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Diritti

Le procedure applicate ai cittadini stranieri che arrivano sulle nostre coste sono molto poco raccontate e contemplano violazioni dei diritti anche eclatanti.
In aggiunta, negli ultimi mesi è stata inaugurata una nuova prassi, la cd. redistribuzione dei migranti tra paesi membri, ambigua e insidiosa dal punto di vista giuridico e peggiorativa delle condizioni di vita per molti cittadini stranieri.
Ne abbiamo parlato con Adelaide Massimi e Annapaola Ammirati, operatrici del progetto In limine di ASGI.

1) Quando è stata inaugurata questa nuova prassi? Quali sono le caratteristiche fondamentali?

La prassi della redistribuzione dei cittadini stranieri sbarcati in Italia (e a Malta) è stata sperimentata per la prima volta nel luglio del 2018. Da allora una serie di sbarchi fortemente mediatizzati sono stati gestiti attraverso tali procedure, primo fra tutti il caso della nave Diciotti e in seguito i soccorsi operati dalle ONG (si vedano i casi della Sea-Watch3).

Alla base di queste procedure vi sono accordi contingenti tra gli Stati membri dell’Unione europea che, a fronte del blocco delle navi soccorritrici in mare, forniscono la disponibilità ad accogliere un certo numero di cittadini stranieri. I principali attori di queste procedure sono, oltre agli Stati membri volontari e alle autorità italiane, la Commissione europea, l’Agenzia europea di supporto per l’asilo (EASO) e Frontex che hanno acquisito un ruolo crescente di coordinamento e gestione delle procedure.

La prima eclatante caratteristica di tali accordi riguarda i numeri: a fronte di una riduzione dei flussi migratori in ingresso via mare superiore all’80%, vengono svolte complesse e lunghe trattative finalizzate alla redistribuzione di poche centinaia di persone.

Le procedure osservate direttamente dall’ASGI sono accomunate da alcuni tratti essenziali: i cittadini stranieri sono stati trattenuti illegalmente per alcuni giorni nel corso delle procedure di identificazione, hanno registrato la richiesta di protezione internazionale e hanno avviato i colloqui con EASO (Ufficio europeo di sostegno per l’asilo) e con le delegazioni degli Stati membri.

Le interviste con le delegazioni hanno riguardato aspetti diversi, dalle ragioni dell’emigrazione dal paese di origine alla vita personale e, in alcuni casi, a questioni relative a una presunta “compatibilità culturale”: la posizione rispetto all’uso del velo, alle mutilazioni o modificazioni genitali femminili, il rapporto con la religione e il lavoro. Al termine delle procedure le persone selezionate hanno ricevuto un provvedimento di trasferimento in base alla cd. “clausola di sovranità” del Regolamento Dublino che consente a uno Stato membro di prendere in carico una richiesta di protezione in deroga ai criteri generali. I richiedenti asilo vengono quindi trasferiti nel paese a cui sono stati assegnati, dove seguono la procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, che può avere esito positivo o negativo.

2) Qual è mediamente il tasso di consapevolezza dei cittadini stranieri rispetto alle procedure a cui sono sottoposti e ai loro diritti? 

Il grado di consapevolezza riguardo l’iter procedurale, i diritti esigibili e il contesto generale è molto basso, sia tra le persone che a tali procedure sono sottoposte, sia tra gli attori che vi sono a vario titolo coinvolti. I cittadini stranieri non ricevono informazioni sufficienti sulla procedura, non hanno accesso ai verbali delle interviste che svolgono e, sull’unico provvedimento che viene loro consegnato, ovvero quello con il quale viene comunicato l’imminente trasferimento a cui devono dare il consenso, non sono indicati gli eventuali mezzi di impugnazione e non sono chiare le conseguenze, ad esempio, del rifiuto di firmare tale consenso. A questo si aggiunge il fatto che nessuna informazione viene fornita ai cittadini stranieri sull’effettivo funzionamento del sistema di accoglienza nello stato di destinazione, le procedure per il riconoscimento della protezione, il tasso di riconoscimento della protezione nei diversi paesi.

3) Perché da un punto di vista giuridico è una procedura molto insidiosa?

La questione più rilevante è l’assenza di una base giuridica per l’attivazione di tali strumenti che sono stati sperimentati in corso d’opera. Questo comporta, evidentemente, l’assenza di obblighi per gli Stati membri che prendono parte a queste iniziative e, di conseguenza, l’assenza di garanzie per i cittadini stranieri in tali procedure coinvolti.

4) Ci potete fare un esempio di violazioni dei diritti e difficoltà esistenziali che hanno caratterizzato l’esperienza di uno dei cittadini stranieri sottoposti a questa procedura?

Vi è una violazione macroscopica del diritto all’informazione e del diritto alla difesa: se una persona non viene messa a conoscenza dei suoi diritti e se, ancor più grave, non è chiaro quali siano i diritti esigibili, il diritto alla difesa subisce un grave danno. Inoltre queste procedure sono caratterizzate da una carenza sostanziale di comunicazioni scritte: le decisioni non vengono notificate e non è chiaro come e di fronte a quale organo potrebbero eventualmente essere impugnate. Non da ultimo bisogna sottolineare che nel corso delle procedure i cittadini stranieri sono stati trattenuti illegalmente per alcuni giorni e non hanno avuto un accesso adeguato alle cure mediche, all’assistenza sociale e a tutti i diritti che sono connessi alla posizione di richiedente asilo.

5) Quali sono i vostri strumenti di azione per tutelare le persone all’interno di questa nuova procedura?

Gli strumenti ad oggi messi in campo sono fondamentalmente quelli dell’analisi: si tratta di procedure nuove che vanno innanzitutto studiate e comprese. Innanzitutto gli avvocati nominati dai richiedenti asilo stanno raccogliendo, tramite istanze di accesso agli atti, le informazioni che riguardano i loro assistiti che a questi ultimi non vengono notificati. Quello che stiamo osservando è però che purtroppo, in molte occasioni, non vi sono provvedimenti scritti: si tratta di un livello di informalità allarmante che rende estremamente complessa l’esigibilità dei diritti. Oggi, in rete con organizzazioni europee e di altri Stati, stiamo cercando di garantire assistenza legale ai cittadini stranieri anche dopo il trasferimento.

PHOTOCREDIT: CIRO DE LUCA-REUTERS