Spazi e occasioni di incontro sono fondamentali per affrontare disagio giovanile e scolastico.
A cura di Rosy Battaglia – Giornalista
Immagini di Francesco Poroli
“Non bisogna “solo” ragionare su numeri e analisi per comprendere il malessere di ragazzi e ragazze, solo sull’abbandono scolastico e sulla dispersione implicita e esplicita. Occorre anche lavorare per creare spazi di incontro e racconto, in grado di intercettare l’adolescenza dispersa. Bisogna mettersi in ascolto dei cambiamenti di vita, in atto, di queste generazioni”.
Marco Rossi-Doria, uno dei maggiori esperti in Italia di politiche educative, attualmente presidente dell’Impresa sociale Con i Bambini, il soggetto attuatore del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile in Italia, commenta così il report di ActionAid sul disagio giovanile nel post pandemia nelle grandi città, a partire da Milano. Progetto in cui gli stessi giovanissimi “data reporters” hanno denunciato la crisi in atto nel sistema sociale e scolastico.
“I dati per leggere questi fenomeni sono complessi e vanno ben interpretati: bisogna disaggregarli con apposite ricerche e analizzando ogni possibile fattore. Chi sono le ragazze e i ragazzi dispersi? Sono quelli che non vanno più a scuola? Sono quelli che hanno accumulato troppe assenze, anche se ogni tanto ritornano in classe? Oppure, sono anche quelli che vanno a scuola a sufficienza per poter essere scrutinati a fine scolastico ma saranno davvero “dispersi” come futuri cittadini, perché imparano pochissimo?”, sottolinea Rossi-Doria.
“In Italia, gli uffici scolastici regionali hanno presentato nel 2022 una somma totale di 83 mila studenti e studentesse bocciati per cumulo di assenze, prima dello scrutinio. In assoluto, il nostro Paese è, in Europa, quello con il maggior numero di assenze tra la popolazione scolastica. Ma le sole assenze non bastano per farci capire cosa sta realmente succedendo”.
Dall’altra parte, l’opinione pubblica ha una fotografia confusa sui fenomeni di dispersione e abbandono scolastici, a partire da cosa essi rappresentino realmente. “La definizione europea di dispersione scolastica, gli “early leavers from education and training” – ribadisce Rossi-Doria – riguarda i ragazzi tra i 18 e i 24 anni ed è rappresentata da un campione statistico non reale, ben oltre l’età del percorso formativo obbligatorio che in Italia arriva ai 16 anni”.
Sono, invece, i contestati test INVALSI, sottolinea il presidente di “Con i bambini” a fornire un quadro più preciso sulle difficoltà. “Intanto, perché sono effettuati sulla totalità della popolazione scolastica e misurano l’apprendimento di alcune competenze fondamentali dei futuri cittadini, come la lettura e la comprensione di un testo scritto”. L’invito di Rossi-Doria è, quindi, quello di leggere bene tra le righe per capire, almeno in parte, cosa stia succedendo.
“Quello che emerge, dai dati INVALSI ad esempio, sulla città di Milano, è che alla fine del biennio delle superiori, alla fine della terza media e delle elementari, un numero molto elevato degli alunni delle parti più fragili della città non hanno raggiunto delle competenze, nella lettura, nella comprensione del testo e in matematica, accettabili. Si tratta di dispersione scolastica implicita, che ci dice come manchino le competenze minime per esercitare consapevolmente la propria cittadinanza”.
Un altro dato, quello molto citato da alcuni media, relativo all’abbandono scolastico misurato con il ritiro formale dalla scuola che il ministero registra, è in realtà discutibile, secondo Rossi-Doria, ”perché spesso ragazze e ragazzi tendono ad andare via senza compiere l’atto formale dell’abbandono e questo comportamento sfugge ad ogni rilevazione”.
Cosa fare, allora, per intercettare i bisogni e il disagio degli adolescenti nel post-pandemia?
“Bisogna mettersi in ascolto, cercare di sapere in tempo reale chi se ne è andato da scuola e perché, Dobbiamo comprendere le loro vite ed intercettare le loro storie, rendendoli protagonisti, permettere loro di raccontare ed elaborare i fallimenti e ripensare a un progetto di vita”.
Per questo, conclude Marco Rossi-Doria, occorrono osservatori in grado di andare oltre l’analisi qualitativa e quantitativa dei numeri del disagio giovanile e lasciare spazio alle attività concrete del terzo settore, delle parrocchie, degli scout, del mondo dello sport, per creare luoghi di aggregazione sia organizzati che non, in grado di accogliere queste generazioni in sofferenza, d’accordo con la scuola. “Di certo così impareranno moltissimo”.