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1 Luglio 2020
Dallo scoppio della pandemia il Governo Conte ha promosso scelte politiche che impattano significativamente sulla vita delle persone in assenza del necessario confronto e partecipazione. Dalla decretazione dello stato d’emergenza fino ad oggi è stato seguito un modello di gestione del Paese centralizzato e fortemente passivizzante per la cittadinanza, chiamata solamente a prendere atto e rispettare gli obblighi previsti.
Che sia chiaro: non è questa una critica al lock-down sanitario beninteso; piuttosto, è la manifestazione di un disagio verso un insieme di provvedimenti non condivisi, che hanno alimentato gli squilibri di potere e ridotto fortemente gli spazi democratici. Con il risultato di aver favorito in maniera, vogliamo augurarci, inconsapevole l’esclusione di ampi settori della società, andando ad inasprire le disuguaglianze già preesistenti e creando nuove forme di povertà.
Il Decreto Rilancio, preceduto da oltre 240 adottati dall’inizio dell’emergenza e che pesa per più di una manovra finanziaria (55 miliardi di euro contro i 37 dell’ultima Legge di Bilancio), è rientrato appieno in questa logica e ha evidenziato tutti i limiti di una normativa che non rappresenta e include i bisogni di tutte e tutti e preclude l’accesso ai diritti. E’ l’occasione per ridare centralità al Parlamento ed alimentare un reale e incisivo spazio di discussione. Dare la possibilità di esprimere davvero il suo ruolo legislativo e di indirizzo e controllo delle politiche verso il Governo.
Il confronto democratico che chiediamo significa rimettere al centro dell’azione pubblica le persone e le loro capacità propositive in un quadro di informazioni chiare e trasparenti. Significa coinvolgere le reti civiche di cittadini che si sono attivati per sopperire alle carenze del sistema pubblico di assistenza sociale.
In questo scenario, ActionAid ha analizzato quanta trasparenza e partecipazione sono entrate nel Decreto Rilancio in tema di misure contro la povertà e del diritto all’educazione, diritti delle donne, dei giovani e dei lavoratori stranieri. Il risultato non lascia spazio a dubbi: le politiche d’indirizzo stabilite dal Governo devono essere assolutamente ridefinite per aderire ai principi fondanti dell’accountability sociale. L’insieme, cioè, di valori quali trasparenza, rendicontazione, collaborazione e partecipazione che, letti in un sistema interconnesso, rappresentano l’azione di buon governo.
Uno sguardo ampio sugli stanziamenti previsti consente di intravedere uno spiraglio di luce per imprese, enti locali e terzo settore, ma il Decreto tralascia in modo assai discutibile comparti altrettanto strategici legati ai servizi pubblici essenziali. Un esempio su tutti la scuola, a milioni nel 2020 e 600 nel 2021 per il superamento dell’emergenza. Un vero e proprio colpo all’Italia del futuro, come ribadito anche dalla Ministra Azzolina che ha chiesto un fondo da 1 miliardo per intervenire in modo decisivo sulla scuola del post-emergenza.
Sui voucher alimentari, il mancato ricorso a dati chiari e indicazioni precise sui beneficiari ha determinato una totale discrezionalità che ha prodotto regolamenti di accesso molto differenti tra i diversi Comuni. Da qui ne è discesa una diversificazione nell’accesso alla misura, abbandonando a se stesse proprio le persone che ne avevano più bisogno, sollevando forti preoccupazioni in merito alle possibili discriminazioni, in particolare di cittadini di origine straniera.
Per quanto riguarda il tema delle regolarizzazioni, un forte limite d’accountability emerge in più passaggi: in primo luogo nella complessità della misura stessa, che presenta molte zone d’ombra ed è in più parti escludente. L’impressione è che chi ha contatti e risorse, personali e collettive, avrà più possibilità di orientarsi efficacemente tra le pieghe del meccanismo delineato.
Anche sui diritti delle donne, il non aver saputo utilizzare e leggere i dati con la “lente di genere”, ad esempio, ha portato a stanziare fondi riguardanti principalmente il mercato del lavoro senza tener conto delle specificità caratterizzanti l’occupazione femminile. Sul lato della partecipazione, il mancato coinvolgimento dei centri antiviolenza e di organizzazioni della società civile di promozione dei diritti delle donne nella definizione degli interventi previsti nel decreto, ha comportato in questo DL l’assenza di misure per percorsi di sostegno e protezione delle donne che subiscono violenza.
Sui provvedimenti a sostegno di giovani, educazione e lavoro, due sono le questioni che balzano immediatamente agli occhi: il sottofinanziamento delle politiche scolastiche, di cui abbiamo già detto, e l’inconsistenza di misure a favore di chi è fuori dal mercato (formale) del lavoro e l’assenza di politiche dedicate.
Anche in questo caso il mancato ricorso a dati chiari, pure disponibili, ha determinato delle distorsioni nelle misure adottate: gli elementi di fatto, infatti, mostrano che l’incidenza della povertà è maggiore tra i giovani. Un quadro questo che apre a scenari ancor più negativi se messi in relazione alle misure di contrasto alla povertà. Su questo fronte merita molta attenzione il minimo investimento nel Reddito di Emergenza (REM), peraltro caratterizzato da verifiche in ingresso complesse, che danneggia tutte le fasce più vulnerabili, ma in particolare i più giovani e i minori, poiché la povertà si concentra proprio nelle famiglie più numerose.
Senza partecipazione e trasparenza, si può allagare una frattura fra Governo e cittadini, rendendo la gestione dei prossimi mesi potenzialmente ancora più difficile. Il rischio è che il post emergenza possa essere ben più drammatico dei mesi difficili che abbiamo vissuto nel passato recente, con ripercussioni di lungo periodo che potrebbero essere uguali se non addirittura superiori a quelle della crisi economica del 2007. Bisogna far presto certo, ma bisogna anche fare bene.