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8 Ottobre 2021
Di Cristiano Maugeri e Fabrizio Coresi.
È di pochi giorni fa la notizia della condanna a Mimmo Lucano a 13 anni di reclusione. Questa notizia richiede tuttavia di guardare al complesso del sistema di accoglienza ed alla scarsa trasparenza che lo circonda.
ActionAid e openpolis monitorano ormai da quattro anni il sistema di accoglienza dei migranti. L’accoglienza straordinaria e governativa, luoghi di fatto chiusi alla società civile, sono oggetto del percorso che ha preso il nome di “Centri d’Italia” e che ha all’attivo numerosi rapporti di analisi.
È il sistema d’accoglienza ad essere in emergenza. Non c’è stata e non c’è una crisi e un’emergenza migrazione. Quello che è in emergenza è la politica, ciò che definisce i contorni degli status giuridici delle persone nonché l’humus, la cultura politica in cui si innestano sentenze come quella contro Mimmo Lucano.
La necessità di un lavoro come Centri d’Italia nasce da un vuoto di informazione e di accountability. È anche la scarsa trasparenza a dar adito alle leggende metropolitane (come il vivere in hotel o ricevere 35€ al giorno) che circondano le persone migranti ed alimentano sentimenti xenofobi. È necessario – più̀ che di business dell’accoglienza – iniziare a parlare di business sulle spalle dell’accoglienza.
Attualmente, l’unico strumento di trasparenza a disposizione dei decisori politici e della società civile è rappresentato dalla relazione annuale del Ministero degli Interni al Parlamento. La relazione, per obbligo di legge, dovrebbe vedere la luce entro il 30 di giugno di ogni anno. Impegno, quello della pubblicazione tempestiva, che viene regolarmente disatteso.
Nei quattro anni di vita del percorso Centri d’Italia abbiamo inizialmente presentato richieste di accesso agli atti (FOIA) a tutte le 106 prefetture sull’intero territorio nazionale per poi rivolgerci, in un secondo momento e a fronte della scoperta dell’esistenza di un sistema centralizzato denominato SGA (Sistema per la Gestione dell’Accoglienza), al solo Ministero degli Interni. Le richieste allo SGA ci hanno portato di fronte al TAR del Lazio dove, nella primavera 2020 ci è stato riconosciuto il diritto ad ottenere informazioni dettagliate riguardanti, ad esempio, capienza, presenze, tipologie di ospiti, natura e denominazione dei soggetti gestori nonché importi dei contratti di assegnazione. Il TAR e, di recente, il Consiglio di Stato, ci hanno negato l’accesso alle P.IVA e ai Codici Fiscali, dati che ci avrebbero permesso di ottenere una fotografia più dettagliata dell’accoglienza a livello territoriale e di identificare in maniera univoca i soggetti gestori.
Ad oggi, pur mancando ancora una serie di elementi utili per arrivare a delle valutazioni qualitative, siamo capaci di ottenere una fotografia del sistema di accoglienza piuttosto articolata, come quella pubblicata nell’ultimo report della serie centri d’Italia “Una mappa dell’accoglienza”. Rimane però una fotografia parziale. In Cas e centri governativi difatti, non è ammesso controllo da parte di enti esterni se non previa autorizzazione.
Ciononostante, il Viminale continua a negarci informazioni essenziali sulle attività di monitoraggio della gestione dei centri di accoglienza. Secondo il Ministero, la diffusione di queste informazioni lederebbe "l'interesse pubblico alla riservatezza ed al buon esito delle ispezioni future".
Il Viminale dovrebbe, anche con il fine di disinnescare pericolose speculazioni politiche, impegnarsi ad una pubblicazione pro-attiva dei dati, ovverosia la fornitura periodica di dati disaggregati e navigabili o quantomeno aggiornare il registro degli accessi a disposizione presso il Dipartimento della Funzione pubblica. Il Parlamento dovrebbe, dall’altro lato, esigere la pubblicazione tempestiva della relazione annuale. Viene da chiedersi, a questo proposito, sulla base di quali informazioni il Parlamento voti gli stanziamenti destinati all’accoglienza in legge di bilancio o proponga interventi riformatori in ambito migratorio.
In questi quattro anni abbiamo rilevato numerose criticità, nessuna delle quali ci risulta abbia ricevuto le medesime attenzioni della magistratura, né tantomeno sia stata oggetto di riflessioni politiche.
