Questo sito utilizza cookie tecnici per migliorare la tua navigazione e cookie di analisi statistica di terze parti. I cookie di analisi possono essere trattati per fini non tecnici da terze parti.
Se accetti di navigare in questo sito, acconsenti all’uso di tutti i cookie e, in particolare, per permetterci di usare cookie di profilazione per aggiornarti sulle nostre attività in maniera personalizzata.
Se vuoi saperne di più Clicca qui.
2 Marzo 2021
Dopo quasi sei mesi di lavoro, ActionAid pubblica “The Big Wall”. Non un rapporto di ricerca ma un’inchiesta multimediale con un sito dedicato - www.thebigwall.org - che vuol rendere fruibile a tutti una storia lunga e complessa, quella dei tentativi italiani di fermare le migrazioni via mare dal continente africano.
Tra il 2015 e il 2020 l’Italia, secondo la nostra ricostruzione, ha speso un miliardo e 337 milioni di euro per bloccare, o per lo meno ridurre, le migrazioni dall’Africa.
Per farlo, ha messo in campo risorse proprie e fondi dell’Unione Europea, ed una serie di interventi distribuiti tra le acque del Mediterraneo e 25 paesi africani, viaggiando a ritroso lungo le rotte delle migrazioni, dalle coste del nord Africa fino all’equatore.
Non c’è quindi solo la Libia, dove l’intervento italiano ha dato vita ad un ciclo di intercettazioni in mare, detenzione e rimpatri, accompagnato da un corollario di violenze e abusi contro persone in viaggio, ma anche Egitto, Tunisia, Niger, Sudan, Etiopia e molti altri paesi per cui, dalla ‘crisi dei rifugiati’ del 2015 in poi, la questione migratoria è diventata prioritaria, entrando con prepotenza in negoziati su cooperazione e partnership politiche e commerciali.
Tra gli otto capitoli di spesa che abbiamo identificato, a dominare la scena è il controllo delle frontiere, che assorbe quasi il 50 per cento del budget. Ma fondi importanti - 195 milioni di euro - vanno anche alle così dette ‘cause profonde’ delle migrazioni, ovvero a progetti di sviluppo il cui obiettivo, pur con declinazioni diverse, è di ridurre la mobilità migliorando le condizioni di vita sul posto, in paesi di origine o transito di migranti e rifugiati.
Ad emergere è un tentativo di piegare comparti di spesa vincolati a precisi standard internazionali, come quelli della cooperazione allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria, ad una strategia di contenimento dei movimenti via terra e mare dall’Africa verso le coste mediterranee, legittimando per esempio il sostegno a forze di sicurezza in paesi con regimi repressivi.
Una spesa che contribuisce, dunque, a rafforzare governi autoritari, limitare la libertà di circolazione all’interno del continente africano e rendere più pericoloso il viaggio di chi continua a lasciare il proprio paese in cerca di opportunità e sicurezza.
Ed anche, paradossalmente, a rafforzare il potere di consolidate reti di trafficanti internazionali. Inasprendo i controlli lungo frontiere e arterie di comunicazione intra-africane, si finisce infatti per spingere chi viaggia nelle mani delle stesse organizzazioni criminali che l’Unione Europea, a partire dall’Agenda per le migrazioni del 2015, ha dichiarato di combattere.
Condizionate da un’idea di crisi permanente, da affrontare con misure di emergenza, l’Italia e l’Unione Europea hanno messo in campo negli ultimi anni strumenti finanziari ad hoc, come il Fondo fiduciario per l’Africa dell’UE e il Fondo Africa, nato nel 2016 e rinnovato nel 2019 come Fondo Migrazioni.
Un panorama reso più complesso dall’intervento di almeno cinque ministeri italiani, dal sovrapporsi di fondi diversi e dall’interazione tra finanziamenti europei ed italiani.
Nonostante la stessa Commissione Europea abbia dichiarato chiusa quella che nel 2015 - quando circa 850,000 persone erano entrate in Grecia dalla Turchia - era stata definita la crisi dei rifugiati, negli ultimi anni l’approccio adottato a livello europeo ed italiano è cambiato di poco. A fare da padrone è sempre un’idea di crisi, da affrontare nel breve periodo, sigillando ulteriormente le frontiere dello spazio Schengen.
Il nuovo Patto per le Migrazioni e l’Asilo, presentato nel settembre 2020 ed oggi in fase negoziale, punta infatti ancora sulla crescita dei rimpatri e sulla cooperazione con paesi terzi, mentre il budget settennale dell’UE, approvato lo scorso dicembre, ha dato vita ad uno Strumento di Vicinato, Sviluppo e Cooperazione Internazionale, dotato di 70 miliardi di euro, il cui 10 per cento sarà destinato al contrasto alle migrazioni, ed ha deviato verso il sostegno ai rimpatri gran parte del Fondo Immigrazione e Asilo (8,7 miliardi) oltre a stanziare 12,1 miliardi di euro per il controllo dei confini. Risorse ingenti che al momento, in Europa come in Italia, sono svincolate da efficaci controlli di coerenza e rispetto dei diritti umani.
Sul fronte italiano, a conferma della continuità di un approccio emergenziale, è sufficiente dire come a inizio febbraio 2021, la Polizia di frontiera italiana abbia assegnato per 6,9 milioni di euro, alla società Leonardo Spa, l’appalto per noleggiare un drone di sorveglianza del Mediterraneo centrale, mentre la legge di bilancio 2021 prevede per esempio una spesa di 66 milioni di euro per infrastrutture in Libia.
A complicare un quadro già di per sé pluriforme è la scarsa trasparenza di questo tipo di spesa. Solo leggendo centinaia di documenti, nascosti all’interno dei siti di ministeri e istituzioni europee e grazie ad una serie di richieste di accesso agli atti realizzate negli ultimi due anni dall’Associazione Studi Giuridici per le Migrazioni, siamo riusciti a ricostruire una parte visibile di una spesa che è in parte disciolta nel budget ordinario di ministeri e forze dell’ordine.
Data però l’importanza di questa spesa, date le sue implicazioni per la politica estera e i diritti umani e data la centralità politica del dibattito sulle migrazioni, crediamo che queste informazioni debbano essere accessibili in modo chiaro ad ogni cittadino.
Mentre si continua a morire lungo le frontiere europee, seppur lontano dai riflettori che illuminavano queste tragedie fino a pochi anni fa, riteniamo urgente accendere una luce sulle politiche italiane ed europee e sulle risorse messe in campo nel passato, contribuendo ad un dibattito approfondito ed aprendo crepe in un muro che viola diritti umani, guardando a facili consensi elettorali piuttosto che al futuro delle nostre società e a un rapporto fruttuoso tra le due sponde del Mediterraneo.
Vi invitiamo dunque a scoprire la genesi e lo sviluppo di questo Grande Muro, esplorando grafici e database, leggendo alcune delle testimonianze delle oltre trenta persone che abbiamo intervistato e riflettendo su come immaginare politiche, e spese, diverse.
Per qualsiasi informazione, chiarimento o critica, potete scrivere a [email protected]