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12 Novembre 2024
A cura di Francesco Ferri - Migration Expert
La collina ripida che circonda il centro di trattenimento di Gjader (vedi la struttura sul portale Trattenuti) amplifica l’effetto oppressivo delle alte recinzioni che ne delimitano il perimetro. In questo luogo, per tre giorni, sono rimaste confinate sette persone soccorse nel Mediterraneo centrale e trasportate contro la loro volontà in Albania dalla nave Libra. Queste persone – cinque provenienti dal Bangladesh e due dall’Egitto – sono state collocate nella zona della struttura riservata ai richiedenti asilo sottoposti a procedure accelerate - quindi con meno garanzie - di valutazione del loro bisogno di protezione.
Nell’ambito della delegazione del Tavolo asilo, in missione in Albania per monitorare queste operazioni, siamo entrati più volte nel centro, grazie al supporto di diversi parlamentari italiani: gli onorevoli Scarpa, Mari, Casu, Colucci e Boldrini, che si sono alternati per garantire la continuità del monitoraggio.
La struttura di Gjader è suddivisa in tre sezioni distinte: una destinata al trattenimento dei richiedenti asilo, un’altra concepita come un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) e, infine, una terza destinata a funzionare come un vero e proprio penitenziario. Sebbene le ultime due aree non siano ancora operative, tutto è già pronto per un potenziale utilizzo, una prospettiva che solleva preoccupazioni crescenti.
Il centro di Gjader è in piena fase di ampliamento: ho osservato un cantiere a cielo aperto, destinato a occupare una porzione sempre più vasta della campagna circostante il piccolo centro abitato. Dal cancello di ingresso fanno avanti e indietro gli operai e in mezzi pesanti impiegati nei lavori in corso. Nubi di polvere si sollevano non appena, dalla collina circostante, si alza il vento secco e freddo.
La cooperazione tra Italia e Albania rappresenta un inquietante salto in avanti nelle politiche migratorie europee, configurandosi come un vero e proprio esperimento di delocalizzazione delle frontiere: un laboratorio in cui la gestione del fenomeno migratorio viene trasferita fuori dai confini dell’Unione. Pur operando in Albania, le autorità italiane rimangono responsabili delle procedure, delineando così uno scenario inedito dal punto di vista della sovranità.
Nonostante i notevoli investimenti economici, infrastrutturali e politici che sostengono questa iniziativa, il progetto Gjader ha evidenziato fin dall'inizio gravi criticità sia sotto il profilo giuridico che politico. La decisione di ieri del Tribunale di Roma, che non ha convalidato il trattenimento per queste sette persone e ha comportato la loro liberazione, rappresenta un duro colpo per la strategia del confinamento esterno. I giudici italiani hanno avanzato una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, formulando quattro domande cruciali sulla legittimità della lista italiana dei “paesi di origine sicura”, una classificazione che risulta centrale il trattenimento.
Questa decisione si unisce a una serie di interventi simili, emessi sia dallo stesso tribunale che da altre corti, e mette in discussione, nel complesso, il modello di Gjader. L'effetto è immediato: i due egiziani e i cinque bengalesi sono stati immediatamente trasferiti a Brindisi e sono accolti in una struttura non detentiva.
La missione del Tavolo asilo in Albania ha anche una dimensione simbolica: quella di rompere l’isolamento di questi luoghi di confine, ponendo l’attenzione sul rischio che esperimenti di questo tipo rappresentano per la tutela dei diritti su larga scala. Il monitoraggio continuo resta essenziale, sia per comprendere l’evoluzione del progetto specifico sia per provare a fare in modo che esperimenti come Gjader non diventino una realtà consolidata e replicabile.
Gjader è un laboratorio ed è in crisi: è urgente smantellarlo, evitando che un modello del genere prenda piede e venga replicato in altri contesti, con tutte le possibili ripercussioni sui diritti fondamentali delle persone migranti