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ActionAid

12 Giugno 2024

Crisi climatica: quando cominciamo a fare sul serio?

L’Italia di oggi contribuisce alle cause invece che alle soluzioni


La crisi climatica è qui  

Nel 2023, per la prima volta, il riscaldamento globale ha superato 1,5°C in un intero anno. Questo a dimostrazione di quanto gli effetti della crisi climatica siano ormai nel quotidiano. Eppure, la spesa per il petrolio ed il gas, responsabile per circa 3/4 delle attuali emissioni di gas serra, rimane ancora troppo alta.  

Nonostante pare che nel 2024 gli investimenti in energia pulita saranno probabilmente il doppio di quelli in combustibili fossili, si continuano a destinare, tra investimenti e sussidi, più risorse alle cause della crisi climatica che alle soluzioni. La responsabilità delle banche private, incluso alcune italiane, è al centro della campagna internazionale di ActionAid,  #fundourfuture. A questa analisi abbiamo deciso di aggiungere un altro tassello, ovverosia quello delle banche pubbliche, a partire dalla nostra Cassa Depositi e Presiti (CDP). Questo ci permetterà di comprendere con maggiore dettaglio qual è il contributo che l’Italia sta dando, tramite la sua banca pubblica, alla transizione energetica globale e dunque alla lotta al cambiamento climatico.  

Cassa Depositi e Prestiti investe ancora troppo nel fossile 

L’analisi che noi di ActionAid abbiamo commissionato, tuttavia, non restituisce dei buoni risultati. Il portafoglio energetico internazionale di CDP è considerato non allineato all’Accordo di Parigi, il trattato internazionale sul clima stipulato nel 2015.  

Questo principalmente per due ragioni. La prima, la più importante, è che nonostante CDP si sia dotata negli anni di molti strumenti volti alla sostenibilità, insistenti fino a pochi anni fa, in nessuna policy interna è previsto un chiaro e definitivo percorso di interruzione degli investimenti alle fonti fossili. I documenti elaborati sono spesso pieni di scappatoie che permettono di continuare ad investire, in particolare, nel gas.  

La seconda è direttamente legata ai numeri del portafoglio. Tra il 2016 ed il 2022, il periodo analizzato, il portafoglio energetico globale di CDP risulta essere per oltre il 55% destinato ad investimenti fossili e solo per il 33% in energie pulite (il 10% in altro).  

Questi dati, già preoccupanti di per sé, si aggravano se guardiamo solo al portafoglio energetico internazionale. In questo caso, difatti, le percentuali cambiano e gli investimenti nel fossile diventano il 77%. Inoltre, comparando i dati con gli investimenti in Italia emerge quella che sembra essere una strategia differenziata. A livello domestico, infatti, gli investimenti puliti (eolico, solare etc) sono nettamente la maggioranza, 72% contro il 14% dell’internazionale.  

Il caso Mozambico, ovvero gli investimenti italiani all’estero 

Osservando inoltre il dettaglio del portafoglio fossile internazionale, emerge come circa 1/3 sia concentrato sul controverso investimento in Mozambico (569 mln di euro) del 2020. Bisogna ricordare che il Mozambico è, dal 2017, alle prese con un’insurrezione armata stimolata anche dagli appetiti che la grande disponibilità di risorse naturali del paese ha generato. Il paese è al terzo posto nel mondo per riserve di gas stimate ma al contempo è tra gli ultimi paesi per indice di sviluppo umano dell’ONU, che misura aspettativa di vita, livello di istruzione e reddito pro capite della popolazione. I paesi in fondo a questa classifica vivono quindi una situazione di estrema difficoltà.Mozambico ed Egitto rappresentano oltre il 60% del portafoglio energetico internazionale di CDP in fossil fuel.  

L’assenza di policy specifiche per l’uscita dagli investimenti fossili, dunque, aggiunta ad un portafoglio il cui dettaglio dell’analisi fa intravedere molte ambiguità, chiariscono il perché di una valutazione tanto negativa. 

La questione del gas risulta essere particolarmente controversa. Contribuisce infatti ad un basso punteggio il fatto che si ricorra ad investimenti nel gas nonostante, a due anni dalla crisi energetica seguita all’invasione Russa dell’Ucraina, il consumo del gas sia già sceso in Europa ai livelli più bassi dagli ultimi 10 anni. Che il gas rappresenti una fonte per assicurare la sicurezza energetica nazionale è, dunque, un aspetto molto discutibile. Andrebbe perciò messa in discussione l’intera strategia del Governo su questo aspetto.  

Oltre a ciò, le esplorazioni per nuove fonti di gas, come quelle del Mozambico dove CDP ha il suo maggior investimento nel periodo osservato, hanno contribuito a destabilizzare un contesto politico fragile oltre che aumentare significativamente l’impatto del cambiamento climatico in loco, come denunciato da molte organizzazioni 

Sfide e scenari possibili per l’Italia 

In quanto membro del G7 e del G20, l’Italia dovrebbe dare l’esempio ed espandere i propri investimenti in energia pulita invece di trasformare l’Italia in un “hub energetico” basato sul gas e utilizzare il Fondo italiano per il clima (4,4 miliardi di euro) per investire nell’estrazione di gas in Africa. Ad oggi, invece, il nostro paese è il sesto tra i paesi del G20, prima di USA e Germania e dopo Canada, Corea del Sud Giappone, Cina ed India, per sovvenzioni pubbliche ai combustibili fossili.  

Lo scenario preoccupante emerso dall’analisi, purtroppo, va collocato in un contesto politico nazionale ed internazionale altrettanto allarmante dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico. In Europa è già partita una battaglia per rinnegare i risultati raggiunti attraverso il green deal europeo, il pacchetto di misure per trasformare l’UE in un’economia pulita. In Italia, per comprendere la mancanza di volontà politica, è sufficiente mettere in fila i dati emersi dall’analisi, con iniziative discutibili come quella del Piano Mattei, l’utilizzo del fondo per il clima per finanziare iniziative di ENI sui biocarburanti.
Senza parlare del piano di
convertire l’Italia in un hub del gas, in netta contraddizione proprio con il green deal europeo.  

Ad una crisi climatica incalzante stiamo rispondendo con una indifferenza politica. C’è ancora tempo per cambiare la rotta.  

La nostra campagna  

Uno dei punti fondamentali della nostra campagna Fund Our Future è proprio la richiesta a banche italiane e internazionali di smettere subito di finanziare le fonti fossili.  

Vuoi unirti a noi? Firma subito per fermare le banche!


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