Si moltiplicano gli appelli per salvare la direttiva, eppure il Governo italiano si accoda a una minoranza tedesca
Il susseguirsi degli appelli
Da quando il processo si è interrotto a causa del partito di minoranza della coalizione di governo tedesca, FDP, e dell’inaspettato cambio di posizione dell’Italia, continuano a susseguirsi gli appelli in sostegno della direttiva europea CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), che ha l'obiettivo di chiedere alle imprese di gestire i rischi legati al rispetto dei diritti umani e agli impatti ambientali.
La direttiva, è bene ricordarlo, si rivolge solo alle grandi imprese e potrebbe contribuire a prevenire abusi di ogni genere lungo le catene produttive, dallo sfruttamento del lavoro infantile fino ai rischi ambientali, come la deforestazione illegale o i danni ambientali provocati, ad esempio, dai grandi sversamenti di petrolio come quello avvenuto un anno fa sulle coste del Perù. Rappresenta altresì uno strumento di garanzia per le imprese europee di fronte al rischio di competizione illegale, (il c.d. dumping sociale), in quanto spingerebbe i fornitori extra-UE a adattarsi agli standard comunitari.
Il supporto alla direttiva viene da ogni parte. Tra i sostenitori troviamo centinaia di ong, agenzie delle Nazioni Unite, inclusi i relatori speciali per i diritti umani e per l’ambiente ed il Global Compact Network Italia, dalla confederazione europea dei sindacati (ETUC), da 230 vescovi e soprattutto da moltissime imprese. Nel solo mese di febbraio, sono innumerevoli le dichiarazioni pubbliche provenienti dal mondo delle imprese. Una delle ultime adesioni datata 19 febbraio viene dall’italiana Ferrero che con la multinazionale Mondelēz e Mars hanno scritto al governo italiano evidenziando come la direttiva approvata in via provvisoria rappresenti una legislazione pragmatica, coerente ed uniforme a livello UE.
Ma allora perché il processo si è fermato?
Un passo indietro
A febbraio 2022, la Commissione Europea ha presentato una proposta di direttiva finalizzata a stabilire regole precise per le imprese multinazionali, affinché queste si assumano la responsabilità di verificare potenziali rischi di violazioni di diritti umani ed ambientali lungo tutta la filiera.
Una legge di questo tipo non è fantascienza. Al contrario, è già in vigore in Francia ed in Germania e molti altri paesi hanno una bozza: Austria, Olanda, Finlandia, Spagna, Belgio, Lussemburgo. In questi paesi la discussione si è fermata in attesa del compimento del percorso europeo e, ove questo si arrestasse, riprenderebbero la marcia dando vita ad una frammentazione normativa, vero incubo delle imprese esportatrici.
In questi due anni si è compiuto gran parte del cammino legislativo europeo, fino ad arrivare all’accordo politico raggiunto il 14 dicembre 2023. In ogni passaggio diversi punti della proposta della Commissione sono stati negoziati e, molto spesso, ridimensionati fino a perdere l’ultimo significativo pezzo proprio durante l’accordo politico di dicembre. In quella sede, infatti, su pressione diretta del Presidente francese Macron, il settore finanziario, nonostante sia responsabile per il 75% delle emissioni, è stato escluso dall’ambito di applicazione della direttiva.
A questo punto mancherebbe il voto del Consiglio e del parlamento per sugellare l’accordo.
Fino a qui tutto bene
"Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio", recita un celebre film. Pochi giorni prima del voto previsto per il 9 febbraio, infatti, il partito liberale tedesco, FDP, il più piccolo della coalizione di governo e con un gradimento che viaggia intorno al 4%, ha annunciato la sua opposizione alla direttiva, tenendo in ostaggio l’intera coalizione di governo.
Si tratta, purtroppo, di una pratica consolidata. Sarebbe la quattordicesima volta che l’FDP agisce in questo modo, riuscendo a riaprire la negoziazione o addirittura bloccando un processo legislativo della UE, contraddicendo quanto già negoziato ed approvato dal governo al quale appartiene e, in ultimo, mettendo a rischio la credibilità della Germania in Europa.
A peggiorare ulteriormente le cose (…il problema non è la caduta…) interviene il governo italiano che fino a qui aveva mantenuto un basso profilo seguendo Francia e Germania. Difficile comprenderne le ragioni, considerato che il nostro tessuto produttivo è fatto prevalentemente da piccole e medie imprese, non incluse nell’ambito di applicazione della direttiva e che dunque beneficerebbero dall’approvazione di quest’ultima.
Un susseguirsi di informazioni approssimative o errate
Quando si è capito che il fronte comune che avrebbe portato all’approvazione si stava incrinando, quella parte del mondo produttivo/industriale italiano ed europeo che pensa che gli aspetti climatici e dei diritti possano essere messi in secondo piano di fronte al profitto del qui e subito, quella parte di mondo – dicevamo - si è scatenata.
Informazioni fuorvianti messe in circolo con il solo scopo di creare confusione. Informazioni che, in parte, i membri della campagna Impresa 2030, di cui ActionAid Italia è promotore, hanno smontato pezzo per pezzo.
L’atterraggio, appunto
Per quale motivo un pezzo minoritario della coalizione di governo tedesca (questo è bene precisarlo, non si tratta del governo, né tantomeno del suo cancelliere, che invece sono d’accordo, ma di una minoranza) si oppone ad un testo già approvato e sostenuto anche da numerose aziende tedesche? E per quale motivo l’Italia, a poche ore dal voto ha deciso di cambiare opinione?
Arriviamo qui all’ultimo, speriamo non definitivo, passaggio, quello che la Vice Presidente del Parlamento Europeo, Heidi Hautala, ha definito: uno spudorato mercanteggiare (What shameless horsetrading).
Di cosa parla Hautala? Sembra che la direttiva CSDDD sia stata messa sul piatto della bilancia di un’altra direttiva, quella sul packaging. A quanto pare, il ministro tedesco delle Finanze, Christian Lindner (FDP), avrebbe promesso al governo italiano di aiutarlo a bloccare quella sul packaging in cambio dell'aiuto dell'Italia alla Germania per la creazione di una minoranza di blocco per la direttiva sulla due diligence di sostenibilità delle imprese (CSDDD).Una modalità di negoziazione inaccettabile.
Quale soluzione?
La proposta di direttiva è frutto di una consultazione pubblica alla quale hanno partecipato oltre 500.000 persone. Si tratta di una legge fortemente voluta da cittadini e cittadine europee, come mostrano anche dei sondaggi realizzati e le oltre 100.000 firme raccolte nel corso del processo legislativo.
L’unica via di uscita plausibile è quella di tornare all’accordo politico trovato a dicembre. Per questa ragione chiediamo al Governo di mantenere l’impegno accordato in quella sede.
Sollecitiamo, inoltre, alle aziende italiane che credono nell’importanza della sostenibilità sociale ed ambientale, di prendere una posizione pubblica affinché la direttiva concluda il suo corso europeo.