Come affronterebbe oggi il nostro Paese un sisma simile? Siamo pronti?
6 aprile, di nuovo
6 aprile 2009 – 6 aprile 2023, sono quattordici gli anni trascorsi dal sisma che sconvolse la città de L’Aquila e il territorio circostante.
Da allora lungo la penisola si sono susseguiti altri due sismi distruttivi e più di quattrocento di minore intensità.
Cosa significa questo per l’Italia?
Cosa significa oggi questa ricorrenza per i 22 milioni di persone che nel nostro Paese abitano in territori a rischio sisma? Per rispondere a queste domande, è necessario proiettarsi in uno scenario post disastro.
Purtroppo, non è difficile immaginarsi questo contesto in Italia, perché negli ultimi 50 anni sono stati tanti i terremoti devastanti. Vogliamo ricordarli simbolicamente, come faremmo in un anniversario menzionando il nome di donne, uomini, bambine e bambini che hanno perso la vita a causa loro: Friuli 1976, Irpinia 1980, Marche e Umbria 1997, Sangiuliano 2002, L’Aquila e Abruzzo 2009, Emilia 2012, Centro Italia 2016.
50 anni. Le vite delle persone nei dati del fenomeno
I numeri ci restituiscono una realtà a cui non è possibile rimanere indifferenti.
Solo dal 1976 ad oggi, infatti, sono morte 4.407 persone sotto il crollo della propria casa, dell’edificio dove stavano lavorando, della scuola dove stavano seguendo una lezione.
A San Giuliano di Puglia molti dei bambini che persero la vita a scuola si erano riparati sotto i banchi. Sicuramente lo avevano imparato a fare durante le esercitazioni, ma non fu sufficiente.
Erano nati tutti nel 1996, avevano 6 anni. Una generazione cancellata dal sisma.
Un terremoto provoca devastazione su comunità intere, non solo facendo vittime, ma anche feriti, sfollati, distruggendo case, scuole, chiese, negozi, ospedali, opere d’arte; in poche parole, cancella l’immagine che si ha fino a quel giorno del luogo in cui si abita.
I numeri degli ultimi 50 anni ce lo raccontano: le persone ferite sono state 13.248, quelle sfollate quasi 400 mila; le case distrutte o danneggiate sono state 354.834; i comuni colpiti 1.347 – il 17% dei comuni italiani – di cui quasi 60 rasi completamente al suolo.
Solo nei tre eventi sismici più recenti, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, le scuole distrutte o danneggiate sono state circa 1.200, gli ospedali e le strutture sociosanitarie circa 170.
Danni visibili e invisibili
Dentro questi numeri c’è la vita di centinaia di migliaia di persone. Accanto a questi danni, poi, il terremoto lascia segni meno visibili e per questo, forse, meno riconosciuti e considerati: quelli che restano impressi nella mente di chi rimane.
Un sopravvissuto su 4 – tra almeno 76mila vittime di terremoti in tutto il mondo – è colpito dal , ovvero da difficoltà a gestire le emozioni, problemi di adattamento, ansia, depressione, rabbia, insonnia, di socializzazione, di educazione, formazione e crescita (Istituto Superiore di Sanità). Questo tipo di manifestazioni e disagi impattano maggiormente sui più giovani, in particolare, sulle giovani donne, e sulle persone in una condizione di maggiore vulnerabilità, ai quali si accompagna il vivere una situazione d’incertezza e smarrimento per il futuro.
Poiché, dunque, l’Italia è un paese fragile, esposto a frequenti rischi da disastro e, in particolare, al rischio sismico, il quattordicesimo anniversario del terremoto dell’Aquila e dell’Abruzzo parla a tutte e tutti, a noi, e ci dice che non è stato fatto abbastanza per evitare che lo scenario descritto fin qui si ripeta altrove nuovamente.
Cosa chiediamo?
Fermare questo racconto, evitare le morti, la distruzione di paesi, centri, intere comunità è non solo possibile, ma dovuto, è una questione di diritti.
Per farlo è necessario intervenire con politiche pubbliche solide e durature di prevenzione e messa in sicurezza dei territori italiani a rischio sismico.
È questa la richiesta che oggi, noi di ActionAid insieme a molte altre organizzazioni civiche locali e nazionali, rivolgiamo al Governo: interventi normativi strutturali e duraturi.
Chiediamo inoltre che le norme siano progettate e realizzate coinvolgendo direttamente le comunità, i territori, le persone che quei disastri li hanno subiti o rischiano di subirli in futuro. Senza ascoltare e consultare le persone e le comunità, infatti, qualsiasi politica di riduzione del rischio può ottenere l’effetto contrario, ovvero quello di acuire ulteriormente le disuguaglianze, l’abbandono dei territori, la disgregazione sociale.