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2 Marzo 2020
Giovedì pomeriggio ho salutato i colleghi e sono uscita dall’ufficio come sempre. Il giorno seguente avrei lavorato da casa in smart working e davanti a me avevo poi quattro giorni di vacanza in Sicilia per il compleanno di mio marito.
La mia tranquilla e pianificata routine è svanita verso le 7.30 di venerdì mattina, quando ho letto le prime notizie. Il corona virus era arrivato in Italia. No, era arrivato proprio a Codogno, dove abito e dove sono nata.
Quello che è successo nelle ore immediatamente successive lo sanno tutti. Quello che non sanno è come lo abbiamo vissuto noi. Il mio timore, una volta caduta l’ipotesi del paziente zero, era assistere a una caccia all’untore, al sospetto. Invece la mia comunità mi ha stupita. E in questa occasione ho capito quanto io ne sia parte e quanto abbia bisogno di lei, nella sua complessità e diversità di pensieri e culture.
In questi giorni ho riscoperto della gente resiliente, solidale. Capace di collaborare insieme. Di fare il pane con gli impasti preparati per la pizza pensando a quelli che già con fatica arrivano a fine mese, di anticipare le direttive scolastiche e mettersi in contatto con i propri alunni per sostenerli nella didattica, di creare momenti di svago e aggregazione con lezioni di aerobica via streaming, di organizzarsi in un gruppo – rigorosamente a distanza – mettendosi a disposizione del Comune e della Protezione Civile per rispondere al telefono e dare informazioni o raccogliere e rispondere ai bisogni delle persone più fragili.
Io lavoro per ActionAid, una federazione internazionale che nei paesi in cui opera si interfaccia spesso con emergenze e che nel suo DNA ha una vocazione alla resilienza. Per noi, permettere a tutti i cittadini di partecipare ai processi decisionali e mettere le persone al centro è il cuore di ogni nostra azione. L’ho visto con i miei occhi quando recentemente sono stata in Ruanda e ho incontrato donne sopravvissute al genocidio o quando ho visitato i nostri progetti in Senegal. Qui, in particolare, ho potuto toccare con mano cosa significa essere una comunità resiliente di fronte agli effetti del cambiamento climatico e al mare che divora la costa, i terreni agricoli e le case.
Il mio primo pensiero è infatti andato alle persone più fragili ed escluse. Io e tantissimi altri miei concittadini ci siamo attivati per mappare i bisogni e cercare di non lasciare nessuno escluso. Abbiamo individuato subito le azioni da fare e le priorità. Non ci siamo fatti prendere dal panico ma stiamo partecipando, ognuno come può, a creare una narrazione differente da quella che è stata spesso rappresentata al di fuori. Le nostre giornate sono piene, non ci annoiamo affatto. Abbiamo lasciato le polemiche fuori dalla zona rossa, fiduciosi che anche la politica e le istituzioni giocheranno pienamente il loro ruolo per sostenere il territorio, i suoi bisogni e la sua economia.
Nel mio lavoro fianco a fianco con le comunità in Italia e nel mondo, vedo spesso il grande potere che hanno le persone di cambiamento, se sono messe al centro di ogni intervento ed è data loro la possibilità di organizzarsi ed esprimersi. Son fiera di vederlo anche qui a Codogno e negli altri paesi del basso lodigiano. Sono fiduciosa che questi giorni di convivenza forzata ma serena si stiano rivelando la nostra occasione per riscoprirci comunità attiva e solidale. Lo eravamo già, dovevamo solo ricordarcelo.