Impresa italiana e land grabbing in Madagascar
Organizzazioni della società civile malgasce e italiane presentano una istanza all’OCSE contro le attività in Madagascar di Tozzi Green
a cura di Cristiano Maugeri
L'azienda italiana Tozzi Green coltiva 11.000 ettari di terreno nella regione di Ihorombe del Madagascar, nella parte centro-meridionale dell'isola. Da oltre 10 anni produce monocolture di mais per gli allevamenti e trasforma le piantagioni di geranio in oli essenziali venduti per l'esportazione. Le sue attività agroindustriali sono fortemente contestate dalle comunità locali: legittimità, legalità e gli effetti negativi delle attività sulla popolazione e sull'ambiente sono al centro delle proteste.
Le comunità malgasce e ActionAid Italia hanno deciso di fare un passo avanti presentando, il 13 ottobre scorso, un’istanza specifica al Punto di contatto italiano dell’Ocse, paese in cui si trova la sede principale dell’azienda.
Il Punto di contatto ha il compito di mediare tra l’azienda italiana e le organizzazioni che hanno presentato l’istanza per trovare un punto d’accordo in modo da salvaguardare i diritti umani e l’ambiente, secondo quanto stabilito dalle Linee guida volontarie dell’Ocse. Le linee guida, è importante ricordarlo, sono state riviste ed aggiornate di recente per aggiungere anche i dovuti riferimenti alle priorità sociali, ambientali e tecnologiche che le società e le imprese devono affrontare con urgenza.
Anche il governo belga è indirettamente interessato da questa istanza. Nel 2020, Tozzi Green ha ricevuto un prestito di 3,5 milioni di euro dal governo belga attraverso la sua banca d'investimento, BIO, che dovrebbe sostenere lo sviluppo locale, la sicurezza alimentare e il rispetto dei diritti umani e ambientali.
La presentazione dell’istanza avviene in un momento cruciale anche per la direttiva in materia di diritti umani e ambiente, votata il 1 giugno di quest’anno al parlamento europeo ed ora in fase di negoziazione (si spera) conclusiva.
Si tratta di una direttiva che, se approvata, richiederebbe alle grandi aziende (per ora solo a loro) di dotarsi di strumenti di rilevazione dei rischi di diritti umani ed ambiente (la c.d. due diligence) lungo l’intera filiera. La campagna italiana Impresa 2030, di cui ActionAid è fondatore, e la omologa europea Justice is everybody’s business, si battono da tempo per questa direttiva.
L’istanza rappresenta, a questo proposito, un caso emblematico. Sebbene l’impresa italiana, per dimensione e giro di affari, non rientrerebbe tra aziende obbligate dalla direttiva a dotarsi di una due diligence, casi come questo fanno meglio comprendere l’importanza di questo strumento e la necessità di una norma giuridica vincolante che intervenga a sostituire i molteplici impegni di natura non vincolante spesso poco efficaci.
Da una parte la rilevazione del rischio favorirebbe un’azione tempestiva ed efficace attraverso il pieno coinvolgimento di tutti i portatori di interessi. Includendo, tra questi, soprattutto, le comunità locali. Favorendo così, inoltre, l’accesso alla giustizia.
Dall’altra, grazie all’inclusione del settore finanziario, si potrebbe beneficiare di una due diligence anche da parte dell’istituzione che eroga il finanziamento.
Purtroppo, le cose non stanno esattamente così. Dalla negoziazione della direttiva proprio l’accesso alla giustizia e l’inclusione del settore finanziario sono a rischio.
La presentazione dell’istanza, oltre che una maniera per dare voce a comunità inascoltate, è un’occasione in più per chiedere al nostro governo di supportare durante il trilogo il ripristino della formula dell’inversione dell’onere della prova, in assenza del quale risulterà impossibile ad una comunità locale aprire un procedimento legale contro una grande impresa.
Chiediamo, inoltre, che le istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, i gestori patrimoniali) non vengano esentate dagli obblighi di due diligence che si applicano alle altre società. Queste sono fondamentali per dare forma a sistemi economici sostenibili, esercitando un'influenza su un'ampia gamma di altri settori e attività commerciali. Potrebbero, così facendo, sostenere la protezione dei diritti umani e dell'ambiente a livello globale.