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Il decreto Cutro e il commissariamento dei centri di accoglienza

A cura di ActionAid e Openpolis – Progetto Centri d’Italia.


Una delle novità contenute nel cosiddetto “decreto Cutro” riguarda il commissariamento dei centri di accoglienza da parte delle prefetture, qualora le ispezioni rilevassero gravi inadempienze nella gestione delle strutture. Ma non sono del tutto chiare le motivazioni che hanno portato a questa norma. Persistono, inoltre, ancora forti lacune sulle informazioni circa le ispezioni nei centri.

La scorsa settimana il parlamento ha convertito in legge, con diverse modificazioni, il decreto 20/2023, che ha comunemente preso il nome della strage che lo scorso febbraio causò quasi cento morti a largo delle coste calabresi.

Sono molti gli ambiti toccati dal decreto: da misure relative alla programmazione dei flussi di ingresso legale dei migranti, alla stretta sulla protezione speciale passando per importanti modifiche alle norme sui centri di accoglienza. Modifiche che reintroducono molti degli elementi che già si trovavano nxel decreto sicurezza, ma che erano poi stati almeno in parte successivamente superati e le cui conseguenze negative abbiamo analizzato nei nostri rapporti.

Ciascuno di questi temi merita un approfondimento e una riflessione a sé. Per il momento quindi ci limiteremo a un aspetto specifico del decreto. Ovvero la possibilità che i centri di accoglienza vengano commissariati in seguito a ispezioni che abbiano fatto emergere “gravi inadempimenti”.

Cosa si sa delle ispezioni

Dei controlli che il ministero dell’interno è tenuto per legge a svolgere nei centri di accoglienza ci siamo recentemente occupati in Centri d’Italia. Il vuoto dell’accoglienza.

  •  Il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno svolge, anche tramite le prefetture, attività di controllo e monitoraggio della gestione delle strutture di accoglienza. D.Lgs 142/2015, art. 20

Alcune informazioni sulle ispezioni effettuate dal ministero nel 2019 erano state a suo tempo diffuse nella relazione annuale del ministero dell’interno sul sistema di accoglienza. Si trattava tuttavia di informazioni aggregate, non sufficienti a svolgere analisi indipendenti e complete.

Per questo abbiamo inoltrato una richiesta di accesso agli atti al dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione. Dopo un iniziale diniego da parte del ministero è iniziato un percorso fatto di richieste di riesame e ricorsi di fronte alla giustizia amministrativa. Un percorso che, dopo quasi 2 anni, ha visto il consiglio di stato darci ragione, ordinando al ministero il rilascio dei dati sulle ispezioni dei centri di accoglienza.

I dati ottenuti ci hanno permesso di analizzare sia la situazione generale sia il caso specifico delle ispezioni nel territorio di Roma nel 2019.

Dall’analisi generale è emerso come nella maggior parte dei casi i controlli abbiano effettivamente portato a delle contestazioni. Queste ovviamente possono essere di diversa natura e gravità e solo in alcuni casi hanno comportato ammende.

Dei 2.223 centri ispezionati nel corso dell’anno, 1.203 (circa il 54%) non hanno subito alcuna contestazione. Tuttavia è interessante notare come dei rimanenti solo una parte ha subito un’unica contestazione (398), mentre 622 hanno subito due o più contestazioni: il 28% delle strutture controllate.

Il numero e gli esiti dei controlli variano molto da provincia a provincia. Nei territori di 13 prefetture, tra cui due (Trapani e Agrigento) vicine a luoghi di sbarco di migranti, non si registrano ispezioni nel periodo considerato.

In altri invece i controlli sono stati molti. Come per esempio nel caso di Salerno dove nel corso del 2019 sono state effettuate ben 492 ispezioni, senza però che emergesse neanche una contestazione. Molto alto anche il numero di controlli ordinati nella provincia di Pesaro-Urbino (347), dove però sono state mosse 129 contestazioni.

La provincia con il maggior numero di contestazioni invece è Caserta: 238 in 116 controlli all’interno delle 91 strutture visitate.

Le contestazioni possono avere due tipi di ricadute economiche sugli enti gestori dei centri: sanzioni pecuniarie oppure pagamenti non effettuati da parte delle prefetture, per effetto delle contestazioni stesse. La somma di queste due categorie, nel 2019, ammontava a quasi 500mila euro, di cui 283mila per penali comminate in seguito ai controlli e 209mila per pagamenti non effettuati per effetto delle contestazioni.

La situazione insomma appare piuttosto varia, oltre che disomogenea a seconda della prefettura. In diversi casi le contestazioni si sono risolte in modo semplice e a un secondo controllo non sono emerse più irregolarità. In altre situazioni invece le irregolarità sono rimaste e talvolta si è arrivati a un qualche tipo di sanzione nei confronti dei gestori.

