Benvenute e benvenuti! Da oggi e fino alla fine dell’anno, ogni mese cercherò di popolare questo spazio sul sito ActionAid con una parola a me cara, raccontandovi il perché (e soprattutto perché, forse, dovrebbe essere cara anche a voi!). Mi riferisco a quelle parole che esprimono solidarietà, giustizia, diritti, vicinanza, empatia, forza, valore. Non so voi, ma dopo aver elencato tutti questi elementi, la prima parola che mi è venuta in mente è una in particolare, ed è quella con cui inizio questa rubrica, ovvero “empowerment”.
Mi capita di leggerla o sentirla pronunciare almeno tre o quattro volte al giorno, non esagero: non più tardi di questa mattina, quando ho aperto l’ennesima newsletter a cui non ricordavo di essermi iscritta, o quando ho ricevuto l’invito per uno dei tanti eventi milanesi che mascherano il bieco networking e le pubbliche relazioni con le “buone intenzioni” e un pizzico di beneficenza.
La leggo con così tanta frequenza, inserita nei contesti più disparati, che a volte quasi mi dimentico il significato originale di una parola così preziosa.
Prendo in mano il dizionario: Oxford Languages definisce empowerment “La conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’ambito delle relazioni personali sia in quello della vita politica e sociale”; Treccani, Garzanti e qualsiasi altro dizionario ne danno simile definizione.
L’empowerment è creazione di cultura, è una parola pragmatica, è l’atto di donare consapevolezza, possibilità di decidere per sé e il proprio destino, attraverso la formazione – anche solo insegnare a leggere e scrivere, cosa che noi diamo per scontata, è empowering fino al midollo, così come dare accesso a internet, perfino possedere uno smartphone o il computer dal quale vi sto scrivendo – o ricevere l’aiuto per un percorso di avviamento al lavoro – mi viene in mente il “microcredito”, per esempio.
L’empowerment è quindi una presa di coscienza, è l’atto di offrire alle donne e alle bambine la possibilità di non lasciare che sia il posto nel mondo dove nascono a definire chi sono, ma che invece un’alternativa ai matrimoni precoci, alla tratta, ma anche solo a una vita insoddisfacente esiste, ed è faticosa ma viabile. Non è una parola bianca, benestante, da salotto buono, come le newsletter commerciali o gli eventi PR, a volte, mi vogliono lasciar credere. È, invece, una parola nobile, nel senso che nobilita chi la riceve. In tante zone del mondo, è addirittura un vero e proprio strumento di salvezza.
Non voglio più perdere di vista il suo significato politico e sociale, più “alto”, ma sicuramente più pratico al contempo. Non voglio più dimenticare il valore di una parola così preziosa.
Spero da oggi possiate farlo anche voi.