Protagonismo delle nuove generazioni e sfide della società civile.
Dal punto di vista della politica istituzionale, i giorni che abbiamo attraversato sono stati particolarmente vibranti. L’elezione del Presidente della Repubblica è, dal punto di vista dell’architettura costituzionale, un passaggio chiave per il paese. Non c’è altro momento della vita politica che sia circondato da pari solennità. Nell’immaginario mainstream, compartecipazione, coinvolgimento emotivo e immedesimazione sono le emozioni che hanno accompagnato chiunque viva in Italia.
Cosa significa essere e sentirsi cittadini
È stato davvero così? Sono contemplabili atteggiamenti, sensazioni e posture di altro tipo? Ci siamo davvero sentiti tutti coinvolti? Se osservate con le lenti della cittadinanza, queste giornate appaiono decisamente più ambivalenti. C’è denso e diffuso insieme di persone che sono strutturalmente private della possibilità di partecipare alla vita politica ufficiale del paese. Più di cinque milioni di persone risiedono in Italia ma sono escluse dal conseguimento della cittadinanza italiana per via degli attuali criteri con i quali è attribuita. Infatti, chi nasce in Italia ed è figlio di genitori di origine non italiana non acquisisce automaticamente la cittadinanza italiana ma deve spesso attendere il conseguimento dei diciotto anni per presentare richiesta ed è sottoposto a un iter dall’esito tutt’altro che scontato. Per chi, invece, nasce all’estero e arriva in Italia anche poco dopo, non è perseguibile neanche l’acquisizione della cittadinanza con la maggiore età: si è sottoposti a criteri e procedure ancora più escludenti.
Una legge che struttura diseguaglianze
Nel paesaggio giuridico e sociale configurato dalla legge che regola l’acquisto della cittadinanza italiana, la n. 91 del 1992, la cifra dominante è la strutturale diseguaglianza, riscontrabile in molte sfere diverse della vita pubblica e privata. Accanto all’esclusione dal pieno godimento dei diritti politici, chi è privo della cittadinanza italiana è, ad esempio, penalizzato nel mercato del lavoro e nell’accesso al pubblico impiego. Più in generale, l’impossibilità di potersi spostare liberamente attraverso le frontiere e il vincolo costante al rinnovo del permesso di soggiorno – pena il possibile trattenimento in un centro di permanenza per il rimpatrio e trasferimento coatto in un altro paese – ben testimoniano quale sia la posizione, subordinata e precaria, che l’ordinamento giuridico italiano riserva alla persone escluse dalla cittadinanza. (Su questi aspetti, fonte di diseguaglianze e sui motivi per cui chi non ce l’ha vorrebbe avere accesso della cittadinanza, nel 2020 svolgemmo un sondaggio, lo puoi trovare qui)
Approvata il 5 febbraio del 1992, la legge attuale è irreversibilmente inadeguata. In questi trent’anni, infatti, la composizione della popolazione è mutata in maniera radicale. Le scuole, i luoghi di lavoro, le università, i movimenti sociali e le organizzazioni della società civile sono sistematicamente attraversati, partecipati, costituiti da persone che nel proprio percorso di vita o nella biografica di famiglia hanno fatto esperienza della migrazione. Da un punto di vista storico, politico e finanche logico è del tutto evidente che una normativa approvata trent’anni fa, quando in Italia risiedevano poche centinaia di migliaia di persone di origine straniera e il paese di percepiva terra di emigrazione più che di immigrazione, non possa essere all’altezza dei tempi attuali, nei quali il 9% dell’insieme della popolazione residente è cittadina di un altro paese.
30 anni di mancate riforme
In questi trent’anni nessuna delle riforme organiche dibattute in Parlamento è stata approvata, neanche quando, come nella legislatura precedente, l’obiettivo è sembrato alla portata. Ad esempio, nel 2015 una nuova legge aveva avuto l’approvazione della Camera alla quale però non seguì quella del Senato. La legislatura si concluse e l’iter ricominciò dall’inizio.
A fronte dell’inerzia del Parlamento – che anche nell’ambito dell’attuale legislatura procede a rilento – è da rifiutare la tentazione della rassegnazione. Non c’è soltanto da contrapporre l’ottimismo della volontà al pessimismo della ragione: una nuova disciplina della cittadinanza è inevitabile in quanto lo scorrere del tempo non fa che acuire la distanza tra la legge del 1992 e i più macroscopici dati di realtà sulla composizione della popolazione.
Per invertire la tendenza è indispensabile provare a cambiare prospettiva sulle nuove generazioni di italianə. L’idea per la quale chi è esclusə dalla cittadinanza è, a tutti gli effetti, un soggetto politico è una delle evidenze che si acquisisce nitidamente non appena ci si affaccia sul mondo che convenzionalmente – e in maniera riduttiva – viene classificato come seconde generazioni.
Il protagonismo politico delle e dei giovani non formalmente italianə è, per le organizzazioni della società civile, un’inevitabile palestra che consente di cogliere in maniera molto più puntuale le tensioni, i conflitti e le potenzialità che attraversano la società. È anche un invito, a volte esplicito, altre implicito ma ugualmente cogente, a mettere in discussione le proprie modalità di azione, le griglie interpretative e le scelte organizzative.
Per noi di ActionAid, l’impegno per l’approvazione di una nuova legge sulla cittadinanza è una doppia sfida. Vogliamo essere un’infrastruttura di supporto, in grado di sostenere le mobilitazioni delle persone prive di cittadinanza italiana, rispettando alla stesso tempo l’autonomia decisionale e organizzativa, e il protagonismo di chi ha la propria vita segnata dall’assenza di cittadinanza e si mobilita per invertire la rotta.
Il 5 febbraio è stato il trentesimo anniversario dell’approvazione della legge n. 91 del 1992. È indispensabile fare in modo che sia l’ultimo compleanno dell’attuale normativa. È necessario che nell’agenda politica il tema della riforma della cittadinanza diventi un’assoluta priorità. Le mobilitazioni delle eterogenee e diffuse organizzazioni delle nuove generazioni di italianə testimoniano che la partita per la trasformazione radicale dei criteri con i quali si diventa cittadinə italianə non è affatto chiusa. Un’ampia alleanza a sostegno di queste mobilitazioni può contribuire ad archiviare una delle disposizioni più ingiuste del nostro ordinamento.