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12 Giugno 2020
Perché è fondamentale una nuova disciplina per un’inversione di tendenza.
di Antonio Liguori Community Mobilizer e Francesco Ferri - Programme Developer Migration.
Un vento fresco soffia sul mondo. Per le strade e nelle piazze dei cinque continenti uomini e donne si mobilitano contro il razzismo. L'omicidio di George Floyd e le mobilitazioni globali di protesta segnano il nostro tempo. La diffusione del movimento, l’amplissima partecipazione, l’intensità e la passione che si respirano per le strade e nelle piazze ci interrogano tutte e tutti.
Anche l’Italia è attraversata da intense mobilitazioni. Il movimento che si sta sviluppando nel nostro paese ha essenzialmente due caratteristiche: esprime solidarietà nei confronti delle mobilitazioni negli USA e si interroga sulle forme di razzismo che organizzano e attraversano la società italiana. La discriminazione e le diseguaglianze lungo la linea del colore, infatti, non sono affatto confinate nel paese nordamericano. Anche in Italia chi, a vario titolo, è considerato diverso fa quotidianamente esperienza del carattere escludente del nostro ordinamento giuridico e politico.
Il razzismo istituzionale è un problema anche italiano, dunque? È difficile sostenere il contrario. Questa tipologia di razzismo agisce su due livelli differenti. Il primo livello, il più macroscopico, è configurato dalle dichiarazioni esplicitamente discriminatorie pronunciate da esponenti politici e amministratori pubblici, locali e nazionali. Gli ultimi anni sono stati scanditi da interventi, campagne politiche, dichiarazione apertamente ostili nei confronti di chi non è italiano. Il vento fresco delle mobilitazioni può contribuire a innervare le azioni culturali, sociali e politiche di contrasto ai discorsi di odio pronunciati (anche) da esponenti politici e istituzionali.
Il carattere discriminatorio delle nostre istituzioni è riscontrabile anche a un altro livello, meno visibile ma più profondo. L’attuale disciplina dell’acquisizione della cittadinanza è vecchia, identitaria, segnata dal criterio dello ius sanguinis. È una legge pensata ed emanata quando l’Italia si percepiva come paese di emigrazione. Nei tre decenni che ci separano dal 1992, l’anno di approvazione della legge attuale, la composizione dell’Italia è profondamente mutata. Il nostro paese è compiutamente plurale dal punto di vista delle provenienze geografiche, delle espressioni culturali e religiose. Per contro, chi nasce, cresce o vive stabilmente in Italia è molto spesso escluso dall’acquisizione della cittadinanza italiana.
La disciplina sulla cittadinanza è densa di significati simbolici e materiali: non è una legge qualsiasi. È la carta di identità dell’ordinamento giuridico, cartina tornasole di come le istituzioni si rapportano alla società. Gli effetti della legge attuale – gravemente anacronistica rispetto alla composizione dell’Italia odierna – sono rilevantissimi. L’ordinamento pone in condizione subalterna chi, figlio di genitori stranieri, nasce, cresce, vive in Italia. L’esclusione dalla cittadinanza favorisce il proliferare di trattamenti diseguali, discriminazioni diffuse, diseguaglianza economica e sociale.
Con queste lenti non appare affatto un caso che le attiviste e gli attivisti che si mobilitano in Italia sulla scia del black lives matter abbiano individuato proprio nella legge attuale sulla cittadinanza uno degli obiettivi di cambiamento più importanti e urgenti. La configurazione di una nuova legge sulla cittadinanza, significativamente più inclusiva di quella attuale, può configurare un’inversione di tendenza rispetto al clima di razzismo diffuso che attraversa la società.
È chiaro chi possa essere il soggetto del cambiamento, verso nuova legge sulla cittadinanza. Le attiviste e gli attivisti non formalmente italiani possono essere alla guida di una mobilitazione generale che si pone l’obiettivo della trasformazione della normativa attuale. Giovani italiane e italiani e organizzazioni solidali possono far parte di un’alleanza diffusa che supporti la richiesta di una nuova legge, finalmente all’altezza dei desideri e dei bisogni di chi finora è stato escluso.
Il protagonismo delle attiviste e degli attivisti non formalmente italiani non è un auspicio o una faccenda del domani. Questo attivismo è già un elemento caratterizzante della nostra società. È significativo notare, a tal proposito, quanto le piazze di questi giorni siano state potentemente partecipate da giovani donne, soggettività LBTQIA+, attiviste femministe e transfemministe. A sottolineare da un lato la stratificazione delle discriminazioni, dall’altro l’emergente protagonismo di movimenti dal carattere intersezionale. Come organizzazioni solidali abbiamo davanti un preciso compito politico. È indispensabile sostenere le mobilitazioni di chi è formalmente escluso dalla cittadinanza mettendo a disposizione impegno e passione, avendo costantemente presente chi è il protagonista del cambiamento. Consapevoli di quanto sia importante rispettare l’autonomia delle attiviste e degli attivisti, siamo e saremo al fianco di chi si mobilita per una nuova normativa.
Il vento fresco che dagli USA ha raggiunto anche l’Italia ha radicalmente cambiato il contesto in cui agiscono i movimenti per una riforma della cittadinanza. Non si tratta di testimoniare astrattamente che una nuova legge è necessaria. Si tratta, dal nostro punto di vista, di organizzarsi adeguatamente per perseguire, con convinzione e forza, l’obbiettivo. Una nuova legge sulla cittadinanza, significativamente diversa dalla disciplina attuale, non è soltanto necessaria, ma è anche realisticamente ottenibile.
La maggioranza è davanti a un bivio. Può continuare a esprimere generica indignazione contro il razzismo, senza però mettere mano al carattere discriminatorio del nostro ordinamento e senza cambiare la normativa attuale sulla cittadinanza. Sarebbe una scelta politicamente molto significativa: porrebbe il governo in sostanziale continuità con le scelte normative e le maggioranze degli ultimi anni.
Viceversa, la maggioranza può approvare una nuova legge sulla cittadinanza, che sia in linea con la composizione dell’Italia odierna. È necessario che l'iter intrapreso dalla Commissione Affari Costituzionali si concluda presto e che il Parlamento discuta e approvi una proposta di legge avanzata, coraggiosa, che riconosca il diritto alla cittadinanza per chi nasce, cresce, vive in Italia.
La diseguaglianza nei diritti legittima le discriminazioni che segnano il presente di chi è escluso dalla cittadinanza. L’uguaglianza nei diritti può contribuire a configurare inedite alleanze tra vecchi e nuovi cittadini, in vista di una società complessivamente più eguale e libera. Le mobilitazioni che attraversano il mondo sono l’occasione giusta per congedarsi dal razzismo istituzionale che organizza il nostro ordinamento. Il tempo è ora.
Noi di ActionAid chiediamo con forza che venga approvata una legge sulla cittadinanza finalmente giusta, equa, inclusiva.