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30 Luglio 2024
Le prime dichiarazioni riguardanti il Piano Mattei risalgono all’ottobre del 2023. Poche settimane dopo, tramite decreto, si istituisce la Cabina di Regia che include, oltre ai ministeri competenti, anche imprese e alcune reti della società civile. A fine gennaio 2024 il Governo organizza una conferenza Italia – Africa per la presentazione del Piano. Seguono poi due convocazioni della Cabina di Regia (a marzo ed aprile) ed infine, tra fine aprile e inizio maggio, una missione di sistema della Cooperazione Italiana in Africa Occidentale.
Peccato che la prima vera bozza del Piano sia stata pubblicata tramite decreto della Presidente del Consiglio dei ministri solo il 17 luglio. Di cosa abbiamo parlato fin qui?
Si tratta di una versione lunga di alcuni documenti disseminati informalmente. Non vi è stata, difatti, alcuna comunicazione esterna né tantomeno una comunicazione di alcun tipo alle Camere.
Un documento discorsivo e verboso è quello diffuso, che però fatica ad andare al sodo e spiegare in quale maniera si intende andare oltre la retorica del voler garantire: “[…] alle giovani generazioni africane un diritto finora negato, ovvero il diritto a non dover emigrare e a poter rimanere nella propria Patria per contribuire al suo futuro”.
Sei direttrici di intervento (istruzione/formazione, sanità, acqua, agricoltura, energia, infrastrutture fisiche e digitali) articolate a partire da 9 progetti pilota, nella quasi totalità già esistenti e in assenza di risorse proprie. Al momento non un euro è stato specificamente destinato al Piano ma solo risorse spostate da una parte all’altra.
Il Piano, per come è articolato, somiglia più ad una dichiarazione di intenti che ad uno strumento che dovrebbe rappresentare il riferimento di una parte della politica estera del Governo dei prossimi anni.
Innanzitutto, manca concretezza. Non si percepisce una struttura articolata e dettagliata di attività e obiettivi. Soprattutto si nota l’assenza di indicatori: un piano strategico di questa portata non può limitarsi a dire che l’intenzione è quella di generare “[…] un significativo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale”.
La mancanza di riferimenti specifici di misurazione dell'impatto delle azioni contenute nel Piano determina una vaghezza del tutto inadeguata alle ambizioni dello stesso.
La mancanza di concretezza è ancora più evidente di fronte all’assenza di risorse proprie. Il Piano può contare su una dotazione di oltre 5 miliardi di euro su quattro anni. Peccato si tratti di risorse già assegnate: il Fondo Italiano per il Clima, da una parte, eredità del Governo Draghi e che andrebbe usato per finalità climatiche, e le risorse già assegnate all’Africa dalla Cooperazione internazionale dell’Italia, dall’altra.
L’assenza di concretezza si affianca ad una scarsa trasparenza.
Non sappiamo in che maniera siano strati selezionati i partecipanti alla Cabina di Regia. Quello che sappiamo è che l’appello che ottanta organizzazioni africane hanno rivolto al Governo a gennaio per essere ascoltate è caduto nel vuoto.
Non è chiaro secondo quali criteri vengano erogati i fondi. Sappiamo che sono già state finanziate diverse iniziative attraverso il ricorso al Fondo Italiano per il Clima, ma le modalità di individuazione delle iniziative finanziabili e/o i criteri di ammissibilità e rendicontabilità non sono stati resi pubblici.
È probabile, o almeno ce lo auguriamo, che una parte delle risposte alle domande che ci poniamo sia presente nella relazione al Parlamento che andrebbe presentata entro il 30 di giugno. Il Governo è già in ritardo di un mese quando scriviamo questa nota.
Astrattezza e mancanza di trasparenza sono, fino a qui, le due caratteristiche principali del Piano Mattei.
Abbiamo rimarcato questi elementi durante il ciclo di audizioni informali che la Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera ha promosso nei giorni scorsi chiedendo, inoltre, la pubblicazione urgente della relazione annuale.
L’astrattezza del Piano è rischiosa perché lascia aperta la porta a modifiche ed ambiguità, come ad esempio l’idea di destinare le risorse del Fondo Clima per investimenti estrattivi in Paesi dove intorno all’estrazione di gas sono emerse conflittualità crescenti, come nel caso del Mozambico.
È altresì rischiosa perché rende impossibile la trasparenza e l’esercizio del monitoraggio dell’uso della cosa pubblica da parte della società civile e non solo.
Chiediamo dunque chiarezza e trasparenza come precondizioni essenziali. Ci associamo poi alle richieste fatte da altre organizzazioni intervenute, in primis, il rispetto delle priorità climatiche del Fondo Clima.