I comuni al centro: cambiare il modello di accoglienza
Come è strutturato il sistema di accoglienza in Italia? Cosa sta accadendo ora nell’accoglienza delle persone in fuga dall’Ucraina?
Da anni monitoriamo il sistema di accoglienza, affinché le nuove politiche siano basate sull’analisi di dati oggettivi come quelli amministrativi, sull’analisi delle misure precedenti, e non sulla strumentalizzazione sistematica della materia migratoria. Vediamo dunque quale era la situazione nel 2020 e su cosa si innesta il nuovo assetto emergenziale gestito dalla protezione civile.
Le norme
Le norme sull’accoglienza contengono un meccanismo di elasticità in caso di emergenza, dato dai centri straordinari che dovrebbero contribuire a fronteggiare situazioni critiche proprio come quella ucraina. Allo stesso modo, (142/2015 all’art. 11 comma 2) vi è anche un riferimento, al necessario coinvolgimento degli enti locali da parte delle prefetture nel caso di attivazione temporanea di un centro straordinario per far fronte a flussi consistenti. Un coinvolgimento che nei fatti non ha determinato il seguente assorbimento dei centri Cas – i Centri di Accoglienza Straordinaria – nel sistema pubblico (oggi conosciuto come Sai, prima Siproimi e Sprar) in capo ai comuni (aumentando altresì a dismisura il circuito straordinario, come abbiamo rilevato sin dal primo rapporto della serie Centri d’Italia). È mancato inoltre un coordinamento con il welfare locale, andando di fatto a istituire una forma di sostegno di secondo ordine e parallelo dedicato alle sole persone migranti ospitate.
Il monitoraggio dei dati amministrativi dimostra come la mancanza di pianificazione e il mancato investimento sul circuito ordinario di accoglienza in capo ai comuni abbiano de facto svuotato dall’interno un sistema binario nei fatti (per legge unitario) e concretamente arbitrario, rendendolo un non-sistema. Il fallimento del sistema e in particolare del circuito dei Cas è stato ratificato dal recente “stato di emergenza” che ne indica in maniera inequivocabile l’inadeguatezza, mediante deroghe (allo schema di capitolato e alle procedure per le assegnazioni) e l’introduzione di un nuovo circuito di accoglienza e sostegno, dedicato alle sole persone protette temporaneamente provenienti dall’Ucraina, che risponde ad una nuova struttura di coordinamento in capo alla Protezione Civile.
La diffusione dell’accoglienza una condizione per sostenibilità e diritti
Con la diminuzione degli arrivi si sarebbe potuto puntare sull’accoglienza diffusa, più virtuosa ed efficace. Ma, dati alla mano, ciò non è avvenuto. Il nuovo assetto si innesta su un sistema di accoglienza, quello sì, in piena emergenza.
I comuni interessati da almeno un centro (di qualsivoglia tipologia) nel 2018 erano 3.063, il 38,5% dei comuni italiani. Nel 2020, invece, erano 1.975, pari al 25% del totale dei comuni del paese. In due anni i comuni interessati dall’accoglienza sono quindi calati del 35%. Questo dato non si spiega solamente con il calo – in valori assoluti – degli arrivi e delle presenze in accoglienza, ma ci dice che essendo interessati meno comuni, l’accoglienza è di certo meno distribuita sul territorio di quanto non lo fosse in passato, in antitesi dunque alle indicazioni della commissione di inchiesta parlamentare e alle stesse conclusioni delle relazioni annuali sul sistema di accoglienza.
La piattaforma Centri d’Italia consente – come si vede dall’infografica – di distinguere inoltre le tipologie di accoglienza sui territori. Si conferma, anche a livello locale e in zone virtuose come Reggio Emilia, la prevalenza del circuito straordinario su quello Sai – Sistema Accoglienza e Integrazione. Nel caso preso ad esempio, Reggio Emilia e Oristano sono agli antipodi: nel primo caso quasi il 93% dei comuni è coinvolto; nel secondo non arriviamo al 3,5%, con una incidenza relativamente alta della popolazione accolta su quella locale. Nel 2020, infatti, anno di riferimento delle nostre analisi, i rifugiati e richiedenti asilo in accoglienza rappresentano solo lo 0,13% della popolazione italiana.
Grandi concentrazioni e metropoli, cambiare il modello d’accoglienza
Come abbiamo mostrato negli anni con le nostre analisi, sono le grandi concentrazioni nelle mega strutture e nelle metropoli, il tratto più problematico del sistema. E lo è sia per la mancata attenzione alla persona accolta e al suo accesso effettivo ai diritti, sia per il territorio che si confronta con forme di accoglienza deresponsabilizzanti, che certo non aiutano l’autonomia della persona accolta e la reciproca conoscenza. È oggettivamente più semplice avvicinarsi a una piccola abitazione, a un piccolo centro, che ad un albergo in una periferia estrema o a una ex caserma fatiscente, di fatto contenitori di vite sospese nell’attesa, nell’ipotesi migliore, di un trasferimento o dell’uscita, dopo aver ottenuto un riconoscimento di una forma di protezione.
Se consideriamo le tre tipologie di centro (Cas, prima accoglienza e Sprar/Siproimi) rileviamo che, nel 2020, 13.892 persone erano ospiti di centri attivi nelle 16 grandi città italiane (con più di 200mila abitanti). È il 18,2% del totale delle presenze in Italia, un dato di quattro punti percentuali superiore al 2018, quando nelle grandi città italiane era presente il 14,2% (18.614 persone) dei richiedenti asilo e rifugiati in quel momento assistiti in Italia. In cinque comuni si sono registrate nel 2020 più di mille presenze. Si tratta di Roma (2.365), Milano (1.916), Torino (1.650), Bologna (1.429) e Genova (1.114). Cinque realtà che insieme coprono l’11,1% di tutto il sistema di accoglienza italiano.
Questi grandi centri urbani, oltre ad essere “normalmente attraenti” per vari fattori, fra i quali le possibilità che offrono e la maggiore presenza di comunità in diaspora, sono le stesse città che sentiamo menzionare quando il Viminale dà aggiornamenti sugli ingressi delle persone provenienti dall’Ucraina. Anche in base a questa dinamica, dobbiamo cogliere la spinta data dalla crisi Ucraina al cambiamento del sistema di accoglienza, puntando finalmente con decisione sul sistema pubblico Sai, potenziandolo, e quindi anche sul futuro assorbimento delle forme di accoglienza che la protezione civile sta approntando con il sostegno del terzo settore, per non togliere centralità ai comuni, al sistema sai e all’integrazione nel welfare locale. Il superamento dell’adesione volontaria dei comuni al sistema rimane la leva principale di un cambiamento che dovrebbe coincidere con l’applicazione piena della legge, per fare davvero del Sai il sistema principale e terminare l’esperienza di un’eccezione permanente.