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Le modalità con le quali è stato attuato il trasferimento coatto dei cittadini stranieri che alloggiano presso il centro di accoglienza di Castelnuovo di Porto ci interrogano profondamente. Donne, uomini e minori sono stati sradicati dal contesto nel quale erano insediati per essere spostati verso località molto spesso distanti.

L’immediata conseguenza dei trasferimenti è l’interruzione di processi positivi di inclusione sociale attivati dai cittadini stranieri. Si tratta in qualche modo di una doppia punizione. I cittadini stranieri in questione, infatti, sono stati prima accolti; ora, dopo che con molta fatica iniziavano a orientarsi sul territorio, spesso afferendo a servizi fondamentali per la ricostruzione di un proprio progetto migratorio e di vita – come quelli di sostegno per vittime di tortura, tratta, traumi e/o violenza, o semplicemente al servizio scolastico – vengono senza preavviso trasferiti altrove.

È una vicenda che riguarda persone con un nome, una storia, desideri e bisogni specifici. Allo stesso tempo, quanto sta succedendo a Castelnuovo di Porto sembra essere paradigmatico dell’attuale gestione delle politiche migratorie.

I migranti vengono trattati come meri numeri e non come titolari di diritti. È necessario riflettere, a partire da questa vicenda specifica, sui criteri da utilizzare, sui diritti e sulle condizioni minime da garantire in caso di trasferimenti analoghi.

Innanzitutto il trasferimento dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione accolti nel circuito di accoglienza dovrebbe, in via generale, essere effettuato in risposta ai bisogni degli stessi beneficiari delle misure di accoglienza.

Lo sradicamento territoriale, prodotto del trasferimento in altri comuni, in altre province o addirittura in altre regioni, rappresenta un ostacolo per la realizzazione di efficaci percorsi di istruzione, formazione, inclusione socio lavorativa.

Alla luce di quanto specificato, è necessario effettuare i trasferimenti verso strutture di accoglienza di piccole dimensioni, gestite in maniera virtuosa, capaci di erogare servizi in linea con le esigenze di tutela e di protezione dei cittadini stranieri, e che tali trasferimenti vengano attuati con l’obiettivo di migliorare le condizioni e gli standard offerti.

ActionAid ritiene opportuno che, ove possibile, i trasferimenti vengano effettuati verso centri di accoglienza presenti nello stesso territorio di quello di provenienza o, al limite, in zone limitrofe.

Dal punto di vista della gestione di tali operazioni, è indispensabile che il preavviso dato ai cittadini stranieri sia congruo, quantificabile in almeno un paio di settimane, e che contenga precise indicazioni sulla struttura e sul territorio di destinazione.

Non è accettabile, infatti, che le persone vengano trasferite senza averne avuto precedentemente notizia o con brevissimo preavviso. Sempre dal punto di vista delle modalità di attuazione, è indispensabile che i trasferimenti avvengano in maniera non coercitiva.

Un adeguato, effettivo e tempestivo coinvolgimento degli stessi e una scelta delle sedi di destinazione in linea con i bisogni dei cittadini stranieri possono prevenire il sorgere di tensioni e conflitti. È importante che venga data una adeguata informazione su quello che li aspetta nel luogo di destinazione: tipologia di centri ospitanti, servizi pubblici e privati disponibili, enti di tutela presenti sul territorio.

Non va dimenticato che il sistema di accoglienza nasce per tutelare e proteggere i cittadini stranieri che si avvalgono della facoltà di richiedere protezione internazionale in relazione alla storia personale, alla fuga dal Paese di origine e al fondato timore di subire danni ingiusti. Tale necessità di tutela deve essere costantemente al centro della progettazione e dell’esecuzione di operazioni di questo tipo.

È inoltre necessario interrogarsi sui rischi a cui sono esposti i cittadini stranieri che vengono allontanati da una struttura di accoglienza senza poter accedere, in ragione della normativa vigente, ad altro centro – facciamo riferimento ad esempio ai titolari di protezione umanitaria e di protezione internazionale per i quali le misure di accoglienza sono terminate, ai “diniegati” che non hanno più possibilità di beneficiare delle misure di accoglienza, alle persone a cui l’accoglienza è stata revocata.

Se le persone vengono abbandonate in strada, possono essere esposte ai rischi della marginalità sociale. Viceversa, un’attenta progettazione e gestione dei trasferimenti può fare in modo che i cittadini stranieri non più titolati ad accedere alle misure dell’accoglienza possano usufruire, se lo desiderano, di alloggi di altro tipo, ad esempio nell’ambito dei servizi predisposti dalle amministrazioni comunali o da privati.

È necessario che i dati sui numeri e lo status giuridico delle persone che devono abbandonare la struttura oggetto del trasferimento sia comunicato alle istituzioni e alle organizzazioni che a vario titolo possono predisporre gli opportuni servizi di assistenza.

Dal punto di vista degli attori coinvolti nella progettazione e nella gestioni di tali operazioni, è indispensabile il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni che si occupano della tutela dei cittadini stranieri.

Quanto proposto ha il valore di un appunto, trascritto in tempo reale mentre sui giornali e sui media scorrono le immagini dei trasferimenti coatti in corso a Castelnuovo di Porto. È opportuno riflettere, in maniera partecipata e approfondita, sulle modalità più idonee per la gestione di situazioni di questo tipo: ActionAid sta andando in questa direzione.

E oltre che riflettere, è opportuno anche agire: ActionAid si impegna – di fronte alle situazioni che si presenteranno – a chiedere accountability allo Stato nei confronti della tutela dei diritti umani e a chiedere alle autorità competenti che gli standard e le condizioni minime da garantire in caso di trasferimenti analoghi siano rispettati.

(Fonte: Huffingtonpost.it)

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