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Tutto in 24 ore: 10 anni dal Rana Plaza e la direttiva UE

Diritti umani e rispetto dell’ambiente, il ruolo delle imprese.  


Come il rispetto per i diritti umani e per l’ambiente passa (anche) per l’azione delle imprese e perché è necessario regolamentarlo.  

La cronaca 

Alla fine del mese di aprile, nel giro di 24 ore, abbiamo assistito all’alternarsi di due eventi dal grande valore simbolico. Da un lato la commemorazione dei dieci anni dal crollo del Rana Plaza, dall’altra un avanzamento normativo a livello comunitario che potrebbe garantire che eventi di questa natura non si ripetano più. Procediamo con ordine. 

Il 24 aprile del 2013, a Dacca, capitale del Bangladesh, l’edificio che ospita il secondo produttore al mondo di indumenti confezionati, si accartoccia su sé stesso. Le immagini sono impressionanti. Rimangono uccise 1.132 persone. Oltre 2.500 riportano ferite che, come emerso da un approfondimento pubblicato da ActionAid di recente, permangono ancora oggi.  

Le vittime sono persone impiegate nella produzione di abbigliamento per alcuni marchi stranieri che operano in Bangladesh attraverso una variegata serie di accordi commerciali con fornitori e subappaltatori. Una lunga e intricata filiera che intrappola persone con pochi diritti, obbligandole al rispetto di scadenze a tal punto pressanti che, nonostante la segnalazione delle crepe che facevano presagire un cedimento strutturale, le esortazioni sul rientrare a lavoro o subire il licenziamento prevalgono sul buon senso causando una strage di tali proporzioni.  

Il dibattito internazionale 

La terribile vicenda di cronaca contribuisce in quegli anni a fare riemergere l’urgenza di un dibattito internazionale fin a lì dato parzialmente per inattaccabile. L’avvento della globalizzazione, difatti, ha originato delle lacune nella governance internazionale che sembrano inscalfibili. In particolare, semplificando al massimo il dibattito sociologico, la libertà di azione concessa dalla globalizzazione al global corporate capital, ovverosia alle grandi imprese multinazionali, fatica a trovare degli ostacoli. 

Frontiere commerciali sempre più porose, flussi finanziari e di merci che si muovono a velocità moltiplicata rispetto a quanto avveniva solo un decennio prima. Il tutto a fronte dell’assenza, o quanto meno dell’inadeguatezza, di un sistema di diritto pubblico internazionale capace di contenere gli effetti spesso nefasti sui diritti e sull’ambiente.  

La strage del Rana Plaza, tuttavia, stimola una risposta emotiva difficile da contenere, a tal punto che si può dire che, nel dibattito internazionale, esiste un prima e un dopo. Assicurare i diritti, migliorare le condizioni di lavoro, salvaguardare l’accesso alla giustizia sono principi che non possono più essere messi in secondo piano. Quello che fino ad allora era rimasto vincolato a strumenti di natura non vincolante, entra nell’agenda politica di alcuni paesi, spinto dalle organizzazioni della società civile.  

Le risposte 

La Francia prima, e la Germania subito dopo, possono ad oggi rispettivamente contare su degli esperimenti normativi che, per quanto ancora lacunosi, evidenziano di colmare il vuoto giuridico. Ai due grandi paesi al centro dell’Europa si aggiungono molti altri. Delle proposte di legge, in differente stato di avanzamento, sono già presenti in Spagna, Lussemburgo, Austria, Olanda, Finlandia e Belgio.   

L’Unione Europea non è esente da queste influenze, al contrario. La tabella di marcia in Europa è fitta ed intensa. A dicembre 2019, un centinaio di ONG lanciano una campagna finalizzata ad attivare un percorso legislativo che obblighi le imprese a dotarsi di una Due Diligence interna in materia di diritti umani e ambiente. Il 25 aprile del 2023, e qui torniamo all’attualità delle fatidiche 24 ore, con il passaggio cruciale del testo nella commissione legale (JURI), il Parlamento Europeo, completa il proprio percorso di revisione e discussione che si concluderà formalmente con il voto in plenaria il primo di giugno.  

Cosa si chiede? 

Ma cosa impongono in concreto, seppur in maniera diversa, queste leggi ed il testo della proposta di direttiva? Si chiede alle imprese (attualmente la normativa riguarda prevalentemente aziende di grandi dimensioni) di essere responsabili di quanto avviene lungo tutta la loro filiera. Una sorta di obbligo di vigilanza, parafrasando la legge francese, un dovere di controllo o, per dirla all’inglese, una Due Diligence. In sintesi, vista l’impossibilità di normare ogni comportamento di imprese che spesso operano a cavallo di diversi continenti e framework legali e nell’ambito di filiere del valore incredibilmente lunghe e complesse, di dotarsi di sistemi interni e processi utili a identificare, prevenire, mitigare, comunicare ed eventualmente rimediare potenziali rischi di violazione dei diritti umani ed ambientali. Una sorta di ciclo dinamico ed ininterrotto, capace di individuare per tempo i rischi che possono verificarsi lungo l’intera catena del valore.  
Oggi il testo è pronto. Per quanto l’accordo sia piuttosto fragile, il primo di giugno il Parlamento Europeo voterà il testo che, se approvato, passerà a quel punto al c.d. trilogo (la negoziazione finale tra Commissione, Consiglio e Parlamento). Una volta concluso questo ennesimo passaggio i governi nazionali avranno due anni per recepire la direttiva attraverso una legge nazionale.  

Un percorso da difendere 

Si tratta di un percorso storico, stimolato e sostenuto dal mondo delle ONG ma anche da molte imprese che si sono attivate per sottolineare l’importanza di una regolamentazione in materia. 

Attualmente in Italia la campagna Impresa 2030, di cui ActionAid è membro fondatore sostiene e accompagna questo percorso ( si può aderire firmando qui). Lo stesso avviene a livello europeo attraverso la campagna Justice is everybody’s business.  

Le 24 ore a cavallo tra il 24 ed il 25 aprile racchiudono, simbolicamente, un dibattito lungo oltre un decennio, uno spazio di giustizia troppo spesso inascoltata, un cambiamento di paradigma.  

Sarebbe ingenuo pensare che la Direttiva europea sulla Due Diligence obbligatoria in materia di diritti umani e ambiente possa risolvere tutto questo e rappresentare un elemento di giustizia per le vittime del Rana Plaza e di tutti quei casi, a partire da quelli neppure documentati, che si sono verificati negli anni. Rappresenta però un passaggio fondamentale e per questo, nonostante il testo abbia perso forza, va difeso.  

Attivati per chiedere con noi ai Parlamentari Europei un voto a favore della direttiva.

Partecipa su Justice-business.org

Photocredit: Jean-Marc Loos – Mohammad Ponir Hossain

 

 

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