggi, si contano oltre un milione di sfollati e più di quattromila vittime.
La primavera scorsa, noi di ActionAid insieme a ReCommon, nello sforzo di denunciare gli impatti socio-ambientali derivanti dall’estrazione del gas in Mozambico, abbiamo avviato una campagna di pressione su UniCredit e Intesa SanPaolo per chiedere un impegno esplicito a non finanziare il progetto Coral North FLNG.
L’azione è stata condotta mobilitando oltre 600 persone, che hanno deciso di inviare una lettera con questa richiesta agli organi direttivi delle due banche.
Nel frattempo, altre 5mila persone hanno già firmato una nostra petizione per chiedere a tutti i principali istituti di credito italiani di non investire più in progetti di estrazione di energie fossili.
Dalle informazioni in nostro possesso, possiamo oggi affermare che non esiste alcun coinvolgimento di Unicredit nel progetto Coral North.
Questo avviene anche grazie alle campagne e alle azioni di pressione di tutte le organizzazioni che in questi anni si sono battute per il disinvestimento sulle energie fossili, spingendo anche le banche a dotarsi di policies più stringenti.
Purtroppo, al momento, non possiamo dire lo stesso di Intesa SanPaolo, le cui policy sono meno restrittive e dalla quale attendiamo ancora risposta sulle intenzioni di finanziamento che gli abbiamo rivolto.
Le due banche italiane, UniCredit e Intesa SanPaolo, come ricordato da una nostra recente analisi, sono tra le banche europee maggiormente responsabili del finanziamento della crisi climatica.
Per questa ragione, e per dare continuità agli impegni dell’Accordo di Parigi, continueremo a chiedere la sospensione di ogni forma di finanziamento all’industria fossile.
Governi e banche continuano a finanziare le fonti fossili, tra le principali cause del cambiamento climatico.