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2 Agosto 2024
A cura dell'Unità Gender and Economic Justice
Nell'Unione europea, oltre 20 milioni di donne non hanno accesso a cure abortive sicure, ovvero fornite da personale sanitario qualificato con un metodo scientificamente validato e appropriato alla fase della gravidanza.
Questa è una stima prudente basata sul numero di donne in Polonia e Malta che, a causa di leggi restrittive, non possono accedere all'aborto. Il numero effettivo di donne senza accesso all'interruzione di gravidanza è probabilmente molto più alto. Inoltre, in tutti gli Stati membri UE, le donne appartenenti a comunità emarginate non possono accedere liberamente all’aborto sicuro perché prive di assicurazione sanitaria.
Centinaia di migliaia sono invece le donne che vivono in aree dove l'aborto è legale, ma i servizi e i dispositivi medici per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) non sono disponibili. Tale carenza le costringe a spostarsi sul territorio per avere riconosciuto un loro diritto fondamentale, quello alla salute.
Ci sono poi decine di milioni di donne che risiedono in Paesi in cui l'aborto è legale, ma non gratuito. E, ancora, ci sono donne che, sebbene abbiano teoricamente accesso all'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) poiché legale e completamente gratuita nei loro Paesi, nella pratica trovano questa possibilità fortemente limitata a causa dell'elevato numero di personale sanitario obiettore di coscienza. Questo è il caso dell’Italia.
Nel nostro Paese, il diritto all'aborto è tutelato dal 1978 attraverso la legge 194; tuttavia, non è garantito ovunque. Sul territorio nazionale, le strutture che effettuano l'IVG rappresentano il 63,8% del totale, con grandi differenze regionali: infatti, in Campania e nella Provincia Autonoma di Bolzano, il numero di punti IVG è inferiore al 30% delle strutture censite. Inoltre, c'è un'alta percentuale di personale medico obiettore di coscienza che sceglie di non praticare l'aborto per motivi morali. Secondo l’indagine "Mai Dati", aggiornata al 2021, 72 ospedali hanno tra l'80% e il 100% di personale medico sanitario obiettore; 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra tutte le categorie professionali interessate (ginecologi/ghe, anestesisti/e, infermieri/e e operatori/trici sociosanitari/e). Nelle zone dove la percentuale di chi obietta è più alta (superando l'80% in diverse aree, come in Basilicata e Molise), può essere difficile accedere all'IVG in tempi brevi, costringendo spesso le donne a spostarsi in regioni limitrofe dove l'accesso all'aborto è più rapido. In alcune regioni, poi, vengono posti ostacoli anche all'utilizzo della pillola RU 486, che consente l'aborto farmacologico.
Tutte le restrizioni imposte nei diversi Stati membri limitano gravemente la libertà di scelta e violano il diritto delle donne alla salute e all’autodeterminazione. Queste limitazioni mettono a rischio le loro vite e causano disagi psicologici, fisici ed economici sia alle donne che alle loro famiglie. Infatti, impedire l’accesso all’aborto significa violare i più elementari diritti umani delle donne, tra cui, quelli alla non discriminazione e all'uguaglianza; alla vita, alla salute e all'informazione; alla libertà dalla tortura e dai trattamenti crudeli, inumani e degradanti; alla privacy e all'autonomia e integrità corporea; a determinare liberalmente il numero delle figlie e dei figli e l’intervallo tra le nascite; alla libertà.
In risposta a questa grave situazione, noi di ActionAid abbiamo aderito a “My Voice My Choice”, un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), ovvero uno strumento di democrazia partecipativa, attraverso cui un milione di cittadine e cittadini residenti in un quarto degli Stati membri può invitare la Commissione a presentare una proposta di atto giuridico ai fini dell'attuazione dei trattati dell'Unione. Sostenuta da oltre 200 associazioni, nello specifico, la campagna My Voice My Choice chiede alla Commissione europea di istituire un fondo europeo dedicato a garantire a tutte le donne nell’UE l'accesso ai servizi di aborto e all'assistenza sanitaria riproduttiva. Tale meccanismo finanziario supporterebbe oltre 20 milioni di donne nei Paesi dove l'aborto non è disponibile, come in Polonia e Malta, o dove non è gratuito, come in Austria e Germania, oltre che in quelli dove, pur essendo legale, l'aborto non è facilmente accessibile, come ad esempio in Croazia e in Italia. Le donne che vivono in questi Paesi potrebbero, grazie a un supporto finanziario, recarsi in uno Stato aderente al fondo per accedere alle cure abortive. La proposta non interferisce con le leggi nazionali. Infatti, l'UE ha competenze limitate in materia di sanità. Il meccanismo proposto perciò richiede alla Commissione di utilizzare le sue competenze di supporto per assistere i Paesi nell'erogazione di servizi sanitari e nella protezione della salute umana e dei diritti riproduttivi.
My Voice My Choice ha raccolto in breve tempo 500.000 firme, diventando così la petizione ufficiale alle istituzioni europee con la crescita più rapida della storia:
"Questo mezzo milione di voci dice a gran voce che l'UE deve agire, che deve proteggere le donne e approvare una legislazione che contribuisca a garantire l'accesso a cure abortive sicure e gratuite. Ma queste non sono solo voci per un'azione legislativa concreta, sono voci per un'Europa di uguaglianza, solidarietà e compassione. Voci che, in questi tempi bui di guerre, aumento delle disuguaglianze e riemergenza dell'estrema destra, stanno creando un futuro più giusto, libero e pieno di speranza", afferma Nika Kovač, direttrice dell'Istituto 8 marzo e coordinatrice della campagna My Voice, My Choice.
Una volta raggiunto il traguardo di 1 milione di firme, la proposta sarà presentata al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea per essere deliberata. È importante che ciò accada quanto prima perché l’autodeterminazione e i diritti riproduttivi devono essere garantiti a tutte le ragazze e le donne che vivono in Europa, che devono poter decidere liberamente del proprio corpo senza discriminazione alcuna.