Pur precisando che solo la lettura contestuale del dato permette un’interpretazione delle variabili locali (si veda, fra gli altri, l’intervista a Cristina Molfetta nel report “Centri d’Italia 2018”), in questi quattro anni di monitoraggio sono emerse alcune preoccupanti tendenze.
Fra tutte: l’incentivo del decreto sicurezza e del capitolato associato a grandi centri e a grandi gestori; il consolidarsi del ruolo nel “mercato dell’accoglienza” di grandi capitali, di società con scopo di lucro anche provenienti dall’estero; la tendenza monopolistica dell’accoglienza a Roma , in cui abbiamo evidenziato il rischio di cattura dell’amministrazione da parte di Medihospes, un ente gestore interessato già dalle vicende di Mafia Capitale, che gestiva nel 2019 più del 60% dell’accoglienza straordinaria e quasi il 60% (dati al febbraio 2020) di quella pubblica afferente alla rete oggi chiamata Sai.
Nel corso di 4 anni di monitoraggio l’assenza di dati, unita alla totale mancanza di interlocuzione con analisti e addetti ai lavori nel disegno delle politiche sono purtroppo una costante. La stessa che si riscontra nella criminalizzazione della solidarietà e dell’aiuto, e della vera accoglienza. È questo il filo rosso che unisce tutti gli ultimi governi, senza distinzione di colore politico: dal muro di norme della legge Minniti-Orlando alla riforma sancita dal Decreto immigrazione di dicembre scorso.
Gli aspetti problematici della gestione emergenziale dell’accoglienza sono parte di critiche mosse non solo da addetti ai lavori, ma anche da organi istituzionali di garanzia come la Commissione Parlamentare di Inchiesta sul sistema di accoglienza le cui conclusioni (peraltro parziali rispetto al mandato iniziale) sono di fatto rimaste lettera morta (al pari delle considerazioni contenute nelle
relazioni annuali sul sistema di accoglienza). Al contrario, come mostra l’approvazione del decreto sicurezza nonostante nella relazione annuale dell’agosto 2018 si evidenziassero criticità di centri straordinari e grandi concentrazioni di persone, si è continuato nel solco della straordinarietà e dell’emergenza (vera, creata o presunta) e rafforzata la contrazione dei diritti dei migranti.
Questa contraddizione tra processi normativi e politici è continuata anche nella gestione Lamorgese, che non fa che confermare un approccio securitario ed emergenziale. Nonostante miglioramenti evidenti con il passaggio da Siproimi a sistema Sai non ci sono elementi che orientino le scelte in maniera decisa verso una valorizzazione dell’accoglienza diffusa. Quello dello scorso dicembre è un decreto che ha avuto il merito quanto meno di rimettere al centro il sistema pubblico e diffuso di accoglienza, ma che presenta ancora criticità, a partire dal doppio livello di servizi, diversificati a seconda dello status della persona ospitata.
Appare chiaro quindi che neanche nel caso della riforma varata tra ottobre e dicembre 2020 le politiche siano informate da ricerche e analisi e un dibattito fondato sui dati.
In un contesto come quello delineato colpisce che si prenda di mira un'esperienza innovativa come quella di Riace, a fronte di condanne per il processo alla cd. Mafia Capitale tutte inferiori a quella inflitta all'ex sindaco. La condanna di Mimmo Lucano a 13 anni di reclusione è una notizia che ribalta la realtà. Vogliamo affermare con forza le ragioni della solidarietà, perseguitata da nord a sud, che si tratti di forme di accoglienza innovativa ed efficaci, come nel caso di Lucano, o di aiuti portati a persone in difficoltà nei luoghi di confine o in mare.
Non possiamo che continuare a lavorare per superare l'approccio emergenziale, mettere da parte le strumentalizzazioni, orientando le scelte in ambito migratorio per fare davvero dell’accoglienza pubblica e diffusa il sistema ordinario e principale, che è per le persone ospitate un diritto e per i territori ospitanti un’opportunità. Un’opportunità che (Mimmo Lucano e) Riace ha rappresentato in maniera emblematica, garantendo l’esercizio di diritti fondamentali alle persone che hanno avuto la fortuna di viverla e farla vivere.