Ispezioni e commissariamenti: cosa prevede il decreto

A questo il “decreto Cutro” ha aggiunto la possibilità che, in caso di “gravi inadempimenti”, si possa arrivare a un commissariamento della gestione dei centri. La ratio dovrebbe essere quella di dare alla prefettura la possibilità di estromettere un gestore inadempiente senza al contempo chiudere un servizio di pubblica utilità.

Nell’ordinamento commissariamenti di questo tipo sono già previsti dal D.Lgs 90/2014 (art. 32) a cui il decreto fa esplicito riferimento (articolo 6). In quei casi però i commissariamenti avvengono per ragioni molto gravi legate a fenomeni di corruzione. Inoltre nel citato decreto sono precisamente elencate le ipotesi che possono dare inizio a un commissariamento.

La semplice formula “gravi inadempimenti” non sembra invece sufficientemente chiara a delimitare il perimetro di un provvedimento estremamente severo. Questo peraltro senza contare che, come abbiamo visto, le prassi seguite dalle prefetture nella gestione delle ispezioni sono spesso molto diverse. È lecito attendersi quindi che possa variare anche l’interpretazione di cosa si debba intendere per “gravi inadempimenti”.

Il monitoraggio della qualità del servizio è fondamentale in un settore come quello dell’accoglienza, coincidendo con l’esercizio di un diritto dei migranti. Allo stesso tempo, però, a meno che il disservizio non sia per inadempienza rispetto al contratto o causato da una situazione di malaffare, non è chiaro perché dei funzionari prefettizi senza esperienza di gestione di servizi sociali dovrebbero meglio riuscire al ripristino di una corretta gestione. E questo a maggior ragione visto che i commissari potranno essere chiamati a rispondere della loro gestione solo nei casi di dolo o colpa grave (in virtù del richiamato Dl 90/2014, art. 32 comma 4).

Ma se anche queste perplessità risultassero eccessive e fosse individuato dalla Prefettura un commissario che dimostri adeguatezza al ruolo, resta da capire perché la norma preveda il ricorso all’affidamento diretto per assegnare di nuovo il contratto.

  • Contestualmente all’adozione della misura di cui al comma 1, il prefetto avvia le procedure er l’affidamente diretto di un nuovo appalto D.Lgs 20/2023, art. 6 c.3

È utile ricordare come il prefetto possa già ricorrere agli affidamenti diretti facendo leva su varie norme. Non è chiaro dunque quale sia la necessità di obbligare il prefetto ad agire in questo modo, quando invece potrebbe avvalersi della gestione commissariale proprio per avere il tempo di assegnare il bando con una procedura a evidenza pubblica. E questo nonostante sia proprio la trasparenza e la pubblicità delle procedure la miglior garanzia per l’assegnazione di un servizio pubblico.

L’importanza del monitoraggio

Resta il fatto che queste norme sono ormai parte dell’ordinamento e da ora il commissariamento sarà una possibilità a disposizione dei prefetti. Per verificare se questi e altri elementi si riveleranno o meno dei problemi effettivi sarà ancora più importante una concreta azione di monitoraggio, che dovrebbe innanzitutto portare avanti la pubblica amministrazione, in modo da migliorare la propria azione attraverso l’analisi delle politiche in corso.

Tuttavia, se attività di questo tipo fossero state effettivamente svolte, sarebbero poi state riportate nella relazione annuale del ministero dell’interno al parlamento sulla gestione del sistema di accoglienza nel 2021. Invece qui si trova solo un breve accenno alle ispezioni. Un passo indietro notevole rispetto alla relazione sul 2019, che dedicava diverse pagine a questo tema.

D’altronde non è un caso se anche nelle nostre analisi i dati si fermano al 2019. Nonostante la vittoria al Consiglio di stato, infatti, non siamo riusciti a ottenere informazioni successive a questa data che avessero uno standard minimo di qualità e completezza.

Prima il ministero si è opposto alla nostra richiesta e in seguito ci ha fornito una serie di documenti prodotti da prefetture diverse, con formati e perimetri temporali differenti. Senza contare che mancavano del tutto informazioni su un numero considerevole di prefetture. Malgrado tutto, però, il ministero ha esplicitato chiaramente che le informazioni rilasciate fossero, almeno a livello di dettaglio, le sole di cui era in possesso.

Al momento quindi sembra che si sia avviata una severa politica di commissariamenti basati sulle ispezioni nei centri. Questo però senza che sulle ispezioni esista una regia e un monitoraggio organico e strutturale a livello ministeriale.

Ancora una volta si procede con cambiamenti continui della normativa, senza alcuna programmazione e senza una valutazione delle politiche e delle procedure precedentemente in vigore.

Photocredit: casilli/reuter

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