Per i migranti in Grecia solidarietà solo dalla società civile. Dov’è l’Ue?
La brutalità delle immagini provenienti dal confine tra Grecia e Turchia e dalle isole dell’Egeo sollecita un radicale ripensamento delle pratiche migratorie europee. Negli ultimi giorni le violenze dei militanti dell’estrema destra hanno raggiunto forme di un’intensità finora inaudita, che ci chiamano direttamente in causa. Se infatti alle immagini che arrivano dalla Grecia in questi giorni affianchiamo quelle che sono giunte negli ultimi cinque anni da Lampedusa, da Calais, passando per Ventimiglia, per i paesi balcanici o dalle enclavi spagnole in Marocco, ci rendiamo conto della dimensione tutt’altro che eccezionale degli accadimenti di questi giorni. La violenza e la violazione dei diritti sono state normalizzate e sono conseguenza di un funzionamento distorto o addirittura di una assenza di politiche migratorie credibili, nell’Europa contemporanea.
Il posizionamento delle istituzioni europee risulta inquietante nei toni quando Ursula von der Leyen descrive la “Grecia [come] lo scudo europeo”, ma questa frase di per sé violenta non fa che rappresentare una pratica ripetuta. Ecco perché è urgente e quanto mai necessario andare oltre l’indignazione e la denuncia di quella che appare una perdita di riferimenti ideali grave.
Il mosaico di violazioni dei diritti umani delineato dalla gestione europea delle migrazioni è il prodotto della scelta di esternalizzare la gestione delle frontiere e il violento contenimento dei migranti ai paesi di transito, dalla Turchia alla Libia. La violenza lì accettata e quasi legittimata al fine di contenere, detenere e governare i flussi, riecheggia poi anche nella violenza fisica e procedurale resa sistematica nei paesi del Sud Europa nella gestione dei flussi residui.
L’immagine dello scudo evocata dalla presidente della Commissione è esemplificativa di quale sia il carattere dell’approccio utilizzato. L’esternalizzazione delle frontiere è la precisa strategia politica delle istituzioni europee e degli Stati membri, non un accadimento occasionale. Ed allora è proprio per questa ragione che appare necessario politicizzare l’indignazione e dare un indirizzo alla reazione genericamente solidale.
È necessario anzitutto proporre soluzioni per la crisi greca: non si può che ragionare sulla redistribuzione su scala europea delle persone attualmente bloccate in terra ellenica. Ma per farlo è necessaria una disponibilità genuina al superamento della strategia di esternalizzazione ed al ripristino, su scala europea, dell’effettiva esigibilità del diritto d’asilo.
È inoltre necessario sostenere immediatamente le molteplici forme di solidarietà che stanno confluendo verso la Grecia in questi giorni. Gli aiuti materiali, gli appelli, le iniziative sul campo che si organizzano in solidarietà con i migranti bloccati sono la traccia di un’altra Europa, aperta e solidale, che è possibile immaginare e costruire attraverso pratiche da sostenere, non criminalizzare.
In ultimo, è quanto mai urgente contrastare la violazione dei diritti dei migranti che va quotidianamente in scena anche nel nostro paese. Ce ne siamo dimenticati? Il richiamo, l’ennesimo dopo sei mesi di governo, va ai “decreti Salvini”. La criminalizzazione della solidarietà e lo svilimento del diritto d’asilo, non sono confinati nel paese ellenico, ma sono gli assi portanti delle riforme normative italiane degli ultimi anni.
L’abrogazione di quei “decreti” a cui il governo ed i cittadini sembrano “assuefatti” ed il superamento della politica di collaborazione con le autorità libiche possono configurare una forte discontinuità, con valenza europea, rispetto al recente passato. Un’azione forte della società civile è in campo da oltre un anno ed è l’unica che contribuisce a dare una rappresentazione concreta, attuale e propositiva alla parola solidarietà pronunciata dal presidente Sassoli, subito dopo quelle orribili di Von der Leyen.